L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Max O’Rover

Chiacchierare con Massimiliano Roveri ha il sapore dell’Irlanda, in tutte le sue sfumature. L’ora del tè è diventata ormai il nostro modo (il mio e il tuo) di girare il mondo. Non siamo andati lontanissimi ma, durante le chiacchierate con gli autori, qualche viaggio per il continente l’abbiamo fatto.
Massimiliano Roveri, in arte Max O’Rover, dopo essersi innamorato dell’Isola di Smeraldo ha cominciato a scrivere e a sognare una vita nella sua nuova terra. Oggi vive a Dublino, in un luogo molto simile alla Barrytown di Roddy Doyle, lavora sul web ed è social media manager di Catherine Dunne, grande autrice irlandese, e di Antonio Tombolini Editore.
A Roddy Doyle, o meglio, a un libro del famoso Roddy Doyle, è ispirato il suo romanzo #igcird (Il giorno in cui incontrammo Roddy Doyle); ne parleremo fra poco
Ero curiosa di conoscerlo e devo dire che la mia aspettativa non è stata delusa. Max ha una personalità multicolore, ricca, sorprendente. È un autore insolito, non ripetitivo, la sua grafia traccia linee che nessuno ha mai disegnato. Inutile imitarlo. Max ha uno stile semplice e complesso, duro e leggero, bianco e nero.
E magari con un pizzico di Verde.
Bene! Non ho raccontato granché di lui, volutamente, perché vorrei conoscerlo assieme a te. A questo punto sono impaziente di iniziare. E tu? Accogliamo Max assieme.

Ben arrivato nel mio salotto, Max, è un immenso piacere averti mio ospite. Prima di iniziare offro sempre qualcosa e visto che è L’ora del tè, cosa preferisci?
Tè Lapsang Souchong, marca Taylors of Harrogate. Grazie.

Ottima scelta! Siamo pronti per iniziare a chiacchierare. Partiamo?
Certo!

 A che età hai iniziato a scrivere?
Il primo “lavoro” pubblicato è una poesia sulla pagina dei lettori di Topolino, avevo nove anni, direi.

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Potrei dire il tè, tanto tè (il Lapsang di cui sopra), ma lo bevo anche quando non scrivo.

Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
La mia terra: l’Irlanda.

Il libro più bello che hai letto?
Domanda complessa, rispondo “di pancia”: Il Signore degli Anelli.

Il luogo più strano in cui scrivi?
Mi è capitato di iniziare a scrivere un romanzo con un lapis, su un blocco notes, al primo piano di un letto a castello in una camerata da sei, alle quattro di notte, al buio.

Dopo aver letto il tuo romanzo ho riflettuto molto sui personaggi, sulle loro storie, su quanto l’autore possa influire sulla loro “vita”, se così la possiamo chiamare. E sono sempre più convinta che lo scrittore sia incarnato in ogni suo personaggio.
Io mi sono fatta questa idea ma vorrei la tua opinione. Se ti va di aprire l’anima di Max O’Rover ai nostri lettori, raccontaci quanto c’è di te nei tratti e nella vita dei tuoi personaggi.

Hai visto giusto, Roberta.
Anche se almeno in teoria nel romanzo c’è un personaggio che è il mio alter ego, in realtà ci sono tratti, segnali, tracce, di me nascosti nei diversi personaggi.
Ho cominciato a capire che per me uno dei motivi importanti dietro allo scrivere è quello di vivere altre vite: quelle dei personaggi. Questo non significa che tali vite debbano essermi completamente aliene. Credo che il tema delle identità in discussione sia una delle cose che mi interessano davvero molto (usare uno pseudonimo, avere un personaggio alter ego, vivere, avere coscienza del fatto che sto diventando un’altra persona anche grazie allo scrivere), e diluirsi nei personaggi è un modo di essere empatici con loro e con l’umanità “vera”.
Riflettendoci bene, c’è, però, una eccezione, forse. Bob è molto caratterizzato e non credo che abbia niente di me. Chissà se questo è il motivo per cui forse è il mio personaggio preferito.
Altra cosa da dire è che, forse, comunque, immedesimarsi nei personaggi di #igcird, che sono dei “buoni”, è stato più semplice. Ho dovuto lavorare molto di più su Patrick, uno dei quattro personaggi de La Terza Vita, in uscita a marzo, proprio perché è una testa molto, molto diversa dalla mia.

