Bocciolo nero

Ogni volta che lasciava il suo letto, nel cuore della notte, come un ladro o un amante, deponeva sul cuscino un bocciolo di rosa nero. Un bocciolo intriso di sangue. Simbolo d’amore.

Asia lo trovava accanto a sé ogni mattina al proprio risveglio, lo annusava e lo riponeva nel bicchiere sul comodino, già pronto dalla sera prima, pieno d’acqua.

Erano otto anni che Asia e Lion si frequentavano. S’incontravano una volta alla settimana, a cena, o al cinema, o da amici, per poi finire a letto. Sempre.

Asia e Lion vivevano altre storie, nel frattempo, altre avventure.

Qualche tempo dopo il loro incontro, Lion si sposò con una ragazza dominicana, una giovane mulatta che camminava a testa bassa col capo coperto e parlava solo se interrogata. Lion la consegnò ad Asia, la prima notte di nozze, perché la istruisse alle pratiche coniugali, le insegnasse come compiacere un uomo, come accoglierlo e soddisfarlo.

Per parecchio tempo i tre si frequentarono con cadenza quotidiana. Asia, Lion e la giovane moglie si coricavano nello stesso letto ogni notte, fino a quando l’uomo non ritenne che la sua sposa fosse diventata sufficientemente esperta da soddisfare da sola gli istinti carnali del marito.

Asia non aveva mai accettato di sposarsi. Molti uomini l’avevano corteggiata, in tanti le avevano proposto soldi, benessere, ricchezza di ogni tipo, in cambio della fede, ma lei aveva scelto di essere fedele solo a se stessa.

Aveva ricevuto proposte da uomini “da copertina”, irraggiungibili, ricercati. Asia li aveva rifiutati tutti. Con eleganza ed educazione.

Quando il bisogno fisico le strappava la pelle, Asia ne sceglieva uno, al quale concedeva di scivolare nel suo letto e trattenersi al massimo per un fine settimana.

Lion aveva accettato gli altri uomini nella vita di Asia. Lei era una donna libera; la sua bellezza, la sua spregiudicatezza, la sua impudicizia la rendevano una farfalla. Bella da perdersi, lieve come l’aria neve e penetrante come il ghiaccio. Lion non desiderava incatenarla, gli era sufficiente amarla. Il resto non importava: gli altri uomini, la sua libertà, il suo offrirsi al mondo come se ogni rapporto diventasse un’opera d’arte, come se il suo corpo fosse un giorno merce da vendere ed un altro gioielli da donare. La cosa fondamentale era che Asia avesse sempre un posto per Lion nel suo cuore. L’importante era che Asia fosse presente nel momento in cui lui avesse avuto un bisogno esasperato di possederla. E in quei momenti Asia c’era.

Per lei, il rapporto con Lion era diverso da quello con gli altri uomini. Lion era diverso. Era un uomo rude, uno di quello che parlano poco, che non portano regali e che non fanno offerte per la vita. Lui la usava. Usava il suo corpo, la sua bocca, il suo seno, le sue mani. Cercava in lei quello che altre donne non erano in grado di donargli. Lion l’amava come non faceva con nessun altra. Di Asia amava il corpo, ma ancor di più amava la sua anima ed ogni volta che la prendeva era all’anima di Asia che cercava di arrivare, era la sua anima che voleva possedere.

Forse era questo legame invisibile che li incatenava l’uno all’altra. Forse era quel non esprimersi a parole, ma solo con il corpo, che li piegava ogni volta a soddisfare la fame della carne. Forse era l’anima stessa che richiedeva nutrimento e li obbligava a cercarsi come assetati nel deserto, come lupi che escono dalla tana e rastrellano le montagne alla ricerca di carne viva che spenga i morsi del desiderio.

Lion la sorprendeva con sms o ordini improvvisati in momenti inopportuni. E Asia accorreva.

Fu così che avvenne il loro secondo incontro. All’improvviso.

Dopo la prima notte di sesso a casa di Asia, si erano lasciati senza scambiarsi neanche i numeri di cellulare. Lion sapeva dove abitava Asia. E basta. Neanche i loro nomi, sapevano.

