L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Federica Bartolozzi

Siamo arrivati alla quinta puntata de L’ora del tè. La prossima ospite è un’autrice toscana che esercita un mestiere molto particolare; quando penso a lei la immagino inginocchiata nella terra, curva, con i guanti e piena di polvere. No, non fa la contadina, ma l’archeologa medievalista. Ed è molto simpatica, carina e spiritosa. L’ho conosciuta un paio di mesi fa e ne ho subito apprezzato lo spirito gioviale e la solarità.
La accogliamo nel mio salotto e cominciamo a parlare con lei.

Federica Bartolozzi, questo è il suo nome, ha pubblicato un romanzo storico dal titolo Una scomoda memoria, per Antonio Tombolini Editore. Collana Klondike.

Benvenuta Federica, è un piacere averti nel mio salotto. Che ne dici se prima di iniziare la nostra chiacchierata prepariamo un po’ di tè? Ho anche dei biscotti fatti in casa; è una ricetta di mio papà!
Il piacere è tutto mio, è un onore poter sedere nel tuo salotto. Mi hai letto nel pensiero. Adoro tè verde e biscotti fatti in casa; ne ho sentito il gustoso profumino appena entrata e so già che te ne chiederò la ricetta.

A questo punto, se sei pronta, possiamo iniziare. Vado con le cinque domande brevi?
Prontissima, almeno credo…!

A che età hai iniziato a scrivere?
Da quando ho “imparato” a scrivere. Mi spiego: dal diario segreto in poi, la mia penna mi ha sempre seguita.

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Nella gestione del quotidiano ne ho quante vuoi; mi danno sicurezza e mi costringono ad essere più ordinata, più attenta. Quando scrivo però, a pensarci bene non ne ho; forse perché mi sento veramente libera e sicura di me.

 Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
Adoro le locations piene di storia stratificata che siano grandi città, piccoli borghi nella campagna o isolette in mezzo al mare. Una cosa è certa: devo conoscere palmo a palmo il luogo che fa da sfondo alla mia narrazione, anche se fisicamente non ci sono mai stata! Nel momento in cui ne scrivo, io mi trovo lì.

 Il libro più bello che hai letto?
Di libri belli ne ho letti tanti, ma uno di questi ha orientato le mie scelte di vita: “La scoperta di Troia” di Heinrich Schliemann, letto quando avevo dodici anni.

 Il luogo più strano in cui scrivi?
Migro continuamente con il mio PC sotto braccio e tutti i miei appunti. L’importante è che ci siano la giusta atmosfera, la giusta ispirazione e che io sia sola. Esigo un rapporto esclusivo con il mio libro… ovviamente finché è in fase di stesura!fede2

Bene, Federica! Direi che abbiamo iniziato alla grande.
Prima di cominciare la nostra chiacchierata ti svelerò un segreto. Quando frequentavo le scuole medie, alla domanda “cosa farai da grande” rispondevo “l’archeologa”. C’era un mistero particolare nei resti delle antiche città, nelle tombe dei faraoni, nella storia che leggevo sui libri e immaginavo di dover rivelare al mondo. Non so per quale motivo questo amore per l’archeologia che ancora oggi provo non abbia avuto sfogo e la vita mi abbia portato altrove, ma ti assicuro che è un’emozione per me oggi chiacchierare con un’archeologa in carne ed ossa. Quindi intanto grazie!
Veniamo a noi.
“La scoperta di Troia” di Heinrich Schliemann, importante archeologo tedesco, ha segnato la tua vita professionale. Ce ne vuoi parlare? Ci racconti un po’, se ti va, di cosa ti occupi?
Grazie a te Roberta per questa bella opportunità di condividere un po’ di storia personale. Tendo ad essere caratterialmente schiva e quando ho deciso di scrivere, l’ho fatto con il nome di FG Bart (l’altra me!).
È ovvio però che in ciò che scrivo vadano ad influire la mia formazione, il mio amore per le civiltà passate e per la storia in genere.
Nelle mie scelte professionali ho semplicemente assecondato lo stesso impulso, o inclinazione che dir si voglia, come hai ben descritto nella tua domanda. Sono laureata in Lettere e specializzata in Archeologia medievale, prediligendo quindi un’epoca diversa da quella dell’archeologia cosiddetta classica (latina, greca, orientale) che, fino agli anni novanta, era stata predominante. La mia attività è molto varia: prendo parte a campagne di scavo con gruppi italiani ed inglesi, sul territorio nazionale e non. Un lavoro di cui vado particolarmente fiera è la ricostruzione topografica della Verona altomedievale eseguita basandomi sul confronto delle fonti scritte, storiche, iconografiche e di scavo. Mi ha impegnata per lungo tempo al fianco di persone fantastiche delle quali leggevo sui miei libri di testo e che adesso sono colleghi ed amici. Pensa che una copia di questo studio viene conservata nella Biblioteca Capitolare di Verona, una delle biblioteche più antiche e affascinanti al mondo. Queste, per me, sono soddisfazioni.
Ma ora mi zittisco, sono già diventata noiosissima; FG Bart, te lo assicuro, è più divertente!