Il tuo amore per l’Irlanda traspare in ogni parola. Ti confesso che sono sempre stata affascinata dalle persone che provano un amore così forte e incondizionato per una terra che non sia la propria, tanto da decidere di appartenere a quella terra. Quando è nato tutto? Quando hai capito che questo amore era così forte e intenso da costringerti a cambiare nazione? Fra l’altro, nel tuo romanzo, questo amore e questo desiderio così forti sono incarnati in uno dei personaggi. Vorrei che ci raccontassi la tua storia.

Era il 1999. Ho visto le isole Aran nuotare tra il cielo e l’oceano in una bellissima giornata di sole. È stata una folgorazione. Una sensazione praticamente fisica, come se mi avessero liberato i polmoni. Sapevo di essere rinato, sapevo che era accaduto qualcosa di importante.
Non so spiegare il perché di tutto questo. Se vuoi, il libro è un tentativo di rispondere a questa domanda fondamentale, al perché a un certo punto ho cominciato a trasformarmi, culturalmente e non solo, in un’altra persona. Questa persona è ancora in divenire, ma vivere a Dublino e cominciare anche a scribacchiare in inglese sono stati passi fondamentali per farla crescere questa persona, questo nuovo me.
Volevo che nel libro ci fosse altro, per questo ci sono anche personaggi disillusi, o cinici. Ma il personaggio – Massimo è decisamente il tentativo di comprendere il – mio – rapporto con l’Irlanda.
E, bada bene, con questo io non faccio proclami sul fatto che l’Irlanda sia un luogo perfetto. È casa, per me. È abhaile, Casa con la “C” maiuscola. Certo: non solo per me a quanto pare. Ci sono molti irlandofili in giro. Molti “irlandesi Dentro” come li definisco io. Con #igcird parlo a queste persone. Ma anche a chiunque non si trovi al suo posto e lo stia cercando ancora, il – suo proprio – posto. Di sicuro io l’ho trovato, il mio posto.

Ci sono momenti catartici, a mio avviso, nella vita e nelle giornate di uno scrittore, momenti che possono essere compresi solo da chi li vive. Questi momenti sono il completo distaccamento dal mondo reale, il sogno onirico e vivido di una vita parallela, la materializzazione di persone, ambienti, colori e profumi di una dimensione che appartiene a una storia raccontata. E, a mio avviso, sono il motore della scrittura.
Non è una domanda, Max, è una riflessione a cui ti chiedo di aggregarti.

Sono, parafrasando una vecchia gag calcistica… completamente d’accordo a metà 😉
Un mio caro amico, un ex collega, parlava di “retrocranio”. Il retrocranio è un posto dove stanno “altre” cose. Io credo che il mio retrocranio sia occupato con la creatività, con la scrittura. Non sento, però, un salto tra la vita di tutti i giorni e la scrittura. Sento, invece, molto spesso, che il retrocranio sia all’erta per cogliere cose della vita di tutti i giorni e cominciare a elaborarle. Da questo punto di vista, anche se per moltissimi altri aspetti sono di fatto nient’altro che un vecchio scrittore alle prime armi, mi sento molto sicuro di me: so che devo solo lasciar fare al retrocranio che, quando è il momento giusto, sa come aprire il flusso della creatività, e molto spesso facendolo, appunto, a partire dalla vita di tutti i giorni, da stimoli altrimenti ben poco rilevanti.

