L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Stefano Rossini

Conosci l’autore di oggi, Stefano Rossini? No? Allora mettiti comodo, recupera una buona mezz’ora libera da dedicare a questa lettura e fai rifornimento di pop corn, patatine e birra (per la gioia di Piero De Fazio) o Martini Rosso (per quella di Ilaria Vitali).


Credevo di avere provato tutto, qui, a L’ora del tè. L’erotismo, l’ironia, la seriosità, il pragmatismo, la razionalità, il sentimentalismo, l’emozionalità e anche la spiritualità.
Mi mancavano il surrealismo e l’onirismo ed ero al completo.
Faccio un piccolo passo indietro per raccontarti il dietro le quinte de L’ora del tè.
Le interviste che leggi sul mio blog sono rigorosamente virtuali. Il salotto, il tè, i biscotti – ehm, scusa Piero, anche la birra… – sono tutta una finzione. Ah non lo sapevi? Io e il mio ospite di turno colloquiamo via mail: è più comodo per tutti, ci raggiungiamo facilmente anche a distanza e possiamo farlo senza stravolgerci la vita.
Questa volta, però, è stato diverso, un’avventura alla Jules Verne. E per evitare di fare anche noi il giro del mondo in 80 giorni, ho condiviso con l’autore l’idea di un incontro ravvicinato a colazione (in effetti gli sono letteralmente corsa dietro, visto che lui stentava, e non poco, a rispondermi in tempi decenti).
Prima di pianificare l’incontro però ho sbirciato sul suo calendario biografico. Non sai cos’è? Se clicchi QUI lo scoprirai, e, tranquillo, non lo sapevo neanche io prima di diventare amica di Stefano Rossini, l’unico uomo al mondo le cui personalità (SETTE) sono strettamente condizionate dal giorno della settimana, profondamente diverse e in antitesi l’una dall’altra; per decidere con quale Stefano Rossini parlare, le ho analizzate attentamente una per una.
Avevo poche alternative visti i miei impegni, o sabato o domenica. E considerando che StefanoDomenica mangia, dorme e guarda telefilm, mi restava un’unica scelta, la personalità più complessa di tutta la settimana: StefanoSabato!!

Il 7 ottobre 2017 io e Stefano Rossini ci incontriamo al Bio’s Cafè di Rimini per una colazione fra amici, per parlare delle nostre scritture ed esperienze editoriali e concludere l’intervista che stenta a procedere (via email ci siamo arenati alla seconda domanda).
Questa è la prima edizione de L’ora del tè che si svolge (in parte) seduti a un tavolino, faccia a faccia.

Eccoci qua, Stefano! Questa sarà L’ora del tè più stravagante di tutta la serie. Abbiamo ordinato un tè, un caffè, un estratto di frutta e due brioche bio (Piero De Fazio starà rabbrividendo al pensiero). Siamo seduti in una sala-verde, tranquilla e silenziosa, pronti per continuare la nostra chiacchierata, iniziata in modalità virtuale come tutte le altre e terminata come i grandi intervistatori sanno fare, con il registratore acceso.
Pronti. Via!

A che età hai iniziato a scrivere?
Dodici anni circa. Scrivevo giornali con fumetti, rubriche e storielle. Poi ho ricominciato a sedici con la poesia. Poi a venticinque anni col giornalismo e i racconti.

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Non ho particolari manie. Ma in generale cerco di scrivere al mattino, quando sono più lucido e fresco.

Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
Mi piace ambientarle in una sorta di “realtà aumentata”, il nostro mondo, ma pieno di fantasmi, creature strane, divinità e tutto quello che ha popolato la storia umana in questi secoli.

 Il libro più bello che hai letto?
Domandona. Così a bruciapelo mi viene Delitto e Castigo.

Stefano, perché sei tu e, a rischio di un colpo di stato da parte di tutti gli altri autori de L’ora del tè, ti concedo un secondo libro, oltre a Delitto e Castigo. Cosa scegli?
Il gioco delle perle di vetro di Hermane Hesse.

Il luogo più strano in cui scrivi?
Noiosamente scrivo nel mio studio. Però ho sempre con me un taccuino in cui appunto idee e dialoghi che mi vengono in mente. E in quel caso scrivo ovunque mi trovi!

