CAMMINARE SULL’ACQUA: MIGLIOR ROMANZO 2019 “R COME ROMANCE”

Bentornato sul mio blog!

Abbandono per un attimo i miei studi di Filosofia olistica per parlarti di un libro adatto al periodo particolare in cui viviamo. Camminare sull’acqua di Lorenza Ravaglia è un romance non troppo romance in cui la protagonista si trova costretta, per motivi che non sveliamo, a un drastico cambio di abitudini. Ti ricorda qualcosa? Inoltre, proprio di questi giorni è la tendenza a ironizzare per alleggerire tensione, paura, fobia e in questo la prosa geniale di Lorenza con quella punta di ironia pronta a sorprenderci, ci viene in aiuto.

Prima di incontrare Lorenza, voglio parlarti di Camminare sull’acqua, vincitore del premio “migliore romanzo” della collana R come Romance del 2019 (Edizioni del Loggione).

Giulia, Pietro, la Patty, Fabio, e poi Lara, Caterina, Roberta sono i personaggi di una commedia esilarante tratteggiata da uno stile ironico che la rende spassosa, invitante e appiccicosa (nel senso che non la lasci fino a che non sei arrivata in fondo: qualità non da poco).

Camminare sull’acqua è la dimostrazione che nella vita si possono raggiungere traguardi che sembrano impossibili. Quando la vita cambia rotta di colpo e ti costringe a una brusca virata, hai solo due cose da fare: soccombere o rimboccarti le maniche e affrontare la sfida.

Giulia, avviluppata a un ingranaggio inarrestabile fatto di casa-lavoro-lavoro-casa, si ritrova a prendere una decisione che le cambierà completamente la vita. Abbandona il lavoro e il marito e, obbligata dalla nuova situazione, si inventa un nuovo mestiere mettendo a frutto le conoscenze e le competenze acquisite negli anni. Si trasforma in una consulente molto particolare (niente spoiler, please!) e lasciando tutti di stucco raccoglie un discreto numero di clienti.

Tra il nuovo lavoro, la scuola di salsa, un nuovo corteggiatore e la pancia che lievita, Giulia riparte con uno slancio che non credeva di avere. Ogni giorno è diverso dall’altro e spesso Giulia fa i conti con i se, i ma, i se sarebbe stato e i forse dovevo, ma ha al suo fianco le amiche di sempre, pilastri indispensabili per i momenti disperati e la condivisione di gioie e dolori, e questo le dà la motivazione che serve per risollevarsi e aprirsi a una nuova vita.

In tutto il romanzo Lorenza Ravaglia mantiene uno stile leggero, ironico e raffinato, lo sfondo ideale alle vicende dei suoi personaggi, liberi di scorrazzare in una realtà inventata dall’insolito sapore di storia vera.

Andiamo a conoscerla meglio. Lorenza, raccontaci qualcosa di te!

Mi definisco un’astroenterologa eterica, sono poliglottide e rispondo sempre: suona e ti sarà aperto. In breve, mi occupo di poesia e letteratura, che sole possono curare l’anima, spesso colpita da velenose sostanze che ne inquinano l’essenza.

Tra le patologie comuni i problemi di cuore sono i miei preferiti: tradimenti puramente platonici o sfrenatamente carnali, extrasistole, pressione alticcia, sospiri cronici. Con la lettura dei miei romanzi e racconti potrete riderne, ma non mi sogno neanche di risolverli, per quello, meglio il vino buono.

Curiosamente, di segno zodiacale sono Zampone. Appartengono al segno dello Zampone tutti i nati tra il quinto e il sesto giorno del mese di ritorno infinitesimale. I nati nel segno dello Zampone vivono avviluppati nella purea di tuberi odorosi e muovono passi solo in corrispondenza di un’adeguata circostanza festiva o in presenza di soffritto. In quel caso è possibile scorgere i sorrisi seducenti degli Zamponi aggirarsi nei fluidi vitali ben frequentati, per esempio da gonadi ben tornite.

