L’odore del riso

Noir d’autore

Ultima puntata della trilogia della pianura, tre noir che mi hanno trascinata di getto in un mondo a me completamente sconosciuto. Di getto come la stesura di questa recensione.

Sono sul Frecciarossa Milano – Napoli, torno a casa dopo una giornata di lavoro nel mio ufficio milanese, mi lascio alle spalle il capoluogo lombardo e attraverso la pianura. La stessa della trilogia.

Coincidenza?

Non credo alle coincidenze. Credo ai bivi, agli incontri, alle scelte. Alle luci che si accendono al momento giusto e all’istinto.

Mentre scrivo (sempre di getto) penso alle sensazioni, alle parole, alle immagini che i libri evocano e a ciò che è successo, alla mia anima, durante la lettura de L’odore del riso.

Un libro particolare, denso, da poltrona, tè speziato, silenzio e profumi forti. Un perfetto esempio di Slow Reading.

La prima volta ho iniziato a leggerlo come se fosse stato un Armony (non li leggo, non pensate male di me!); l’autore se n’è accorto, mi ha “presa a schiaffi” e costretta a ricominciare daccapo.

Non so se ho letto la trilogia (Sette sono i re, Notte di nebbia in pianura e L’odore del riso) nell’ordine corretto. In effetti non esiste un ordine, sono tre storie ben definite e distinte ma sono felice di avere tenuto per ultimo il libro, a mio avviso, più intenso dei tre (forse l’autore non sarà d’accordo).

La storia è difficilmente intuibile. Occorre, con pazienza, arrivare almeno al sessanta per cento della lettura per cominciare a delineare i personaggi, le esperienze, il loro vissuto e cosa se ne fanno della loro vita (in alcuni casi molto complicata).

Sono felice di averlo lasciato per ultimo perché mi ha dato modo di gustare, un poco alla volta, lo stile crescente ed ogni volta diverso dell’autore, entrare nella sua penna ed esserne trascinata.

L’odore del riso ha tre aspetti che emergono con una prepotenza quasi indisciplinata e, per questo, molto apprezzata.

Parto dal basso…

La prima cosa che ho notato è stato il coraggio nell’uso, quasi “illegale”, di aggettivi e avverbi; un plauso all’autore! Io ho il terrore di aggettivi e avverbi. Angelo Ricci lì ha domati, addolciti e incastonati in modo magistrale, con brillante sapienza.

La seconda caratteristica che salta agli occhi è la “geometria delle cose”; il mondo de L’odore del riso è un mondo quadrato, angolare, sferico, è il mondo delle rette, dei piani, dei cerchi. Il rispetto della geometria è anche nella scrittura, nell’incastro delle parole, nella scelta delle ripetizioni, a mio avviso, perfette.

“E’ tutta geometria. Non si scappa. Le cose sono tutte unite. Per i lati e per gli angoli. L’importante è calcolare bene le aree e le metrature. E basta saperlo, che è tutta geometria.”

Ultima ma meravigliosa qualità… (consentitemi la sospensione): i colori. Sarà che amo i colori e la musica ma i marroni, i verdi, i gialli, ed anche i grigi, il nero, il bianco, l’azzurro creano una melodia che non ho trovato in nessun altro libro fino ad ora. È il libro dei colori. Sono rimasta suggestionata. Ho seguito la scia delle parole ed ho capito che ogni singolo elemento era stato studiato con vera accuratezza. Forse sarò smentita ma credo in ciò che ho percepito, nel mio istinto.

“E’ l’aria che mescola tutti i colori. Che mescola il verde e il grigio e l’azzurro. Che mescola anche il bianco di una carrozzeria, sporco dal rossiccio della ruggine, sporco dal nocciola dell’argilla dei fossi. Che mescola il nero, stinto dal troppo uso, di quattro pneumatici che reggono il bianco chiazzato di ruggine e di argilla di un furgone.”

L’odore del riso è il libro dei sensi; pagine che evocano odori, immagini, sensazioni a pelle… Sensazioni vissute dall’autore e trasmesse, come un fluido, nell’anima del lettore (in questo caso lettrice: io!).

Un libro che non si legge in due giorni: pretende attenzione e la merita!!! J

Guardatelo da vicino e poi allontanatevi poco alla volta.

L’odore del riso è un dipinto.

La SINOSSI

L’odore del riso è il terzo e ultimo (chissà) libro della trilogia della pianura di Angelo Ricci, pubblicato da Antonio Tombolini Editore nella Collana Officina Marziani.

Un solo sangue

“Mi fermo davanti alla pista di cemento. Sento una valanga calda e densa di tenerezza travolgermi il cuore. Entra in ogni interstizio dell’anima, prende possesso del mio castello emotivo e lo fa suo. è l’idea di me stessa bambina, il mio vero io che torna dentro di me dopo essere stato rinchiuso nella prigione della rimozione. Chiudo gli occhi, lascio che si formi un pensiero e lo proietto sulla parete buia della coscienza. Posso leggerlo.”

Non farò un riassunto del romanzo; la trama la trovate qui o in calce a questa recensione.

Non mi piace raccontare cosa fa la protagonista, chi è, chi sono le persone che appartengono al suo presente e al suo passato e cosa le succede nelle pagine che attraversa.

Dei libri che leggo voglio descrivere chi sono io mentre mi fondo con le parole che emergono dalla storia, quello che provocano dentro la mia anima.

Sto tergiversando perché Un solo sangue è un’esplosione, un groviglio di sentimenti e sensazioni che ti trascinano in una discesa senza fiato da cui emergi solo alla fine e ti accorgi che hai vissuto meno di ventiquattro ore in apnea e con il cuore in gola, fino alla parola FINE. Dalla prima pagina all’ultima è un unico, continuo, lungo respiro. Se non fosse perché devi cucinare, pulire, fare la spesa, mangiare, dormire, il tuo tempo sarebbe solo per Gio.