 

Stefano, sono molto contenta di averti mio ospite. Iniziamo con una domanda a bruciapelo. Tu vivi nel mondo dell’informazione e della comunicazione a 360 gradi: sei scrittore, giornalista, blogger, ti occupi di viaggi, cultura, comunicazione sociale, storia locale, più varie ed eventuali (le varie ed eventuali mi hanno sempre fatto sorridere, è il punto più ambito dell’ordine del giorno delle riunioni aziendali; forse lo è anche in questa intervista).
Iniziamo dalle varie ed eventuali.
Stefano-giornalista e Stefano-scrittore. Raccontami di queste due figure che ti rappresentano e quali immagini scaturiscono in te, quali ricordi, pensieri, previsioni e poi dimmi chi dei due butteresti dalla torre.

Queste due figure, di cui tu parli, lo Stefano giornalista e lo Stefano scrittore, si scontrano in me continuamente, ma siccome nessuna delle due ha il modulo di constatazione amichevole, finiscono per non mettersi mai d’accordo. Cominciamo da quello che avrei voluto. E devo dire che ci hai azzeccato con rara precisione.
Sì, perché avrei sempre desiderato laurearmi in Varie ed Eventuali. Detta così sembra una battuta, ma in realtà nasconde la mia profonda e insaziabile indecisione su ogni cosa. E in quest’ottica, le varie ed eventuali diventano un po’ la vecchia soffitta della nonna in cui non sai cosa trovare, in cui si nasconde un po’ di tutto, in cui puoi far vivere una scrittura liminale, di oggetti dimenticati, di storie al confine tra realtà e fantasia, dei racconti e dei dialoghi che corrono sul filo tra il grottesco e l’illuminante.
Quindi diciamo che convivono. Capita che alcuni spunti giornalistici diventino narrativa e che alcune idee che avevo pensato per un racconto o un romanzo trovino invece una declinazione giornalistica..
Ho il sospetto che i due Stefani abbiano le scarpe legate assieme, io butterei uno dei due indifferentemente, giusto per lasciare un po’ più spazio in cima alla torre, ma quello che cade trascinerebbe giù anche l’altro. No, forse con un po’ di snobismo intellettuale butterei giù il giornalista e lascerei lo scrittore, però davvero ho il timore che tirerebbe giù anche l’altro. Alla fine penso che certa narrativa, oggi, faccia quello che il giornalismo non è più capace di fare: raccontare la realtà in modo onesto, dal punto di vista di chi scrive, certo, non neutro, ma neanche fazioso.

“…le varie ed eventuali diventano un po’ la vecchia soffitta della nonna in cui non sai cosa trovare, in cui si nasconde un po’ di tutto, in cui puoi far vivere una scrittura liminale, di oggetti dimenticati, di storie al confine tra realtà e fantasia..”
In queste parole è inclusa, io credo, l’essenza della narrazione, quel frugare in mezzo ai ricordi, a ciò che abbiamo stipato nel magazzino di ciò che abbiamo visto, sentito, vissuto, per poter estrarre al momento opportuno una caratteristica, un colore, una musica e incastrare tutto come tessere di un puzzle.
La scrittura è un “varie ed eventuali”, cioè il raccogliere le tessere sparse sul tavolo, provare a incastrarle e vedere cosa ne viene fuori, oppure deve partire da un messaggio forte, da qualcosa che spinge da dentro e ti costringe a tirare fuori la storia che vuoi raccontare? E poi ti chiedo: cos’è la scrittura per Stefano-scrittore?

Per quanto mi riguarda la scrittura viene fuori in entrambi i modi. Alcune volte è un messaggio, un’idea che si fa strada nella mente e vuole uscire e passando dai corridoi bui del mio cervello, sporcandosi con ricordi e immagini accatastati lì da chissà quanto tempo. Altre volte, però, nasce da un gioco, dalla voglia di divertirsi con i pezzi di narrazione che galleggiano qua e là nella testa e prendono forma all’improvviso, come illuminazioni. Una non esclude l’altra, e il più delle volte, anzi, convivono.
Cos’è la scrittura? Urka, domandona. Io ho cominciato con la poesia, poi sono passato al giornalismo e infine alla narrativa. Nel primo caso la scrittura è un’urgenza. Scrivere poesia vuol dire dare forma alle inquietudini dell’esistenza, ma anche alle gioie, ai sentimenti più sottili e vaporosi. È una scrittura dolorosa e faticosa, che giunta alla fine lascia un senso di spossatezza e benessere. Il giornalismo richiede molto rigore, la voglia di trovare la quadra nel racconto della realtà che è sì, soggettivo ma anche sociale.
Quello che scrivo ora, invece, nasce proprio dalla voglia, e dal divertimento di inventare storie e raccontarle. La vivo come una necessità antropologica.
Dopo tutta questa serietà potrei risponderti che la scrittura è stata per me in tanti anni il tentativo di portare a casa la pagnotta, fallita con la poesia, altrettanto fallita con le tesi universitarie e di dottorato, così così col giornalismo e vediamo con la scrittura!