Irlanda, venerdì
Messaggi in bottiglia

La stessa mattina in cui Massimo aveva capito che non avrebbe avuto il posto, Bob Robertson era da sua madre.
Era il giorno del funerale di suo padre Colm e lui, in quanto figlio maggiore, doveva accollarsi gli onori e gli oneri della faccenda.
«Come va, ma’?» la salutò, baciandola sulla fronte.
«Oh, buongiorno Bob. Come vuoi che vada… Ci prepariamo un tè?»
«Sì, certo. Che stavi facendo? Che cosa leggevi?»
«La madre di tuo padre era originaria delle Aran, lo sapevi, no?» rispose sua madre, alzandosi e lasciando sul tavolo, a bella posta, dei fogli.
Bob pensò che fossero dei vecchi documenti provenienti dalle Aran che sua madre, in vena di commemorazioni, aveva tirato fuori.
Non rispose, non aveva voglia in quel momento di parlare del passato.
Nuala Dirrane, vedova di Colm Robertson da tre giorni, riempì il bollitore e preparò le tazze per sé e per suo figlio Robert, il padre di Aoife.
La cucina dava sul piccolo giardino sul retro. Dalla doppia porta
a vetri si vedevano l’erba e un paio di cespugli di rose bianche, tristi per il cielo grigio.
Sull’erba, il triciclo arancione, rovesciato, di uno dei nipoti più piccoli.
Orientare lo sguardo dal rubinetto del lavello della cucina alle rose, guardare l’ora sull’orologio da pub marchiato Guinness, sopra il frigorifero alla destra della porta, e far tornare gli occhi sul lavello, corrispondeva alla quantità di tempo necessaria per riempire il bollitore di tanta acqua quanta ne bastava per una tazza.
Ma Nuala non aveva mai fatto una tazza di tè solitaria in tutta la sua vita. Per cui concedeva sempre ai suoi occhi delle pause che consentissero di ottenere abbastanza acqua almeno per due tazze: sul muro perennemente scrostato che delimitava il giardino rispetto a quello speculare dei vicini, sui rametti di semi di miglio a disposizione degli uccellini, sui fili per stendere il bucato, così spesso inutili.
Tanti anni prima, quando vivevano in quindici, in quella casa, usavano semplicemente una grossa pentola…
La base del bollitore, attaccata alla presa di corrente a cui non era mai stato attaccato nient’altro se non un bollitore, era sul mobiletto a sinistra del lavello.
Un passo e il bollitore è sulla sua base. Nuala prende dal pensile sopra il mobiletto due tazze con impugnatura e lo zucchero. Tre contenitori di metallo nascondono Lapsang Souchong, Earl Grey e Irish Breakfast.
Oggi è una giornata particolare e non ha praticamente dormito per tutta la notte, quindi va bene il Lapsang Souchong anche a quest’ora. Non ha mai chiesto ai suoi figli quale tipo di tè volessero. Semplicemente bevono lo stesso che lei sceglie per sé. Semplicemente, è così che funziona.
Richiude l’opportuna dose di foglie in due sferette di fine rete metallica che depone ciascuna in una tazza.
In questo mentre, quasi distrattamente, accende il bollitore. Certe mattine d’inverno l’acqua esce così fredda dal rubinetto che sembra impossibile che possa arrivare mai ad ebollizione.
Versa l’acqua dal bollitore spento nelle due tazze, meravigliandosi, come ogni volta, delle volute di colore che le foglie trasmettono all’acqua.
Per un attimo c’è ancora solo acqua, poi il tè comincia a farsi strada con quelle volute di colore, come un animale che scappa e improvvisamente rallenta per un qualche motivo a noi ignoto.
Sedersi al tavolo dal lato del lavello è ovvio, per aspettare i cinque minuti sbirciando l’orologio.
Il tè è tempo.
Un qualsiasi irlandese saprà come utilizzare al meglio, come economizzare quei minuti.
Per capire se il marito è ancora sbronzo. Per capire se la figlia ha fatto l’amore la notte precedente.
Se sei al pub: – perché sì, è possibile bere del tè anche in un pub… – ti servono per vedere se il tizio accanto a te ha voglia di chiacchierare.
Quando sono passati i cinque minuti, il tè ti farà da sponda. Per mandare affanculo il marito, per chiedere alla figlia se è tutto a posto, per chiedere al tizio del pub da dove viene e perché è lì.
Nuala aveva una teoria: la Guinness era una birra come tutte le altre, non c’era veramente bisogno di aspettare per completare la pinta.
Ma Arthur Guinness aveva inventato una spillatura ad hoc per gli Irlandesi, per costringere chi beve e chi spilla a studiarsi, in quei momenti in cui la pinta non è ancora pronta. A gettare i ponti per passare la serata.
E questo, Nuala era sicura, Arthur Guinness lo aveva imparato dal tè.