Mi hai dato il la per la seconda domanda. Poi, fra poco, parleremo anche di Una scomoda memoria. Visto che FG Bart come dici tu è più divertente, parliamo un po’ con lei.
Come mai hai deciso di pubblicare il tuo romanzo usando uno pseudonimo anziché il tuo vero nome? Di solito lo si fa per non essere riconosciuti oppure per incrementare le vendite ma nel tuo caso credo non siano questi i motivi della scelta. Ce ne vuoi parlare? Ti capita mai di pensare in un modo quando sei Federica e in un altro totalmente opposto quando indossi gli abiti di FG Bart? È una domanda un po’ forte e forse anche folle, vorrei portela perché a me capita e sono curiosa di sapere se di pazzi come me ce ne sono in giro altri! Senza offesa ovviamente, Fede, io considero la pazzia una fantastica normalità e credo sia un po’ la condizione di normalità degli stessi scrittori: senza un po’ di follia non esisterebbero la scrittura, l’arte… non credi?
Certo che lo credo; lo condivido nel modo più assoluto.
Ebbene, ti farò parlare con quella più spavalda e con più “self confidence” tra le due!
L’idea di utilizzare uno pseudonimo è venuta dalla volontà di abbreviare un nome lungo. FG Bart è corto, si ricorda facilmente, è internazionale e soprattutto è privo di genere. Sì, hai capito bene, né femminile né maschile, unisex insomma. Mi piace l’idea di una scrittura affrancata dal genere, sia dell’autore che del lettore.
Dopodiché, si può dire che ci ho preso gusto e mi sono accorta che “in incognito” scrivevo più liberamente, funzionava; la mia fantasia non aveva limiti. Intendiamoci, la base storica per me dev’essere ineccepibile, senza errori, ma la storia che andavo a creare, la “mia” storia, poteva essere finalmente inventata di sana pianta. Davo tutto lo spazio che volevo al connubio tra l’amore per le origini, la storia e la ricerca uniti alla mia sete di scoperta e al fascino per il mistero e l’intrigo. Incastravo così i personaggi del romanzo tra gli eventi realmente accaduti, facendoli relazionare con personaggi realmente esistiti.
Forse, come FG Bart, ho semplicemente assecondato quell’attrazione mista a magia che si prova nel riportare alla luce ciò che il tempo e gli eventi hanno sepolto per tanto tempo.
Se i miei romanzi uscissero con il mio nome mi sentirei in colpa, mi sembrerebbe di fare un torto all’altra me (quella noiosa, prudente e scrupolosa!).
Sicuramente quando scrivo mi rilasso e mi diverto. Non ho freni se non quelli della coerenza allo svolgimento del racconto, del rispetto della grammatica e del buon gusto.
Come puoi facilmente dedurre fin qui, FG Bart dice, ma soprattutto scrive, cose diverse e talvolta opposte, da Federica; e quant’è spassoso…
Per noi scrittori, come per gli artisti in genere, un po’ di follia è genetica; altrimenti cosa ci spingerebbe a metterci così in gioco e talvolta a nudo? O mi sbaglio?
Ti dirò di più: mi piace anche pensare che nella follia degli artisti ci sia spesso un po’ di genio incompreso, come tanti esempi illustri ci ha consegnato proprio la storia. Ma non è certo il mio caso!