Da qui in poi l’intervista diventa reale: io e Stefano siamo seduti al bar, ingurgitiamo carboidrati, zuccheri e scrittura.

Come lettrice-scrittrice sono curiosa e invadente.
E allora ti chiedo: cosa c’è nella cassetta degli attrezzi di Stefano-scrittore? Il contenuto è lo stesso per Stefano-giornalista?
E infine: cosa non deve mancare sulla tua scrivania (intesa come piano del tavolo e desktop del PC) quando scrivi?

“Come immaginerai sulla mia scrivania reale (e virtuale) c’è una gran confusione. A seconda di quello che scrivo mi circondo delle cose che mi servono. Quando ho scritto Podissea ho recuperato tutti i libri che potevano essermi utili: l’Odissea, I viaggi di Gulliver, Cuore di tenebra, il Don Chisciotte, Le città invisibili di Calvino, tutti romanzi che parlano di viaggi surreali; e ho riempito quaderni di appunti. Questi sono gli strumenti che normalmente uso quando scrivo, più ovviamente un accesso alla rete internet, utile per approfondire qualsiasi spunto o idea e in cui mi perdo a leggere milioni di cose…
Gli stessi strumenti li uso anche come giornalista; ultimamente tendo a romanzare gli articoli che scrivo. Ho fatto questa scelta dopo aver letto Considera l’aragosta di David Foster Wallace, una serie di articoli e saggi giornalistici scritti come farebbe uno scrittore, che hanno cambiato molto il mio modo di scrivere. Sono arrivato alla conclusione che il giornalismo non sia solo una cronaca di fatti ed eventi accaduti, ma il racconto di qualcosa in cui l’autore aggiunge il suo punto di vista onesto, sfacciato, esponendo le cose come le vede e raccontandole senza troppi giri di parole. Di cronaca ce n’è tanta, fatta in modo scolastico, lineare, canonico. Io invece lo faccio a modo mio.
Da quando scrivo così anche giornalisticamente ho avuto le mie soddisfazioni, dare un taglio personale, anche rischioso, funziona; in mezzo a tanti giornalisti che scrivono tutti allo stesso modo che cercano di essere il più obiettivi possibile con il risultato di non riuscirci o risultare noiosi, tanto vale metterci del proprio e vedere cosa ne viene fuori. Questa è la mia idea.”

Come scrivi solitamente? A mano e poi ricopi oppure direttamente al computer?

“Scrivo a mano, su un quaderno, spunti o idee o quando devo creare i personaggi: chi sono, i collegamenti fra loro, ecc. Quando invece lavoro alla stesura del romanzo, anche la prima, scrivo direttamente al computer.”

Ed ora arriviamo al tuo romanzo.  Hai parlato più volte di questo viaggio particolare che tu hai vissuto davvero e da cui è nata l’idea di scrivere Podissea, che ricordiamo è pubblicato nella collana Officina Marziani di Antonio Tombolini Editore. È tipico, degli autori, partire per un’avventura in Africa o una gita al Fumaiolo o una visita a Bologna e rientrare a casa con una lampadina accesa in testa: nuovi personaggi, nuove vicende, nuove emozioni da scrivere.
Il tuo viaggio aveva uno scopo preciso e non era quello di realizzare un nuovo libro. Ti aspettavi che saresti tornato con questa storia surreale, avevi già un’idea che dalla risalita del Po potesse nascere un romanzo?