Gli Zamponi non amano i legami troppo stretti, e, se circondati, preferiscono un taglio netto e soprattutto poca biancheria intima superflua. Vivere con uno Zampone non presenta particolari controindicazioni: amano i compagni complimentosi e in cambio daranno frutti succulenti quanto costanti. Lasciateli scrivere e saranno molto docili.

Benvenuta nel mio piccolo salotto. Sono una lettrice curiosa; quando leggo un libro mi chiedo sempre cosa ci sia dietro la storia raccontata dall’autore. E come scrittrice lo sono ancora di più: ogni autore ha la sua storia da scrivere e nessuna è mai uguale all’altra. Oggi indosso i panni dei tuoi lettori e provo a curiosare nella tua vita in loro vece e ti chiedo: com’è nata l’idea di Camminare sull’acqua? Ti sei ispirata a qualcosa che hai letto, ascoltato, vissuto o è solo opera della tua fantasia? Da dove nasce l’idea del titolo?

Ciao Roberta, e grazie di avermi invitata! Il mio romanzo, Camminare sull’acqua, nasce da un’urgenza impellente di raccontare una crisi personale, una di quelle crepe che si aprono in ognuno di noi, una volta o l’altra. Vivevo un momento sul lavoro particolarmente insoddisfacente: avevo lasciato una situazione che amavo e che avevo desiderato fortemente per buttarmi in un’avventura che si era rivelata deludente sotto ogni punto di vista, per finire nelle grinfie di una capa che mi odiava. Dopo un momento di grande sconforto, ho deciso di ripartire da lì. L’incipit del romanzo è la cronaca di questa crisi lavorativa che si apre a ventaglio e mostra altre difficoltà della protagonista, nel matrimonio ad esempio. Con un movimento a spirale e un tuffo carpiato nell’inconscio, Gulia, la protagonista del libro si immerge nella sfiga e si reinventa, puntando sui propri punti di forza: l’amicizia, l’amore, la fiducia in sé stessa, l’ironia. In questo senso va anche la scelta del titolo: la vita è un miracolo, come anche uscirne vivi.

Sappiamo che la lettura è la prima scuola di scrittura, inutile che ci illudiamo che i corsi di scrittura siano la manna. Aiutano, sì, ma ci vuole soprattutto tanto allenamento e tanti libri letti o da leggere.
Ci sono autori o libri che hai amato di più? E quali di questi hanno contribuito alla tua formazione come scrittrice?

Sono una lettrice onnivora, compulsiva, nella mia vita ho letto le cose più disparate, da Topolino a Dostoevskij, da Calvino a Rowling, da Ferrante ai Peanuts di Charles Schultz, da Kurt Vonnegut alle sorelle Bronte, Carver, Emily Dickinson, Natalia Ginzburg, ovviamente Shakespeare e De Filippo, senza dimenticare la letteratura per ragazzi, che erroneamente è snobbata da molti adulti e che annovera capolavori imperdibili: Astrid Lindgren, Gianni Rodari, Roald Dahl, Louisa M. Alcott. Ognuna di queste letture mi ha lasciato qualcosa. Non potrei vivere senza i libri: mi insegnano, mi divertono, mi fanno riflettere e mi aiutano a uscire da me stessa. Devo dire che anche la musica e i testi delle canzoni si sedimentano dentro di me e ispirano quello che scrivo. Il romanzo che sto finendo, ad esempio, fa riferimento alla musica e al periodo che abbiamo vissuto prima che si compisse la mutazione antropologica causata da internet e dai social: gli anni Novanta del ventesimo secolo. Vorrei inoltre rendere omaggio a una scrittrice che ci ha lasciato, e che ho avuto l’onore di conoscere: Marina Sangiorgi, un’autrice geniale che consiglio per la profondità del suo sentire, la limpidezza del suo sguardo sulla realtà e la perfezione della sua prosa.

Scrivere richiede tempo, dedizione, spazio, luogo, ambiente interno ed esterno adatti e disponibili. Quali sono le tue abitudini come scrittrice? Preferisci il silenzio, la musica. Hai riti particolari a cui ti attieni fedelmente? Scrivi solo in orari precisi o quando capita?