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Certo è tutto molto affascinante. A partire dalla ricerca delle fonti e delle informazioni fino a costruire un qualcosa che è vissuto, nel tuo immaginario, centinaia di anni fa. L’amore per la storia è qualcosa di totalizzante. O l’ami o la odi.
In Una scomoda memoria è evidente l’amore dell’autore (FG Bart) per la storia. Non c’è parola o frase che non sia stata studiata in maniera millimetrica e che renda il tutto molto credibile. Anche la fiction che ci hai imbastito sopra. Ecco la definirei così: una fiction giallo storica.
Mentre ti leggevo ho ammirato il notevole lavoro che hai fatto; oltre all’immenso impegno necessario quando si scrive un romanzo, tu hai dovuto gestire un surplus legato appunto all’analisi storica.
Ci racconti come svolgi le tue ricerche, a quali fonti ti riferisci per le tue indagini e quanto tempo hai impiegato per raccogliere le informazioni necessarie per scrivere Una scomoda memoria?
Ti ringrazio per le belle parole sul mio lavoro. Apprezzo molto il tuo parere e mi piace la definizione che hai dato di fiction giallo storica. Calza a pennello con ciò che ho inteso realizzare.
Terminato il mio gongolamento, ti confesso che a metà stesura di Una scomoda memoria mi era venuto un grande sconforto. Ho temuto davvero di non essere in grado di gestire, senza commettere errori madornali, l’intreccio di eventi e personaggi che spostavo da un posto all’altro e da un’epoca all’altra, facendo loro combinare le cose più incredibili.
Ho pensato di aver sbagliato a mettermi alla prova partendo da un romanzo e che, forse, avrei dovuto prendere in considerazione di scrivere prima dei racconti. Non penso affatto che il racconto sia più facile, beninteso, richiede sicuramente un ritmo rapido e incalzante che condensi la storia da raccontare ma, a mio parere, il romanzo è più complicato da gestire proprio per la sua lunghezza e distensione, soprattutto se si tratta di un romanzo storico.
Ormai però mi ero intestardita e volevo arrivare in fondo. Così, dopo un paio di mesi di blocco totale, durante i quali non rileggevo neppure ciò che avevo già scritto, sono ripartita, riordinando lavoro e idee con schede varie e la scrittura filava rapida; ti assicuro, pareva che improvvisamente sapessi dove andavano messe le tessere di un puzzle. Penso che leggendo il romanzo questa cosa si percepisca un po’, anche se nella stesura definitiva ho spostato all’inizio alcuni capitoli scritti nel secondo tempo.
Il lavoro di ricerca è avvenuto in contemporanea al romanzo. Per rispondere quindi alla tua domanda su quanto tempo abbia impiegato per raccogliere i dati necessari alla mia narrazione, ti rispondo che nella realtà non ho compiuto una ricerca prima di iniziare a scrivere, ma ho semplicemente cominciato utilizzando e rimettendo insieme nozioni che già possedevo, sopralluoghi fatti per lavoro, esperienze di viaggio personali, tanti libri (non dimenticare che sono un topo di biblioteca!), che andavo ad integrare, in contemporanea all’elaborazione del testo, con ricerche mirate ad arricchire la mia fiction. Ho posto molta attenzione a non gravare la narrazione con inutili e boriosi sfoggi di cultura (cosa che anche troppo spesso capita con i romanzi storici), ma limitando le citazioni e le descrizioni storiche solo per inquadrare e definire meglio il contesto.
È stato poi molto bello leggere, in svariate recensioni, che veniva apprezzata la coerenza e la precisione storica che fa da base al racconto ed è stata per me una splendida occasione per approfondire la conoscenza su più fronti.
Da quando è nata l’idea del libro all’autopubblicazione sulle principali piattaforme editoriali digitali sono passati circa dieci mesi di lavoro diciamo part-time.
Anche la collaborazione con la mia editor, che ne ha seguito la pubblicazione per la casa editrice, è stata una splendida esperienza, molto formativa.
Per quanto riguarda i luoghi dell’ambientazione ho optato, come si suol dire, per giocare in casa scegliendo per la maggior parte posti a me familiari (sottolineo ‘per la maggior parte’ dato che la compagnia, formata dai tre protagonisti, gira come una forsennata!).

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Grazie Federica, se me lo consenti, riprendo alcune tue frasi per ampliare un po’ con te l’argomento scrittura: “lavoro di ricerca in contemporanea al romanzo”, “non gravare la narrazione con inutili e boriosi sfoggi di cultura”, “sono un topo di biblioteca”.
Artigianato! La scrittura è un’attività di puro a
rtigianato, sei d’accordo?
Io credo che tu ci abbia regalato alcuni spunti di riflessione importanti. Chi pensa di approcciarsi alla scrittura con leggerezza non ha capito che la leggerezza va applicata alle parole, al testo, non al lavoro che la scrittura richiede. Non esiste genere che sia semplice e tu l’hai espresso benissimo quando dici: “Non penso affatto che il racconto sia più facile”.
Scrivere con meno parole non significa “facile”. Scrivere senza essersi preparato diligentemente è l’errore più grande che uno scrittore possa commettere. Scrivere senza leggere atrofizza la narrazione lasciandola sterile e povera.
Quello che hai rappresentato è il profilo esatto dello scrittore. E “un paio di mesi di blocco totale” non significano non scrivere, anzi. Uno scrittore scrive anche non scrivendo.
La mia prossima domanda non è una domanda, vorrei un tuo parere su questa mia riflessione che ti ringrazio di avere sollecitata.
Condivido appieno il fatto di considerare la scrittura un’attività artigianale e ti confesso di non averci mai pensato prima in questi termini.
Il lavoro che sta dietro alla stesura di uno scritto, che si tratti di un articolo di giornale condensato in un numero predefinito di parole, o di un racconto, o un romanzo, o un saggio divulgativo o altro è sempre, e sottolineo sempre, il risultato di una lunga ed accurata attività di studio, di approfondimento, di ricerca e analisi sia per i contenuti che si vanno a comunicare, sia per la forma e lo stile con i quali si presentano. Leggere è certamente una parte fondamentale della preparazione. Tiene aperta e allenata la mente e fornisce prospettive di valutazione diverse. L’attività dello scrittore è manuale, personale ed avviene con l’ausilio di pochi semplici strumenti (la definizione “attrezzi” calzerebbe meglio con l’artigianato!).
Prima di pubblicare i propri scritti è bene che vengano letti ed esaminati da esperti, un occhio critico ed obbiettivo che permetta di avere un “prodotto” di qualità (come nell’artigianato d’altronde), questo è il fondamentale lavoro di un editore serio e professionale.
Ti confido una tenace sensazione che sto provando durante la stesura del secondo romanzo: adesso percepisco molto più imponente il peso della responsabilità di produrre un buon lavoro, che non deluda il mio editore ed i miei lettori, rispetto al primo romanzo che ho scritto di getto, senza pensare che qualcuno l’avrebbe mai letto!
Non dimentichiamo che la scrittura è la forma più durevole ed efficace per la trasmissione e conservazione della memoria, con la M maiuscola, e delle informazioni in genere. La scrittura resta, come gli antichi romani saggiamente sostenevano: “verba volant, scripta manent”!