«Assolutamente no. Il quel periodo lavoravo molto come giornalista e mi occupavo di viaggi ed enogastronomia per cui il mio intento era quello di raccogliere materiale utile per i miei articoli, immaginavo di intervistare persone che avevano scelto di abbandonare le città e portare avanti tradizioni di vita e culinarie che altrimenti sarebbero andate perse. Quello che abbiamo trovato, io e il mio compagno di viaggio Michele Marziani, è stata una cosa radicalmente diversa: tranne l’incontro con Dio, tutto quello che racconto in Podissea è successo davvero: personaggi strani, pescatori di frodo ungheresi, pescatori tedeschi che fungono da poliziotti, paesi abbandonati con un unico bar gestito da cinesi… Ricordo che un giorno, dalle parti di Piacenza, dopo una lunga serie di sfighe, dissi a Michele: «Sembra quel passo del libro di Giobbe, in cui Dio e Satana scommettono per vedere cosa succede, perché qui ne stanno accadendo troppe…» Nel nostro blog di viaggio che aggiornavo tutte le sere, riportai proprio quel brano del libro di Giobbe che poi divenne l’inizio del romanzo, l’idea da cui è partito tutto.
Il romanzo è surreale, ma la realtà è stata ancora più surreale.»

«Villanova Marchesana» disse Dio «hai qualcosa da mostrargli anche qui? Per ora mi sembrano ancora colmi di Fede, Speranza, Carità e Gianna».
«Chi è Gianna?» chiese Lucifero.
«L’ultima delle quattro virtù teologali. Gli uomini l’hanno dimenticata, ma a me piace nominarla ancora».
«Non la conosco».
«Un tempo, devi sapere, le virtù teologali non erano tre, ma quattro. Fede, Speranza, Carità e, appunto, Gianna. Quest’ultima si occupava di Carità, mentre Carità, a dispetto del nome, gestiva il catering. Poi, alla fine del V secolo, scoppiò un gran putiferio tra le virtù teologali e quelle cardinali, anche queste quattro, per chi dovesse avere la preminenza. “Le virtù teologali sono più importanti, perché competono direttamente a Dio” dicevano alcuni. “No”, rispondevano gli altri, “senza le virtù cardinali e il controllo del proprio corpo e del proprio spirito le altre non servono a nulla”. Insomma non se ne veniva fuori. Già gli eserciti si ammassavano, e nelle città i pro-cardinali e i pro-teologali si scontravano in continui tafferugli. Poi il Metatron mi suggerì un’idea. In realtà, grazie alla mia preveggenza e onniscienza, fui io a suggerirgli di suggerirmela, ma questo non gliel’ho mai detto. «Dicevo: l’idea era questa. Se in uno dei gruppi ci fosse stata una virtù in meno, la questione si sarebbe risolta in automatico, e il totale dei due gruppi sommati assieme sarebbe stato sette. Ora, vedi, agli umani il sette piace molto, e davanti a quel numero sono disposti ad accettare ogni cosa e a mettere assieme anche i concetti più disparati. Bisognava eliminarne una. Impossibile farlo da quelle cardinali. Troppo antiche, troppo prestigiose. Platone e Aristotele ci avevano riempito libri su libri; troppo complesso da gestire. Per cui era necessario sacrificarne una teologale. Fu la stessa Gianna a proporsi. E io, a malincuore, accettai. Carità ne prese il posto, il catering venne abbandonato e Gianna si trasformò per alcuni secoli nel prete Gianni, prima di scomparire inghiottito da un castoro gigante della Kamchakta».
«Una storia affascinante» disse Satana «ma per riprendere il discorso: sì ho in serbo una bella sorpresa per i nostri naviganti a Villanova Marchesana».
«Cosa hai in mente?» chiese Dio.
«Guarda» disse Satana. E batté le mani.
Davanti ai due si materializzò un acre e puzzolente fumo, nero come il cuore della notte. Quando i vapori si diradarono, un grosso pesce dall’aspetto malvagio li guardava.
«Kun!» esclamò Dio.
«Sì! Kun» disse Lucifero «il mitico pesce gigante cinese. Una creatura infida, malevola, che fomenta l’ambizione e il sospetto tra gli uomini».

(Estratto da Podissea)

Podissea potrebbe essere considerato un fantasy…

«La mia più grande difficoltà è sempre stata quella di mettere assieme le mie due anime, quella seriosa e quella demenziale e Podissea è stato un po’ questo: ho vissuto in una realtà talmente surreale che quando ho scritto il romanzo mi sono detto: «Qui bisogna spingere a fondo il gas della fantasia».
Podissea ha avuto una gestazione molto lunga, era il mio primo romanzo, era da poco nato mio figlio, in un periodo complicato, professionalmente e personalmente. Non sapevo bene come scriverlo, mi sono posto il problema del genere, se dovesse essere realistico o fantasy, come dici tu, o più demenziale e divertente, perché, nel bene e nel male, Podissea ha molte anime, forse troppe e metterle tutte assieme e trovare un equilibrio non è stato facile, forse avrebbe avuto bisogno di più attenzione da parte mia, di più tempo.»

