Il pescatore di tempo

Piccole storie di pesca in acque dolci

Vivo in una casa dove, in qualche remoto angolo del garage, sono conservati ami, galleggianti, lenze, cucchiaini, canne, guadini. Conosco alcuni dei termini che riguardano la pesca, ho ascoltato racconti di avventure trascorse sui fiumi, laghi o in mare, con una canna in mano, in attesa.

Sono storie di uomini che amano rapportarsi con la natura, con rispetto quasi reverenziale, con passione, amore, dedizione. Sono ricordi, fotografie, immagini che riguardano emozioni vissute, momenti di vita intensa impiegati a raggiungere un sogno.

Il pescatore di tempo, un altro gioiello di Michele Marziani, contiene tutto questo e anche di più.

Ripercorre la vita di un bambino innamorato della pesca, che diventa ragazzo e che poi diventa, inevitabilmente, adulto. Un adulto che ama ancora camminare lungo i fiumi con una canna in mano e la speranza di trovare un pesce incredibilmente grande.

Il pescatore di tempo è il viaggio che porterà quel ragazzo a diventare adulto, farsi domande, crescere, restare un po’ ragazzo dentro, riflettere sul senso della vita e di ciò che ama fare.

Poi arrivi a pagina 50 e leggi:

Per pescare sul serio serve imparare il silenzio e il passo felpato. Occorre lo stupore di trovare pesci incredibilmente grandi in corsi d’acqua spaventosamente piccoli, stretti, gallerie di frasche con sponde di rovi. Quasi rigagnoli. Luoghi intricati, dove l’accesso costa fatica, punture d’insetto, braccia segnate, sudore… I pesci vivono spesso in luoghi che non immagineresti mai. Saperli invece immaginare è l’arma vincente. Credere l’incredibile.

A questo punto ho chiuso il libro e quasi mi metto a piangere. Poi l’ho riaperto, ho sottolineato il brano a matita ed ho scritto: metafora scrittura.

Da quel punto in poi, ogni volta che l’autore scriveva pesca io leggevo scrittura, al posto di pesce o canna io leggevo parole o penna.

Il parallelismo con la scrittura (nel mio caso) è stato inevitabile. Riconoscersi nelle scelte, nelle difficoltà, nell’alzarsi molto presto al mattino, nell’avvolgersi in una coperta e bere qualcosa di caldo prima di uscire, nel desiderare a tutti i costi di fare quella cosa che amiamo. Il sogno che tutti rincorriamo, quello che abbiamo chiuso nel cassetto e non abbiamo coraggio di aprire.

Il pescatore di tempo ci insegna anche questo.

Quello che ami e desideri puoi farlo. Basta volerlo davvero.

Solo allora, quando ha compreso il sudore, quando ha avuto il coraggio di affacciarsi sull’anima e vederne l’abisso raccontandola in quel gioco di specchi che gli aveva rammentato Calvino nella lezione americana della leggerezza, ha di nuovo messo la sveglia alle cinque della mattina, forse anche prima.

LA SINOSSI

Il pescatore di tempo, letteratura di viaggio di Michele Marziani, è pubblicato da Ediciclo Editore.

 

 

 

L’odore del riso

Noir d’autore

Ultima puntata della trilogia della pianura, tre noir che mi hanno trascinata di getto in un mondo a me completamente sconosciuto. Di getto come la stesura di questa recensione.

Sono sul Frecciarossa Milano – Napoli, torno a casa dopo una giornata di lavoro nel mio ufficio milanese, mi lascio alle spalle il capoluogo lombardo e attraverso la pianura. La stessa della trilogia.

Coincidenza?

Non credo alle coincidenze. Credo ai bivi, agli incontri, alle scelte. Alle luci che si accendono al momento giusto e all’istinto.

Mentre scrivo (sempre di getto) penso alle sensazioni, alle parole, alle immagini che i libri evocano e a ciò che è successo, alla mia anima, durante la lettura de L’odore del riso.