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La “cassetta degli attrezzi” dello scrittore, come la definisce Stephen King nel suo meraviglioso On Writing, è qualcosa di indispensabile, è ciò che tutti gli autori dovrebbero avere ed utilizzare.
«Per scrivere al meglio delle proprie capacità, è opportuno costruire la propria cassetta degli attrezzi e poi sviluppare i muscoli necessari a portarla con sé» dice King. Ed io credo proprio che sia così.
Siamo arrivate in fondo a questa avventura e ti pongo la mia ultima domanda.
Intanto in bocca al lupo per il tuo secondo romanzo che immagino sarà sempre un giallo storico.
Hai tutta la mia ammirazione!
Da quando hai cominciato a scrivere non hai mai pensato ad un genere diverso? Un rosa, noir, erotico, per ragazzi o narrativa in genere? Solitamente ogni autore ha un suo filone preferenziale. Tu rimani fedele al romanzo storico o ti lasci aperte alcune porte?
“Crepi il lupo!” (Povero lupo…) Grazie Roberta.
Per questo secondo romanzo è in corso una lenta gestazione, ma ce la farò!
Per rispondere alla tua domanda sul genere, ti posso dire che mi viene naturale ambientare le mie storie nel passato e amo il thriller, il giallo in generale. Per diletto leggo tendenzialmente romanzi gialli sia contemporanei che storici e nel caso di questi ultimi sono incontentabile: cambierei sempre qualcosa.
Forse è per questo che ho cominciato a scriverne io; mi sono detta: «Vediamo allora cosa sei in grado di fare tu!»
Quando però mi sentirò rodata a sufficienza chissà, mai dire mai…
Magari potrei ambientarne uno nel futuro; in casa avrei già due potenziali lettori!

Capisco cosa intendi, anche io ho avuto la tentazione di scrivere il libro che avrei voluto leggere e forse… l’ho anche scritto!
Grazie Federica per avermi dedicato il tuo tempo, tu sei l’ultima autrice che ospito nel mio salotto per il 2016. Con te chiudo l’anno e auguro a tutti i lettori un Natale ricco degli affetti più cari e un Capodanno pieno di bollicine. Vi aspetto nel 2017 per nuovi e interessanti appuntamenti con l’autore.
Ti ringrazio di cuore Federica e ti aspetto nuovamente nel mio salotto per parlare del tuo prossimo libro.

BUON NATALE A TUTTI E FELICE ANNO 2017.

Letture sotto l’Albero di Natale

Innumerevoli i post dal titolo “Letture sotto l’ombrellone”, in estate. Neanche uno invece che si riferisca alle letture sotto l’Albero. A Natale siamo troppo impegnati ad armeggiare con zucchero a velo e coltello. Colpa del freddo e della coperta di pile che abbiamo addosso. O colpa della televisione che in questo periodo propone la scorribanda natalizia dei soliti filmettini o programmi ricorrenti.

Contravvenendo ad ogni abitudine tipica di questo mese vorrei evitare di parlare di panettone o Mamma ho perso l’aereo! e concentrarmi invece su cosa poter regalare a noi stessi o ai nostri cari per Natale.

Parliamo di libri. Quelli letti nel 2016. E per non fare torto a nessuno li nomino in ordine decrescente di lettura.