Liu seguì un piccolo viottolo in terra battuta che tagliava i campi perpendicolarmente fino ad un canale in cui l’acqua del fiume entrava a nord e usciva a sud creando un piccolo isolotto. La campagna era in parte incolta e in parte coltivata. Non si vedeva nessuno. Di fronte a lei si stendeva il canale, poi l’isolotto, il fiume e l’argine opposto, appena velato da volute di foschia. Dietro, invece, la terra senza strade proseguiva piatta sino all’argine.
Dopo essersi guardata intorno più volte, si tolse i vestiti ed entrò in acqua. La corrente era molto forte e il fondo, melmoso, rendeva difficile camminare senza cadere. Dovette fare uno sforzo notevole per rimanere in piedi con l’acqua solo alle ginocchia. Si trasformò in pesce e si tuffò.
Le ci volle qualche secondo per abituarsi ai nuovi sensi e cominciare a percepire il mondo che la circondava anche attraverso i barbigli e le pinne. L’acqua era torbida e rendeva impossibile riuscire a vedere qualsiasi cosa. Si lasciò trasportare dalla corrente verso il fondo del canale, ma era chiuso da un istmo di terra. Per cui tornò indietro, risalendo la corrente. Si spostò avanti e indietro alcune volte, in mezzo agli altri pesci.
Poi scese verso il fondo, a smuovere la sabbia col muso, cercando qualche piccolo insetto o larva. L’acqua la circondava ovunque e la sensazione le piaceva. C’era una sorta di godimento fisico nel nuotare e sguazzare in un fiume che non era il suo. Per quanto avesse avuto sempre un ottimo rapporto con il fratello, quel gesto, nuotare e fare come se fosse a casa sua in casa di altri, la rendeva partecipe di un orgasmo cosmico che si aprì d’un tratto davanti ai suoi occhi. Era nel centro di un’immensità d’acqua. Ovunque guardasse vedeva solo acqua popolata dalle più strane creature. Sciami di ragni danzavano leggeri mentre pesci d’ogni specie roteavano in coreografie arabescate sopra e sotto di lei.
Sipari d’acqua si aprivano e chiudevano lasciando entrare lame di luce ambrata che si riflettevano sulle livree metalliche dei pesci. Un caleidoscopio di colori esplose come fuochi d’artificio, e in un attimo Liu si ritrovò nei fiumi della Mesopotamia, negli altipiani siberiani, nelle gelide acque dei fiumi russi, e poi nei sontuosi fiumi francesi, in quelli impetuosi delle regioni alpine, ancora fino in Cina, nella sua casa, nel Fiume Giallo e in quello Azzurro e poi da lì nelle acque dei fiumi canadesi e americani che avevano mantenuto le loro caratteristiche primigenie. Tutti i fiumi erano un solo fiume, collegato da cavità, bacini, paludi, laghi, mari e ghiacciai.
D’un tratto fu fuori dal mondo, nel fiume cosmico che circonda la terra e fa cadere le proprie acque per generare la pioggia. Salì fino alle vette più alte, superando le cime dell’Hymalaya, in un enorme bacino che correva e si espandeva per tutto il cielo.
In alto poteva vedere le stelle algide e bianche che si riflettevano sulla superficie del fiume, dove i ragnetti erano tutti ghiacciati in sculture artistiche. Percorso il mondo in tutte le direzioni, guardò il sole sorgere e tramontare nello spazio e trafiggere l’acqua con lame di fuoco.
Poi cadde. Dall’alto dei cieli fino alle profondità dei fiumi. E si risvegliò sulla riva del Po, nel punto in cui si era immersa. Era nuda e sporca di fango. I piedi ancora bagnati dalla corrente. Si rimise il vestito e tornò verso gli altri.

(Estratto da Podissea)

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Usciamo dalla scrittura, abbandoniamo Stefano-giornalista e Stefano-scrittore e parliamo con Stefano-lettore.
Come scegli i libri che leggi, quindi al di là del raccontarmi quali letture preferisci, quando scegli un libro come orienti le tue scelte? Segui i consigli di altri lettori? Leggi libri che ti possano servire? Li usi in modo didattico? Scegli gli autori che sono più vicini al tuo modo di scrivere? Oppure leggi qualsiasi cosa senza motivo, solo perché ti piace leggere?