Un libro particolare, denso, da poltrona, tè speziato, silenzio e profumi forti. Un perfetto esempio di Slow Reading.

La prima volta ho iniziato a leggerlo come se fosse stato un Armony (non li leggo, non pensate male di me!); l’autore se n’è accorto, mi ha “presa a schiaffi” e costretta a ricominciare daccapo.

Non so se ho letto la trilogia (Sette sono i re, Notte di nebbia in pianura e L’odore del riso) nell’ordine corretto. In effetti non esiste un ordine, sono tre storie ben definite e distinte ma sono felice di avere tenuto per ultimo il libro, a mio avviso, più intenso dei tre (forse l’autore non sarà d’accordo).

La storia è difficilmente intuibile. Occorre, con pazienza, arrivare almeno al sessanta per cento della lettura per cominciare a delineare i personaggi, le esperienze, il loro vissuto e cosa se ne fanno della loro vita (in alcuni casi molto complicata).

Sono felice di averlo lasciato per ultimo perché mi ha dato modo di gustare, un poco alla volta, lo stile crescente ed ogni volta diverso dell’autore, entrare nella sua penna ed esserne trascinata.

L’odore del riso ha tre aspetti che emergono con una prepotenza quasi indisciplinata e, per questo, molto apprezzata.

Parto dal basso…

La prima cosa che ho notato è stato il coraggio nell’uso, quasi “illegale”, di aggettivi e avverbi; un plauso all’autore! Io ho il terrore di aggettivi e avverbi. Angelo Ricci lì ha domati, addolciti e incastonati in modo magistrale, con brillante sapienza.

La seconda caratteristica che salta agli occhi è la “geometria delle cose”; il mondo de L’odore del riso è un mondo quadrato, angolare, sferico, è il mondo delle rette, dei piani, dei cerchi. Il rispetto della geometria è anche nella scrittura, nell’incastro delle parole, nella scelta delle ripetizioni, a mio avviso, perfette.

“E’ tutta geometria. Non si scappa. Le cose sono tutte unite. Per i lati e per gli angoli. L’importante è calcolare bene le aree e le metrature. E basta saperlo, che è tutta geometria.”

Ultima ma meravigliosa qualità… (consentitemi la sospensione): i colori. Sarà che amo i colori e la musica ma i marroni, i verdi, i gialli, ed anche i grigi, il nero, il bianco, l’azzurro creano una melodia che non ho trovato in nessun altro libro fino ad ora. È il libro dei colori. Sono rimasta suggestionata. Ho seguito la scia delle parole ed ho capito che ogni singolo elemento era stato studiato con vera accuratezza. Forse sarò smentita ma credo in ciò che ho percepito, nel mio istinto.

“E’ l’aria che mescola tutti i colori. Che mescola il verde e il grigio e l’azzurro. Che mescola anche il bianco di una carrozzeria, sporco dal rossiccio della ruggine, sporco dal nocciola dell’argilla dei fossi. Che mescola il nero, stinto dal troppo uso, di quattro pneumatici che reggono il bianco chiazzato di ruggine e di argilla di un furgone.”

L’odore del riso è il libro dei sensi; pagine che evocano odori, immagini, sensazioni a pelle… Sensazioni vissute dall’autore e trasmesse, come un fluido, nell’anima del lettore (in questo caso lettrice: io!).

Un libro che non si legge in due giorni: pretende attenzione e la merita!!! J

Guardatelo da vicino e poi allontanatevi poco alla volta.

L’odore del riso è un dipinto.

La SINOSSI

L’odore del riso è il terzo e ultimo (chissà) libro della trilogia della pianura di Angelo Ricci, pubblicato da Antonio Tombolini Editore nella Collana Officina Marziani.