  1. Punti e Interrogativi. Di Manuela Bonfanti. Quattordici racconti dove il femminile è protagonista.
  2. Una scomoda memoria. Di FG Bart. Un mistero resta nascosto per millenni fino a quando qualcuno non decide che è giunto il momento di svelarlo oppure…
  3. Pane, marmellata e tè. Di Carla Casazza. Tre racconti giallo-rosa con una investigatrice intrigante e un po’ fuori cliché.
  4. Dietro lo steccato. Di Ilaria Vitali. Una pepita d’oro e zaffiri da leggere ad anima aperta.
  5. Dentro e fuori Cheyenne. Di ALIAS. Una storia fantastica che vi tirerà dentro il mondo dello spionaggio.
  6. Quando guardo verso Ovest. Di Massimo Lazzari. Trentatré racconti dal sapore rock.
  7. RIP. Di Marco Valenti. Un romanzo che parla del distacco dalla vita.
  8. Questo cerchio sei tu. Di Fabio Locurcio. Una lettura che lascia con il fiato sospeso.
  9. Fotogrammi in 6×6. Di Michele Marziani. Tre brevi ritagli di ricordi da non perdere.
  10. La dieta su misura. Di Letizia Bernardi Cavalieri. Il libro che vi convincerà a mettervi a dieta.
  11. Il capolavoro. Di Amanda Melling. Un giallo… capolavoro.
  12. L’istinto di una donna. Di Federica D’Ascani. Un erotico denso di passione.
  13. Non padre. Di Stefano Padovan. Una storia che tocca l’anima.
  14. Il pescatore di tempo. Di Michele Marziani. Un libro che parla di pesca di vita.
  15. L’odore del riso. Di Angelo Ricci. Il mio noir preferito.
  16. Un solo sangue. Di Lea Rivalta. Una scrittura che scuote le vene.
  17. Partenze. Di Maggie Van Der Toorn. Una lettura intensa e sorprendente.

Se poi questi titoli non vi bastano andate QUI, sul mio BLOG, nella pagina delle Recensioni e cercate altri titoli oppure negli scaffali di Antonio Tombolini Editore, sbirciate all’interno delle collane e cercate altre pietre preziose. Potrete leggerne la trama oppure acquistarlo.
Splendide idee per un pomeriggio sul divano vicino all’albero di Natale acceso o da impacchettare e regalare.

Ah, dimenticavo! Ricordatevi Tranne il colore degli occhi, il MIO romanzo. Regalatevelo, dicono che sia un bel libro. E’ una storia di amicizia, di quelle che non si rompono neanche con la morte.

BUON NATALE e BUONA LETTURA.

Punti e interrogativi

Quanti sono i Punti e quanti gli Interrogativi?

Quante sono le domande di una vita? Quante invece le certezze?

Adoro le storie di donne scritte da donne, lo dissi già qualche decina di recensioni fa a proposito di Angeles Mastretta. E questa antologia me la ricorda molto.

Contiene quello che c’è nella vita di ogni donna: superficialità, completezza, disorientamento, irriverenza, passione, schiettezza, ricordi, tenerezza.

Quattordici pennellate di colore, quattordici spaccati di quotidiana presenza o assenza, quattordici protagoniste con un sogno da raggiungere o una delusione.

Donne che interpretano una vita piena o vuota, che sono vive o morte, madri o figlie, regine o puttane, ricche o povere. Donne che aspirano con orgoglio all’unica luce che splende alla fine del cammino. Prendono in mano la vita e la stendono ai loro piedi. Come stendono figli, madri e uomini. Come spezzano catene. Come traducono sogni. Come cuciono vestiti. O scrivono poesie. Con coraggio.

Quattordici catene chiuse o spezzate.

Leggere Punti e Interrogativi lascia con molte domande aperte, quelle che il lettore vorrebbe rivolgere, alla fine della storia, ad ognuna delle protagoniste. Perché? Avrei immaginato finali diversi. Con respiri pieni, sogni realizzati. Ho pianto per le lacrime ed il dolore. Ho avuto paura di andare avanti, oltre la pagina. Ho ascoltato le loro voci, il battito dei loro cuori. Ho passeggiato al loro fianco, spalla contro spalla, respiro contro respiro.

Con la sua scrittura piena, ricca, indimenticabile Manuela Bonfanti irrompe in un pomeriggio di silenzio. Come lettrice mi sono appassionata alle storie tutte diverse e altrettanto sorprendenti, come scrittrice ho amato lo stile pulito e sicuro di una scrittura matura intrisa di tutti i sentimenti tipici delle donne.

Punti e Interrogativi, per i temi che contiene, non è una lettura facile. Soprattutto non risponde ai dubbi che i racconti fanno emergere.

Leggetelo, ma in solitudine, fino all’anima di ogni singola parola.

Punti e Interrogativi lo trovate nella collana Oceania di Antonio Tombolini Editore.