Vivi la sua vita e senti ciò che lei sente.

Non desideri altro che il suo bene e ti accorgi che tu sei lì per aiutarla. Devi farlo. Il terremoto che travolge la giovane manager dilanierebbe chiunque. Il lettore non può non esserne parte.

Chi si dedica anima e corpo alla lettura, ha le valigie sempre pronte perché sa che dovrà partire, prima o poi.

Ed il viaggio che il lettore fa con Gio è un’avventura dentro sé stesso, una trivella che buca nella profondità dell’anima e tira fuori melma, fango, detriti. Leggere è un viaggio, con la protagonista o all’interno del proprio essere.

Questo libro ha bucato la mia sicurezza e ha spazzato via anni di polvere sopra gli abiti.

Un solo sangue è il libro che non vorresti mai leggere (perché sai che ti porterà a spasso negli inferi della tua anima) ma che devi leggere (perché solo così potrai tornare in superficie a respirare ossigeno).

Non nego di avere arginato le mie emozioni per evitare che esondassero. Era l’unico modo per stare vicina a Gio e tenerle la mano quando il senso di annientamento e la voglia di morire la trascinavano alla deriva.

Una scrittura piena, intensa, travolgente che scivola veloce e non inciampa mai. Amo il modo di scrivere di Lea Rivalta e soprattutto la sua capacità di trascinarti nella storia e farti vivere quello che vivono i suoi personaggi.

Se la reazione del lettore è quella che ho vissuto io, non oso immaginare cosa abbia provato l’autrice durante la stesura di Un solo sangue.

Un solo  sangue è il primo, bellissimo romanzo di Lea Rivalta, publicato da Antonio Tombolini nella collana Officina Marziani.

Partenze

 

Sono lampi, tuoni, attimi, i sette emozionanti racconti di Maggie Van Der Toorn. Racconti che parlano di vite difficili, diversità, amori spezzati… Racconti che parlano all’anima e da essa provengono.

Viaggi come metafore di vita. Partenze che servono a ricongiungersi con la propria memoria, con se stessi.

Una lettura intensa e ricca che a tratti sorprende e lascia con il fiato sospeso.

Sono momenti intensi come quello che ho vissuto personalmente con l’autrice di questa meravigliosa raccolta.

Maggie è una brillante autrice di racconti, romanzi e sceneggiature.

Ci siamo incontrate in un bar, un sabato mattina, e sono stata subito colpita dalla sua presenza e dalla sua generosità d’animo. Abbiamo parlato di scrittura, quel mondo che ci affascina da cui non riusciamo a staccarci mai. Un mondo che ci lega indissolubilmente…

 

Sono racconti di transito, in un binario, in sala d’attesa, in un treno.
Treno di vita che simbolicamente li raccoglie tutti, ogni racconto si apre con l’attesa, sviluppandosi poi in un vero transito nell’interiorità. Così si trovano Antonio, la mamma di Francesca, Giacomo, e la cantante, Nimeha, la senzatetto e il gatto, spettatori di vite altrui, osservando situazioni esterne per distogliere la mente da quei macigni enormi che portano nel petto. Chi caduto nella voragine del gioco d’azzardo, chi testimone di sconvolgenti delitti, chi si scontra con i propri limiti, è poi costretto a presentare il conto, ad accettare quel verdetto.

 

Partenze, antologia di racconti scritta da Maggie Van Der Toorn e pubblicata da Edizioni DrawUp.

Notte di nebbia in pianura

La nebbia. La nebbia in questa terra. La nebbia che d’inverno ricopre i campi che d’estate diventeranno un mare a quadretti.
Non serve a niente.
Non ti ci puoi nascondere.
Mai.

Dopo anni di corsi e lettura di manuali di scrittura, ho capito una cosa!

In scrittura non esistono regole. Non esiste uno stile. Non esiste un prontuario del giovane scrittore.

Quello che esiste è lo stile che ognuno ricerca e le regole che ogni autore fa proprie.

Sono rimasta colpita da libri che erano al di fuori da ogni canone letterario e dalla particolarità stilistica scelta dallo scrittore.

Come in Notti di nebbia in pianura, romanzo di Angelo Ricci, che ancora una volta mi ha catturata in una lettura noir per me insolita.

È una storia forte, dura. Una vicenda di vite spezzate, avvolte dalla nebbia.

Nebbia che ricopre, congela, stravolge, confonde.

Nebbia in cui si perde tutto: l’arroganza dello Sticazzi, il colore degli occhi di Svetlana, il cemento della tomba che ormai sarà tutto spaccato, la felpa di Ibrahim così calda, l’avvocato che vende opere d’arte a trecentonovantanove euro…

Le storie dei vari personaggi si snodano nella notte della Vigilia di Natale; sono vite apparentemente divise, le une dalle altre, ma allo stesso tempo accomunate dallo stesso clima e strappate alla stessa amarezza.

Lo stile di Angelo Ricci è ancora una volta unico, mi piace definirlo “uno stile al di sopra dello stile”: una scrittura in cui non esistono regole e la narrazione, anziché essere banalizzata, viene esaltata.

Vite come polvere.

Vedo la polvere che danza nel cono di luce che producono i riflettori. La polvere che adesso si stenderà piano piano su queste croste da poco prezzo e su queste povere suppellettili placate argento mille.
Vedo la polvere che si agita attorno a noi.
Che ci domina.
Che ci governa.
Che respiriamo.
Tutti i giorni.
Sempre.

Notte di nebbia in pianura è un romanzo scritto da Angelo Ricci e pubblicato nella collana Officina Marziani di Tombolini Editore.

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