«Uno scrittore volontariamente o involontariamente quando legge lo fa in modo didattico, perché quando trova un passaggio bello, una struttura narrativa o una tecnica particolare dice: “Cavolo, bella questa, non ci avevo pensato, mi piace”. Tornando alla tua domanda, in realtà sono dieci anni che mi sono affacciato alla letteratura moderna. Fino al 2000 mi sono dedicato principalmente ai classici: i libri Tolstoj, Dostoevskij, Flaubert, Proust, mi piacciono, rappresentano il tipo di lettura che amo, pesante, impegnativa…
Quando ho bisogno di staccare la spina da tutto io prendo un bel volume di filosofia, solitamente Boezio oppure un autore medievale, e mi perdo. È una lettura complessa, che mi costringe a stare lì, non consente di pensare ad altro e, di conseguenza, mi rilassa. Le letture sono tutte le cose che hai detto: a volte leggo un libro, mi piace e ne cerco un altro di quell’autore (ho scoperto da poco Carrère e sto divorando un libro dopo l’altro), oppure ascolto i consigli di amici, prendo spunto dalle citazioni o da riferimenti che trovo su altri libri e che mi incuriosiscono, altre volte mi sfogo con acquisti bulimici in libreria da quarta di copertina oppure leggo articoli, blog e giornali di cui mi fido e che parlano di libri.
Sono un lettore esigente, ci sono tanti libri che abbandono, ho superato il timore reverenziale del libro, se non mi piace lo lascio. Può essere anche bello, scritto bene, di successo, ma se è un genere che io non amo, come ad esempio i gialli e i polizieschi, non mi prende più di tanto.»

Possiamo definire quindi un tuo genere preferito?

«Sto pensando ai due libri tra cui ero indeciso, come miei libri preferiti, Delitto e Castigo di Dostojeskj e Il gioco delle perle di vetro di Hesse e provo a chiedermi che cosa hanno in comune, in realtà molto poco, tranne forse un’analisi e una introspezione dei personaggi molto approfondita. Forse è questo il genere di libri che amo.»

Ti piace una lettura che ti costringa a riflettere, che lavori un po’ dentro di te…

«Sì, non amo la lettura tanto per staccare, leggere così per leggere, per far passare il tempo…»

Quindi il tuo libro preferito è Delitto e Castigo

«Sì, ma poi mi sono pentito perché io sono un eterno indeciso, ho riscritto la prima mail otto volte e poi mi sono pentito appena l’ho inviata.»

Se vuoi lo correggiamo…

«No, perché poi mi pentirei della correzione!»

Aggiungo anche Il gioco delle perle di vetro fra i tuoi preferiti, sei l’unico a cui ne ho concessi due.

«Grazie, questo mi conforta molto.»

Io e Stefano terminiamo la nostra chiacchierata con una disquisizione (che non riporterò qui) su Dostojesky, un autore che entrambi amiamo molto e che ci accomuna così come ci accomunano l’amore per la scrittura, per il tè e per la nostra città, Rimini.
Vorrei aggiungere, a questa intervista un po’ fuori dai canoni, una nota di serietà: Stefano si occupa di giornalismo sociale e di tutte quelle tematiche che toccano problematiche umane: emarginazione, emigrazione, economia, cooperazione e servizi.
Da pochi giorni dirige Dedalo, la collana di libri-game di Antonio Tombolini Editore. Segui QUI la pagina della collana.
A Stefano va, ovviamente, il nostro in bocca al lupo.