L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Carla Casazza

Oggi incontriamo Carla Casazza, giornalista, agente letterario, editor, esperta in social media e comunicazione e direttrice della collana OLOS per Antonio Tombolini Editore.
Carla ha al suo attivo alcune pubblicazioni di saggi importanti come Montecuccoli 1937-38. Viaggio in Estremo Oriente (Bacchilega Editore), Governo ed amministrazione ad Imola nella prima età moderna (ormai esaurito), Agente letterario 3.0 Reloaded (Errant Editions), l’antologia di racconti Scritto sull’acqua (Narcissus Self Publishing) e Pane, marmellata e tè (Edizioni del Loggione). Collabora con Critica Letteraria, Bookavenue e Il Colophon.
Carla è di origine veneta ma romagnola di adozione e, come dice lei stessa, nel cuore.
La scrittura, i libri e quello che passa attraverso la parola scritta sono una parte fondamentale della sua vita, come ci racconterà lei stessa.

Benvenuta Carla nel mio salotto, per me è un’emozione averti qui. So che ami gli infusi e i tè. Cosa posso offrirti mentre chiacchieriamo?
Un Earl Grey rigorosamente “liscio”.

Molto bene. Se sei pronta, iniziamo la nostra chiacchierata.
Prontissima.

A che età hai iniziato a scrivere?
Sette anni (e ho vinto il mio primo concorso letterario nazionale scolastico a otto).

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Non ne ho, a parte il fatto che ODIO chi sbircia nel mio pc o nel quaderno.

Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
Ovunque, basta che il luogo colpisca la mia immaginazione.

Il libro più bello che hai letto?
Difficile sceglierne uno. Negli ultimi anni “Questo bacio vada al mondo interno” di Colum McCann.

Il luogo più strano in cui scrivi?
Scrivo dappertutto: a casa, in treno, in auto, in aercarla1eo, nei caffè, su una panchina, ho scritto anche seduta sul sedile della moto… dipende cosa intendiamo per strano.

Sbirciando un po’ nel tuo bagaglio di referenze ho trovato molte cose interessanti:
agente letteraria, scrittrice, editor, direttrice di collana… È come se tutte le sfaccettature del mondo della scrittura, in te trovassero un centro. Penso, nel mio piccolo, a quanta fatica occorre per programmare un romanzo, scriverlo, promuoverlo, tenere un blog per aumentare la visibilità, ecc. Ed immagino la tua, di fatica, a fare collimare più esigenze diverse, tue e di altri. Inoltre curi diversi blog, recensisci libri, partecipi a gruppi di lettura, presenti libri… Insomma, hai una professionalità poliedrica.
La mia curiosità è: di tutte le attività che svolgi, quali ti hanno maggiormente aiutato nella tua carriera di scrittrice? Hanno influito in modo positivo oppure alcune sono state di intralcio?
Il tuo lavoro, ovviamente, ti impone di leggere molti libri. Facendo un calcolo approssimativo, quanti ne leggi in un anno?
Devo essere sincera al 100%? Dopo avere trascorso la giornata lavorativa a scrivere, promuovere, editare, ecc. gli altri autori, della mia vena creativa e della voglia di fare lo stesso per i miei progetti letterari resta molto molto poco. Anche perché spesso mi capita di lavorare fino a tardi. Tutto ciò quindi va a discapito della mia attività come scrittrice, della promozione dei miei libri, ecc. E non ti nascondo che sto facendo delle attente riflessioni sulla questione.
Quanti libri leggo in un anno tra quelli “per diletto” e quelli “per lavoro”? Circa 200 direi.