Una settimana dopo, Asia rincasò alle undici e mezza di notte, infilò la chiave nel portone del condominio, spinse con forza la pesante porta di legno che cigolò sui cardini di ferro e, prima ancora di riuscire a richiuderla dietro di sé, si sentì afferrare per la vita e sbattere contro la parete. Non capiva cosa o chi fosse, non urlò, non reagì, neanche quando una mano s’infilò sotto la sua T-shirt e le afferrò un seno, neanche quando l’uomo, il cui viso era nascosto dal buio dell’androne, la sollevò, le strappò le mutandine e la spinse forte contro il muro, facendole male. La lingua piantata in gola non le permetteva di respirare, ma non importava, il piacere che le provocava e le sensazioni che la saliva le stimolava non facevano che aumentare la sua eccitazione. La schiena le doleva per lo sforzo di reggersi e per il continuo sfregamento contro il muro irregolare. Aveva già raggiunto tre orgasmi quando l’uomo iniziò a respirare più forte, come un podista durante la fase finale della corsa, come quando si è vicini al traguardo e si deve dare il massimo per vincere.

La lasciò stremata a terra, mezza nuda, e se ne andò così, non prima di averle lasciato un mazzolino di boccioli di rose nere, appoggiato in grembo.

I boccioli di rosa non profumavano più. Da qualche tempo avevano perso la loro essenza primordiale. Ogni volta che Asia si portava alle narici il bocciolo che Lion le aveva donato, la delusione la prendeva allo stomaco come una brutta notizia.

In fondo era solo un fiore e i fiori, si sa, qualche volta non profumano. Un po’ come la frutta, che se non cresce genuina, perde il suo sapore naturale, il nettare delicato e la dolcezza antica.

Asia ne era certa. Quella fragranza che le ricordava i suoi primi incontri con Lion, non sarebbe più tornata. Quello stallone, dal cuore tenero ricoperto di scorza dura e rugosa, si stava allontanando da lei.

E così era giunta la fine. Una fine attesa e indesiderata.

Asia era stesa sul letto, sul corpo ancora i segni della notte appena trascorsa. Si alzò a sedere e osservò il proprio corpo nello specchiò. Il tempo non era stato clemente con lei: il viso abbronzato e magro mostrava la sua età con piccoli solchi che si irradiavano dagli occhi e dalle labbra con sempre maggiore evidenza; il seno, un tempo alto e sodo, ora cedeva lievemente sotto il peso di una prosperità che era stata la gioia di coloro che ne avevano goduto; fianchi allargati dalla sedentarietà, gambe piene e carnose, smagliature bianche e rosate, pelle arida e capelli bianchi… fino ad ora Asia non aveva mai dato peso al trascorrere del tempo, Lion non le aveva mai permesso di voltarsi indietro, la sua presenza, la sua solarità le avevano fatto credere per molti anni, che il tempo in cui si vive è solo quello in cui si è, il presente, l’oggi. Non si era mai preoccupata del passato e neanche del futuro.

Asia si alzò in ginocchio e divaricò leggermente le gambe, si carezzò la morbida peluria e disegnò ogni curva con i polpastrelli, risalendo fino ai capezzoli che stritolò delicatamente. Duri e doloranti, risposerò subito alla sollecitazione, irrigidendosi. Allungò una mano per prendere il bocciolo, il piccolo dono di Lion, il fremente e delicato seme. Era velluto sulla pelle del corpo e spine sui capezzoli. Lo spinse in mezzo alle gambe dove sparì, celandosi, nelle profondità, risucchiato dal desiderio e dal bisogno di amare ancora. In un attimo lo sentì, potente, violento, stravolgente, come se Lion fosse lì, come se dentro di lei divampasse un fuoco eterno. Ogni sua fibra tesa solo alla percezione del piacere.

E poi in un attimo tutto finì, anche il suo amore, anche Lion.

Sapeva, perché ogni donna lo sa, che non l’avrebbe più rivisto né amato. Sapeva perché ne era certa che altri avrebbero scaldato le sue notti e preteso la sua bocca e il suo corpo.

Sapeva che avrebbe incontrato altri dei che le avrebbero mostrato le spire dell’inferno e la luce del paradiso.

Sapeva e ne era certa che nessuno di loro le avrebbe mai più donato un bocciolo nero di rosa.

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