(Estratto da Il giorno che incontrammo Roddy Doyle)

Dammi i nomi di due autori i cui libri non dovrebbero mancare sul comodino di uno scrittore e dimmi perché li ritieni così fondamentali. L’altra domanda che poi ti rivolgo su questo tema è la seguente: mi è capitato di leggere un libro durante la prima stesura di un racconto e rendermi conto che quella lettura influenzava fortemente il mio stile; a te è capitato? Credi, inoltre, che sia fondamentale la lettura per costruire o migliorare il proprio stile?

Sarò banale. Joyce e Beckett. Joyce perché non puoi aggiungere nient’altro alla scrittura meglio di lui, Beckett perché non puoi togliere altro alla scrittura meglio di lui. Le mie letture influenzano sempre il mio stile. È una cosa di cui sono cosciente e cerco di usarla. Ho un modello per i dialoghi, ho un modello per le similitudini, ho due modelli di scrittura al femminile da cui cerco di trarre ispirazione quando affronto personaggi femminili. Quindi, da un certo punto di vista, la risposta è che mi accade continuamente. E, sì: leggere è fondamentale per lo scrivere. Dal leggere una storia archetipica per raccontarla in modo nuovo, al cercare di raccontare una storia completamente nuova ma usando uno stile che è risultante da tutto ciò che abbiamo letto.

Clicca sull’immagine qui a fianco per acquistare il romanzo di Max O’Rover #igcird
Antonio Tombolini Editore – Collana Oceania

(La mia recensione a #igcird puoi leggerla QUI)

Wow!! Temevo che mi rispondessi che “no, la lettura non contagia la scrittura” e sarei caduta nella più profonda disperazione! Vorrei fare una cosa insolita, senza precedenti qui a L’ora del tè. Chiedo una riflessione da parte tua, nostro caro lettore di oggi, per chiederti quale sia la tua esperienza in merito. Se anche tu, come me e Max, credi che la lettura di altri autori contamini lo stile dello scrittore. Attendiamo le tue considerazioni nei commenti di questo articolo.

Torniamo a noi, Max. Oltre a scrivere storie, scrivi anche per il Web e, come abbiamo anticipato, curi tutta la comunicazione marketing di due importanti realtà letterarie internazionali: sei social media manager di Catherine Dunne, grande scrittrice irlandese, e responsabile della comunicazione di Antonio Tombolini Editore. Come sono nate queste due collaborazioni? Di cosa ti occupi in questi due ambiti e quanto sono di ostacolo alla tua carriera di scrittore o, al contrario, la arricchiscono?