Certo che devi essere sincera. Mi piace parlare in modo diretto con le persone che incontro. È un po’ nella mia natura ed apprezzo chi lo è. Il tempo per la scrittura è tempo che va tolto a tutto il resto e spesso è la scrittura che ne soffre. Lo stesso vale per la promozione, le presentazioni. Ti capisco perché so cosa significa.
Con te vorrei affrontare un argomento che mi sta a cuore. Poi parleremo anche dei tuoi libri.
Tu leggi circa 200 libri ogni anno. Un numero notevole. Li leggi perché il tuo mestiere ovviamente lo richiede.
Parlando con Carla scrittrice mi piacerebbe avere una tua opinione sulla necessità di leggere per poter poi scrivere. Mi spiego meglio. Per scrivere è fondamentale leggere. Più libri si leggono più la scrittura si arricchisce, decolla. So anche che molti autori non leggono o leggono poco.
Quanto è importante invece la lettura per uno scrittore? È preferibile leggere un certo genere di libri o qualsiasi pagina scritta è adatta allo scopo? E infine, la lettura di libri di altri autori che uno scrittore fa, può condizionare il suo stile? Oppure migliorarlo?
Secondo me per uno scrittore la lettura è fondamentale.
Prima di tutto per i motivi più scontati, quelli per i quali la lettura è importante per tutti: sviluppa il senso critico, aiuta ad avere un punto di vista più ampio e obiettivo, mantiene vivo il cervello, spalanca nuovi orizzonti, ecc. Se una persona che si definisce scrittore non legge come può essere in grado di valutare ciò che ha scritto? Per valutare occorre essere in grado di confrontare il proprio lavoro con gli standard, con il resto della letteratura.
Inoltre leggere ci fa apprezzare (o detestare) strutture e stili narrativi diversi, ci mette di fronte a scritture di tutti i tipi che sentiremo più o meno congeniali alla nostra sensibilità. E anche leggere brutti libri (o quelli che noi riteniamo tali) può essere utile, per stabilire cosa proprio non ci piace, gli errori in cui non vogliamo cadere.
Non credo che la lettura possa condizionare il nostro stile, perché in ciò che scriviamo mettiamo sempre la nostra personalità. Piuttosto credo che sia ciò che ci piace che possa influenzarci. Mi spiego: io amo molto la scrittura asciutta, diretta, frasi brevi, poche leziosità. E infatti leggo molti autori nord europei, spesso accomunati da queste caratteristiche. Non amo molto i periodi lunghi, le descrizioni troppo ricche, le parole “barocche”, certi stili di autori sudamericani o mediterranei che mi paiono ridondanti. Quando scrivo, lo so, sono molto sintetica, essenziale. Ma certo la mia scrittura non è una copia dei miei autori preferiti. Forse la summa di tutti? O forse è solo la scrittura di Carla a cui piacciono le frasi brevi e poco leziose.
Certamente se leggiamo buoni libri miglioriamo la nostra scrittura.

Penso che tu ci abbia fornito un punto di vista molto interessante da cui osservare la nostra scrittura: ciò che ci piace influenza il nostro stile. Un punto di vista che non avevo mai considerato, su cui mi trovi molto d’accordo. Penso non solo ai libri che leggiamo ma anche a ciò che accade mentre viviamo e che spesso traduciamo in storie. Mi spiego e ti chiedo.
Una storia deve essere credibile o, per lo meno, coinvolgermi a tal punto da farmi accettare qualsiasi scelta dell’autore (mi vengono in mente almeno una decina di romanzi in cui mi sono stupita di ciò che accadeva ma ho accettato) tanto che è consigliabile che lo scrittore scriva di ciò che conosce bene. Nella tua esperienza di vita da scrittrice ti accade spesso di visitare luoghi, incontrare persone, vivere situazioni che poi diventano materia prima per le tue storie? Quanto di reale c’è nei tuoi racconti e quanto invece è frutto della tua fantasia?
Mi accade di continuo! Anzi, devo fissarmi dei paletti da sola perché grazie a luoghi, persone, vicende, conversazioni che mi ispirano ho già raccolto tante di quelle idee per altrettanti romanzi e racconti che non so se riuscirò a scriverli tutti in questa vita. C’è da dire però che sono anche molto critica. Tutte le idee di cui sopra me le appunto in un taccuino speciale, ma ogni tanto le rileggo e quelle che non mi convincono più le elimino.
Direi che la percentuale di reale e immaginario nelle mie storie è 50 e 50. Ma di solito la scintilla originale, quella da cui poi nasce la fase creativa, ha origine sempre nel reale.

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Capisco bene cosa intendi. A volte anche camminando semplicemente per strada, la scintilla creativa che darà vita ad una storia può accendersi. Quando meno te lo aspetti.
Parliamo ora dei tuoi libri. Io ho letto sia Scritto sull’acqua che Pane, marmellata e tè. Il primo è una raccolta di racconti, mentre il secondo è un giallo-rosa che contiene tre avventure della simpatica Beatrice. Si tratta di storie brevi che nulla hanno da invidiare a romanzi più articolati. Personalmente trovo molto invitante la scrittura delle short story e devo dire che non è per niente facile scrivere condensando la storia.
Quando hai progettato Pane, marmellata e tè l’hai pensato con una struttura a racconti fin dall’inizio oppure hai valutato anche l’ipotesi del romanzo? I tre episodi di Beatrice possono essere considerati dei racconti lunghi, contengono diversi personaggi, hanno un andamento che ricorda molto il romanzo, ma per necessità narrativa prevedono molte delle caratteristiche di una short story: puntare l’occhio di bue su uno o pochi eventi in particolare, concentrarsi solo su alcuni dettagli, non dilungarsi nelle descrizioni. Alla luce di tutto questo, a tuo parere, è più facile scrivere un racconto rispetto ad un romanzo, o viceversa?
Pane, marmellata e tè è nato proprio con l’intenzione di proporre tre racconti legati tra di loro ma che allo stesso tempo siano episodi autoconclusivi. E infatti sono stati “costruiti” secondo questa esigenza.
Secondo me è più difficile scrivere un racconto, perché hai un minore “spazio di manovra” rispetto al romanzo: hai a disposizione meno pagine per delineare i personaggi, fare entrare il lettore nella storia, creare l’atmosfera che lo catturi. C’è da dire però che vengo da oltre vent’anni di giornalismo e sono quindi abituata a dovere esprimere molto in poche righe. I miei prossimi progetti, comunque, sono relativi ad alcuni romanzi piuttosto articolati, quindi ti saprò dire fra qualche mese se confermerò questa mia teoria o meno.