L’Hotel Rimini

L'Hotel Rimini

Clochard, senzatetto, coperti di stracci e cartoni, sulle panchine e nei sottopassi della stazione.
Paolo sale sul taxi, con un senso di disagio nello stomaco. Davanti all’hotel ammira gli addobbi, le luci natalizie, l’enorme albero, le decorazioni costosissime. Entra in cucina ancora con la valigia in mano.
«Quanti pasti hai preparato?»
«Quaranta».
«Quanti altri ne puoi preparare?»
Il cuoco risponde e Paolo soddisfatto chiama Radio Taxi.
Tre auto. Sgancia cinquanta euro ad ognuno e parla con i taxisti. Dopo mezz’ora ritornano con un carico di uomini e donne vestiti di stracci e lo sguardo smarrito.
Paolo sorride. Ora è Natale!

© Roberta Marcaccio 2023 – All rights reserved

Il racconto L’Hotel Rimini è stato premiato con il Diploma di Merito al Concorso Scintille in 100 parole (2015).

Un solo sangue

“Mi fermo davanti alla pista di cemento. Sento una valanga calda e densa di tenerezza travolgermi il cuore. Entra in ogni interstizio dell’anima, prende possesso del mio castello emotivo e lo fa suo. è l’idea di me stessa bambina, il mio vero io che torna dentro di me dopo essere stato rinchiuso nella prigione della rimozione. Chiudo gli occhi, lascio che si formi un pensiero e lo proietto sulla parete buia della coscienza. Posso leggerlo.”

Non farò un riassunto del romanzo; la trama la trovate qui o in calce a questa recensione.

Non mi piace raccontare cosa fa la protagonista, chi è, chi sono le persone che appartengono al suo presente e al suo passato e cosa le succede nelle pagine che attraversa.

Dei libri che leggo voglio descrivere chi sono io mentre mi fondo con le parole che emergono dalla storia, quello che provocano dentro la mia anima.

Sto tergiversando perché Un solo sangue è un’esplosione, un groviglio di sentimenti e sensazioni che ti trascinano in una discesa senza fiato da cui emergi solo alla fine e ti accorgi che hai vissuto meno di ventiquattro ore in apnea e con il cuore in gola, fino alla parola FINE. Dalla prima pagina all’ultima è un unico, continuo, lungo respiro. Se non fosse perché devi cucinare, pulire, fare la spesa, mangiare, dormire, il tuo tempo sarebbe solo per Gio.

Vivi la sua vita e senti ciò che lei sente.

Non desideri altro che il suo bene e ti accorgi che tu sei lì per aiutarla. Devi farlo. Il terremoto che travolge la giovane manager dilanierebbe chiunque. Il lettore non può non esserne parte.

Chi si dedica anima e corpo alla lettura, ha le valigie sempre pronte perché sa che dovrà partire, prima o poi.

Ed il viaggio che il lettore fa con Gio è un’avventura dentro sé stesso, una trivella che buca nella profondità dell’anima e tira fuori melma, fango, detriti. Leggere è un viaggio, con la protagonista o all’interno del proprio essere.

Questo libro ha bucato la mia sicurezza e ha spazzato via anni di polvere sopra gli abiti.

Un solo sangue è il libro che non vorresti mai leggere (perché sai che ti porterà a spasso negli inferi della tua anima) ma che devi leggere (perché solo così potrai tornare in superficie a respirare ossigeno).

Non nego di avere arginato le mie emozioni per evitare che esondassero. Era l’unico modo per stare vicina a Gio e tenerle la mano quando il senso di annientamento e la voglia di morire la trascinavano alla deriva.

Una scrittura piena, intensa, travolgente che scivola veloce e non inciampa mai. Amo il modo di scrivere di Lea Rivalta e soprattutto la sua capacità di trascinarti nella storia e farti vivere quello che vivono i suoi personaggi.

Se la reazione del lettore è quella che ho vissuto io, non oso immaginare cosa abbia provato l’autrice durante la stesura di Un solo sangue.

Un solo  sangue è il primo, bellissimo romanzo di Lea Rivalta, publicato da Antonio Tombolini nella collana Officina Marziani.

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