L’altra verità (Diario di una diversa)

L’altra verità (Diario di una diversa), edizioni BUR Rizzoli.

Un’altra verità. Sconosciuta. Spaventosa. Una vita parallela e disumana.
Una vita internata in strutture putride e malmesse, dove gli individui erano trattati come non-persone, esseri che dovevano essere puniti per quello che non avevano fatto; allineati su delle pancacce, venivano sottoposti ad elettroshock, anche solo come cura preventiva o come stimolo, provocando nella mente dei degenti ancora più confusione e assenza dal mondo.
In quegli anni, molti venivano ricoverati solo per episodi di depressione o mal di vivere o, addirittura, insonnia o mal di testa.
Ai malati di mente si poteva fare di tutto, e tutto gli facevano.

Ci era proibito tutto; anche di soffrire d’insonnia. E l’insonnia spesso ci visitava, come visita qualsiasi persona su questa terra. Era un’insonnia strana, forse perché non eravamo stanche. Comunque era insonnia, e lì si curava con pensanti elettroshock.

Riprendere in mano questo libretto dopo 6 anni mi ha fatto riflettere sulla nostra condizione umana. Quanti di noi, se fossimo vissuti negli anni ’60, sarebbero stati internati in strutture del genere? Quanti sarebbero guariti e tornati alla vita normale? Difficilmente questo accadeva; era più facile il contrario.

L’internamento provocava nel malato un distaccamento totale dal mondo fuori, un rifiuto anche degli affetti, come un legame che si spezza all’improvviso e non si risalderà mai. L’unico legame che rimaneva erano i lacci con cui i degenti venivano legati, mani e piedi, al letto.

Naturalmente mi riportarono a letto e mi legarono di nuovo.

Trovo difficile parlare di questo argomento, un po’ perché è un tema medico molto delicato che solo un esperto può trattare, inoltre perché sono fermamente convinta che l’approccio di ognuno di noi, di fronte a questa realtà, sia troppo personale per essere banalizzato dalle parole. Per questo preferisco riportare brani tratti dal Diario di Alda e lasciare ad ognuno la riflessione giusta che il proprio cuore sa fare.

Quello che provo io, leggendo queste pagine, è un dolore sordo e profondo. Vi consiglio di immergervi. Contiene l’anima di Alda Merini. Un’anima buona, dolce e travolgente.

Avevo fame di cose vere, naturali, primordiali; avevo fame d’amore. L’avrebbero mai capito gli altri?

Alda guarì grazie al potere della scrittura…
Io, quando scrivo, è come se dormissi ed entrassi nel profondo della mia anima. Mi fa paura il risveglio, il contatto matematico, aggressivo, con la realtà dalla quale vorrei finalmente slegarmi.

E chi viveva il manicomio non se ne liberava più, era qualcosa che restava incollato dentro…
Il manicomio non finisce più. È una lunga pesante catena che ti porti fuori, che tieni legata ai piedi. Non riuscirai a disfartene mai. E così io continuo a girare per Milano, con questa sorta di peso ai piedi e dentro l’anima.

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