Il mestiere dello scrittore

Ho terminato, una paio di giorni fa, la lettura de Il mestiere dello scrittore di John Gardner, un piccolo manuale che contiene consigli per giovani scrittori che escono dalla scuola e si affacciano al mondo della letteratura. Un libro adatto a chi ama la scrittura in ogni sua forma: poesia, racconti, romanzi. Edito per la prima volta nel 1983 (titolo originale: On becoming a Novelist), nel 2015 è ancora assolutamente attuale.
Leggo i manuali di scrittura perché sono il mio pane e, durante l’anno, cerco di inserirne alcuni in mezzo agli altri libri, per mantenere viva la mia capacità creativa, avere conferme, rispolverare la teoria, confrontare il mio modo di scrivere con quello dei grandi autori.
Io piccola loro grandi ma con molte caratteristiche comuni. Il mondo di chi scrive è lo stesso (più o meno) per tutti gli autori. Leggendo le parole di Gardner ritrovo, nei suoi consigli e nel suo modo di approcciarsi alla scrittura, il mio modo di essere scrittrice: cosa fare e cosa no, quali regole seguire e quali evitare, abitudini, fissazioni e fobie.
Se dovessi stilare un decalogo del giovane scrittore, secondo quanto dice John Gardner, questi sarebbero i punti su cui riflettere:

  • Sensibilità verbale – conoscere la lingua ed essere padroni di essa, conoscere le regole e saperle stravolgere, giocare con le parole fino a trovare la migliore combinazione, suscitare tramite esse un sogno vivido e ininterrotto (Gardner si riferisce alla capacità di visualizzare immagini senza che le parole ci distraggano da esse). «Lo scrittore» dice Gartner «che prova più interesse per le parole che per la trama sarà difficilmente in grado di creare un sogno vivido e ininterrotto». Affascinante!
  • Adeguata precisione e originalità del suo «occhio» – osservare la storia, i personaggi, la trama, decidere cosa è importante rilevare e cosa no, quali dettagli meritano evidenza, come mostrare i sentimenti. L’autore «deve imparare a uscire da se stesso, a vedere e sentire le cose da ogni punto di vista, umano e disumano». Un Novelist dovrebbe essere in grado di prendere le parti di chiunque: donne, uomini, bambini, assassini, uomini o donne di culto, politici e mendicanti… Deve calarsi nella parte, «comprendere le persone diverse da lui e subirne il fascino» e imparare a mostrare le sensazioni e i sentimenti provati dai personaggi. Mostrare e non raccontare: la prima volta che mi hanno fatto questa osservazione sono letteralmente impazzita. Capire cosa significhi mostrare e non raccontare ha impegnato i miei pensieri, le mie notti e miei studi per molto tempo. E solo quando finalmente riesci a padroneggiare l’arte di “fare vedere” ti rendi conto che mostrare e non raccontare è di un’efficacia potente. La paura, l’amore, l’eccitazione, la perplessità, l’imbarazzo, la disperazione diventano veri solo se li rappresenti con gesti, azioni, dialoghi o reazioni fisiche. Ecco cosa volevano dirmi! L’ho capito già da un po’ ma Gardner ha messo nero su bianco le risposte ai miei dubbi di qualche anno fa.
  • Intelligenza – questa è la parte del libro che preferisco, qual è il carattere dello scrittore. La figura che emerge è di una bruttezza unica (consentitemi di essere schietta). Intelligenza sta per «un certo tipo d’intelligenza», cioè quella che appartiene a chi narra storie e si compone di diverse qualità: arguzia, testardaggine, tendenza alla villania, infantilismo, inclinazione alla fissazione orale e anale (cioè avere uno smodato modo di mangiare e una fissazione per la pulizia e l’ordine), memoria visiva, giocosità, onestà, pazienza (di un santo), astuzia, instabilità psicologica, noncuranza, impulsività, sconsideratezza e «un inspiegabile e patologico stato di dipendenza da racconti, orali e scritti, di qualità e scadenti». Non so se vi rendete conto, il profilo dello scrittore secondo Gardner è quello di uno squilibrato-pazzo-meraviglioso-folle in cui mi riconosco totalmente.

Già solo questi tre punti, che sono il 70% del libro, sono sufficienti per delineare pregi e difetti (tanti!!) dello scrittore. E la domanda contenuta alla fine della prima parte, corrisponde alla mia domanda di sempre: «Scrivere romanzi è quello che vuoi fare? Quello che vuoi realmente fare?»
«Sì».

Riporto l’ultimo paragrafo, a mio avviso quello che più di tutto spiega chi è un Novelist.

«Infine, il vero romanziere è quello che non lascia perdere. Scrivere romanzi non è tanto una professione quanto uno yoga, una via, un’alternativa alla normale vita-nel-mondo. I suoi vantaggi sono semi-religiosi – un mutamento della natura del cuore e del cervello, soddisfazioni che nessuno che non sia romanziere può comprendere – e i suoi rigori non portano che guadagni allo spirito».

Fra i manuali di scrittura creativa che preferisco, oltre a Il mestiere dello scrittore di Gardner, cito anche On writing di Stephen King e Lezioni Americane di Italo Calvino.

5 risposte a “Il mestiere dello scrittore”

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