Aurelio si svegliò. Erano le cinque di mattina. La cena era stata sontuosa. Al culatello preparato da Spigoni si era aggiunto lo strolghino, il cappone, il timballo di riso, oca e salsiccia e il pesce del fiume, tra cui spiccava l’anguilla fritta. Dopo l’ennesimo rutto il giovane viaggiatore decise di alzarsi, vestirsi, e bere qualcosa.
La corte Spigoni Zibello era silenziosa e ieratica. Le massicce porte di legno e le grosse travi del soffitto sembravano aver assorbito tutti i rumori del giorno passato. Aurelio uscì dalla sua camera e passò lungo il corridoio sul quale si affacciavano le altre stanze. Scese nella grande cucina, in cui si sentiva ancora l’odore di brace. In piedi, illuminato di sbieco dalla luce di una piccola applique, Marco stava bevendo un bicchiere d’acqua.
«Cena pesante?» disse sorridendo quando vide entrare Aurelio.
«Già. Sono venuto a bere un bicchiere d’acqua».
«Che ne dici invece di un caffè?»
«Buona idea».
Come se seguisse un antico rituale, Marco prese la macchinetta, la lavò con l’acqua fredda e riempì il filtro con la polvere di caffè. Nessuno dei due parlò mentre il profumo si diffondeva in tutta la stanza e il liquido nero e bollente gorgogliava sul fuoco. Solo quando furono seduti a tavola con le tazzine colme Marco interrogò Aurelio.
«Allora? Cosa pensi?»
«Non lo so davvero, siamo partiti a cercare un pesce e abbiamo incontrato un mondo assurdo. Penso che ormai non mi sorprenderebbe più nulla».
«Non dirlo troppo forte».
«Sì… hai ragione» rispose Aurelio scoprendosi scaramantico «e tu?»
«Mi sta salendo la malinconia da fine viaggio».
«E ti dispiace?»
«Devo ammettere che… sì, mi dispiace. È stato un viaggio bizzarro. Ma chi l’avrebbe mai detto che mi sarei fatta amica una salama da sugo?»
«In effetti. E non è la cosa più strana».
«No. Decisamente».
«Tu cosa senti, Marco? Si prepara il tuo incontro con lo storione d’argento? Tutti lo predicono… ma tu?»
Marco rimase un attimo in silenzio. Il suo sguardo si perdeva nei cinquant’anni del suo passato che ora si rimescolavano creando mulinelli di immagini e ricordi.
«Sì» disse a bassa voce «o tutto questo non avrebbe senso. È stato come se una mano guidasse il nostro viaggio».

(Estratto da Podissea)

LA LEGGENDA DEL LAGO GERUNDO

Per restare in clima con Podissea, la nostra curiosità di oggi, grazie al suggerimento di Stefano Rossini, riguarda il lago Gerundo, un lago oggi scomparso, che si trovava in territorio lombardo, in una zona compresa tra la bergamasca meridionale e il territorio a nord di Cremona. Il lago Gerundo era formato dalle esondazioni dei fiumi Adda, Oglio, Serio, Lambro e Silero.
Esistono testimonianze storiche, del periodo romano, relative alla presenza di questo lago. Fonti più significative però sono del 1110 d.C., a firma del monaco Sabbio, il quale racconta di torri utilizzate per l’ormeggio delle barche, i cui resti sono presenti ancora oggi.
La leggenda narra di misteriose creature che vivevano in quelle acque, descritte come enormi serpenti dall’alito pestifero. Si dice anche che le popolazioni locali avessero eretto mura alte tre metri e lunghe 15 chilometri per difendersi da quei mostri.
Realtà o leggenda?

Per approfondimenti accedi a questa pagina.

Grazie a Stefano per la simpatia, l’amicizia, la profondità d’animo; grazie per il tempo trascorso assieme (davanti a una brioche bio) e alle attese (lungheeeeee) di sue risposte.
A parte gli scherzi, il piacere di averti mio ospite è stato immenso.

Godetevi la lettura di questa chiacchierata e, mi raccomando, comprate e leggete Podissea!

Detto questo, ho una comunicazione di servizio per tutti i lettori di questa rubrica.
L’ora del tè si prenderà una pausa: per motivi organizzativi e di urgenza riguardanti altre attività in cui sono impegnata, la rubrica subirà dei rallentamenti. Non chiuderà ma verrà aggiornata più raramente.
Per non perdere gli articoli che pubblicherò sul mio sito e che non riguarderanno solo L’ora del tè, puoi iscriverti utilizzando l’apposito frame presente nella home page “ISCRIVITI AL BLOG TRAMITE E-MAIL”.

Buona lettura!

Presentazione presso la libreria Bianca&Volta di Riccione (nella foto, da destra: Stefano Rossini, Roberta Marcaccio e Michele Marziani; a sinistra di Michele Marziani, c’è Massimo Lazzari, ingiustamente tagliato dalla foto). Momento memorabile con i miei cari amici!

Mi piacerebbe conoscere la tua opinione. Lascia un commento qui sotto e torna a trovarmi ancora!

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