Ovviamente siamo curiosissimi dei tuoi futuri progetti, ma per scaramanzia non ti chiederò di cosa si tratta. Ne parleremo quando sarai pronta a svelarli.
Fra le tue pubblicazioni abbiamo citato alcuni saggi storici, fra cui Montecuccoli 1937-38. Viaggio in Estremo Oriente, pubblicato da Bacchilega Editore, la cronaca del viaggio dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli, che partì da Napoli alla volta di Shanghai, in aiuto alla popolazione cinese. Il tuo è stato un importante lavoro di ricostruzione storica, che credo sia stato anche emozionante, visto che quel viaggio ha riguardato in qualche modo la tua famiglia. Ce ne vuoi parlare? Cosa ha significato per te scrivere questo libro? Quali sensazioni ha suscitato in Carla?
Con questa domanda avremmo finito la nostra intervista, ma di cose da chiederti ce ne sarebbero ancora tante. Possiamo ridarci appuntamento fra qualche mese, quando avrai qualche notizia in più da fornirci sui tuoi progetti futuri?
Però ho altre due curiosità (ed a questo punto non solo io). Tu vivi per scrivere e scrivi per vivere, una vita dedicata alla scrittura, ai libri, alla scoperta di autori esordienti e di novità letterarie. Quali sono le altre passioni di Carla, quelle che non riguardano libri e circondario?
E poi, se dovessi scegliere una fra le tante sfumature delle tue attività professionali (scrittrice, agente, editor, giornalista…) quale preferiresti esercitare per la vita?
Montecuccoli 1937-38. Viaggio in Estremo Oriente per me ha un grandissimo significato affettivo perché uno dei membri dell’equipaggio era mio nonno materno, Aroldo Sabbadin: i suoi racconti mi hanno affascinato fin da quando ero piccola e averli raccolti in un libro è come preservare la sua memoria ora che non c’è più. Ma è stata anche una importante operazione di ricerca perché questo episodio della storia della Marina Italiana è sconosciuto a molti e invece si è trattato di un evento significativo: la prima missione di pace della nostra Marina durante la quale sono state salvate migliaia di persone, occidentali ma soprattutto cinesi di Shanghai (la missione è stata svolta durante la guerra cino-giapponese). Oltre alle testimonianze di mio nonno ho raccolto quelle di altri membri allora ancora in vita dell’equipaggio: è stato come fare un commovente viaggio nel passato perché questi anziani marinai ricordavano nitidamente tutto e raccontavano la loro avventura con emozione. Nei loro occhi che brillavano ho rivisto i giovani sottufficiali del 1937.  Si è trattato comunque anche di una ricostruzione storica importante perché esistono pochissime informazioni in italiano sulla missione: in dieci anni ho raccolto materiale soprattutto in lingua inglese (articoli di giornale, diari e reportage, saggi storici) e sono riuscita a ricostruire spero al meglio la vicenda. Ma la cosa che mi ha reso più felice è che da quando è uscito il libro, dieci anni fa, ricevo regolarmente mail di parenti di ex membri dell’equipaggio che mi mandano immagini, memorie, ecc. Oppure semplicemente mi ringraziano per averlo scritto. Ho ricevuto email dalla Svezia, da Pechino, dal Canada, dagli USA. Tutto questo mi emoziona e avrei voluto poterlo condividere con mio nonno. Sto pensando a una seconda edizione del libro arricchita da tutto il materiale che mi è stato inviato in questi anni.
Rispondendo alle altre tue domande… certamente quando avrò novità interessanti sui miei nuovi progetti ti farò sapere.
Quali sono le mie passioni al di fuori dei libri e della scrittura?
Amo viaggiare, il fai da te (uncinetto, punto croce, cucito, creazioni con la carta o le perline), quando ho l’ispirazione giusta cucino.
Se potessi scegliere una sola delle mie attività professionali? Scrittrice, senza alcuna esitazione!

Sentirti parlare della tua esperienza di ricerca e scrittura di Montecuccoli e dell’effetto che sta suscitando in coloro che hanno partecipato alla missione e nei loro parenti emoziona un po’ tutti noi ed io credo che questo sia un libro da leggere e consigliare. Io per prima lo leggerò al più presto.
Grazie Carla per averci dedicato il tuo tempo e per avere condiviso con noi le tue passioni e qualche tuo piccolo segreto. Ti aspetto di nuovo nel mio salotto!

 

 

 

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