La prima, quella con Catherine, è nata dall’esistenza di italish.eu e dal rapporto di amicizia nato con Federica Sgaggio, scrittrice e giornalista italiana anche lei irlandofila che aveva già avviato una sua collaborazione, letteraria, con Catherine: l’Italo Irish Literature Exchange, che ha dato vita all’antologia italo – irlandese “lost between / una vita altrove”. Grazie a Federica, Catherine ha avuto modo di comprendere le finalità e la professionalità dietro a Italish Magazine, e ha ritenuto opportuno affidarsi a quella professionalità per promuovere il suo essere scrittrice sul web e sui social.
Nel frattempo, avevo conosciuto a Dublino Michele Marziani, che aveva scelto di pubblicare il mio #igcird e che mi ha proposto di lavorare come social media manager anche per ATE.
Credo che la mia doppia veste (non mi preoccupo della schizofrenia: schizofrenico lo sono sempre stato, non scriverei con uno pseudonimo, altrimenti) aiuti entrambe le mie professionalità. Da scrittore so che non posso fare a meno del web, a ora, per “esistere”: se una scrittrice del calibro di Catherine non ne fa a meno, come potrei io? Da social media manager e responsabile della comunicazione da un lato cerco di aggiungere una qualità testuale nella scrittura che non sempre è caratteristica di quanto troviamo sul web; dall’altro, so che cosa vorrebbero tutti gli scrittori di cui devo raccontare la “storia”. Si crea una bella sinergia, come per esempio nel caso del 6Nazioni letterario, che ho proposto ad Antonio e Michele e che è attivo proprio in questo periodo.

Fra poco racconteremo del 6Nazioni, abbiamo lanciato il sasso e non possiamo nascondere la mano.
Della tua vita e delle tue passioni, affetti a parte, ho catturato quattro elementi fondamentali: la scrittura, i libri, l’Irlanda, la Guinness!! Aggiungi pure se non ho colto qualcosa.
Domanda antipatica: se dovessi tornare indietro e scegliere una via diversa, quale sceglieresti? Hai un sogno nel cassetto non realizzato oppure li hai tirati fuori tutti?

Fammi aggiungere qualcosa sugli affetti: Donal Ryan, collega e conterraneo, ha detto che in realtà scrive per fare bella figura con sua moglie. Beh, mi sa che è abbastanza vero anche per me… E senza Maria Grazia che mi sopporta e supporta non so dove sarei, francamente. Sugli interessi dovresti aggiungere la lettura (anche se in effetti è un lato della scrittura, forse) e la fotografia.
Se potessi tornare all’agosto del 1999, strapperei il biglietto di ritorno per l’Italia da Dublino.
Il sogno del cassetto è quello di uno scrittore: vincere il Nobel per la letteratura. Se lo ha vinto uno che gli è servita la chitarra per vincerlo, c’è anche speranza…
Ah: non dimentichiamoci il tè. il Lapsang.


Un bellissimo sogno nel cassetto, Max, non c’è che dire. I sogni sono quella piccola fiammella sempre accesa che alimentiamo per evitare che si spenga. E non deve spegnersi!
È stato un piacere parlare con te e spero che mi verrai a trovare quando uscirà il tuo prossimo libro che è in cantiere.
Sono certa che gli ascoltatori de L’ora del tè abbiamo apprezzato le nostre chiacchiere e li lasciamo con qualcosa da interessante da leggere. Che ne pensi?

 

I racconti del TORNEO 6 NAZIONI LETTERARIO.

Ispirato al torneo 6 Nazioni di Rugby, il 6 NAZIONI LETTERARIO è una vera e propria sfida fra squadre, il cui oggetto del contendere non è una palla ma racconti. La sfida consiste nel scrivere racconti, pubblicarli e raccogliere i maggiori voti possibili. Le partite letterarie si svolgono negli stessi giorni delle partite di Rugby del 6 NAZIONI.

Sulla pagina FB di Antonio Tombolini Editore e sul sito ATE sono disponibili tutte le partite.

Puoi leggere i racconti, che sono bellissimi, e votare quello che ti piace di più. E nel frattempo conoscere ATE, una bella casa editrice che pubblica libri di qualità e dà spazio soprattutto a nuovi scrittori che merita di essere letti alla stessa stregua dei grandi nomi altisonanti.

Alla prossima puntata de L’ora del tè.
Buona lettura!

2 risposte a “L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Max O’Rover”

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