Ho impiegato molti anni prima di credere in me stessa come scrittrice, ma da qualche tempo sto cercando di mettere la scrittura, non dico al primo posto, ma tra le mie priorità. Devo incastrare questa attività tra gli altri impegni che includono una famiglia, un lavoro a tempo pieno e un minimo di socialità, così, per non rinunciare del tutto scrivo spesso dei racconti e degli articoli brevi, che a volte mi capita di sviluppare in un secondo tempo. La mattina è il momento che preferisco. Al risveglio, mi capita di avere delle idee che restano appese nella mia testa, in quello spazio magico tra il sogno e la veglia. Se mi sembrano buone le butto giù e sto a vedere quello che succede. Spesso scrivo a mano, con carta e penna. La prima versione di racconti e romanzi è manoscritta, e seguono una o più revisioni su pc. Pensa che avevo smarrito il manoscritto di Camminare sull’acqua! Mio marito me l’ha ritrovato dentro uno scatolone in garage. Tipico di me stessa. A volte dimentico le cose veramente importanti della vita.

Stai lavorando a un nuovo libro? Vuoi raccontarci qualcosa o è ancora troppo presto per sbirciare nella nuova storia?

Oltre al romanzo di cui parlavo prima, che però ha una gestazione ben più complessa del previsto, in estate uscirà per l’editore Tempo al libro una raccolta di racconti, dal titolo Mappa delle amiche. Si tratta di ritratti di donne che ho conosciuto o inventato, sono profili spesso ironici e divertenti, ma anche dolorosi, comunque emozionanti, almeno per me. Nella mia intenzione, è un omaggio commosso e partecipe alla femminilità e all’amicizia tra donne. La novità è che sarà un libro illustrato, cosa che accade spesso nella letteratura per ragazzi ma quasi mai in quella per adulti. La bravissima illustratrice che si è occupata di immaginare le mie amiche si chiama Tabita Frulli. Se ne può fare esperienza dando una sbirciata al mio blog Yperurania, dove ho pubblicato alcuni ritratti di “amiche”.

Lorenza ha un sito, Yuperunania, che ti consiglio di seguire e leggere.

Ti lascio il link per acquistare Camminare sull’acqua, che ricordo è edito da Edizioni del Loggione nella collana R come Romance; è disponibile in tutte le librerie online.

Ti lascio anche il link di Libri su misura, la libreria di Edizioni del Loggione in cui troverai tanti interessanti titoli e ti auguro buona lettura.

#IORESTOACASA

Dialoghi per voce sola – di Clara Piacentini

Tre dialoghi, in realtà tre monologhi. Tre monologhi d’amore.

In tre racconti che pare siano strappati dall’anima della narratrice, ogni volta diversa, si riconosce la mano dolce e carezzevole dell’autrice. La delicatezza delle parole e la costruzione delle frasi, come trasposizione dei pensieri, conducono il lettore nel mondo appassionato di Clara Piacentini. Conosco la scrittura dell’autrice da alcuni anni e ammiro la sua capacità di fondere emozione, narrazione e sentimenti senza mai cadere in stereotipi o luoghi comuni. Originalità è la parola che contraddistingue la poetica di questa autrice, una prosa che ha in sé l’essenza della poesia.

È delicata l’autrice quando descrive i luoghi, le persone, i sentimenti. È ricca di particolari. È precisa nei dettagli, nella punteggiatura, nella posizione delle parole mai poste a caso. Nei tre monologhi che diventano spesso un parlare a sé stessa troviamo alcuni personaggi particolari che sono presenti in ogni vita: l’amore, ovviamente, il destino beffardo e a volte generoso, l’illusione, la delusione, il rimorso, la malinconia.

Tre drammi non facili da recitare per i quali l’autrice ha scelto uno stile che ricorda il diario: colloquiale, fresco, una chiacchierata a voce alta. È l’autrice stessa a specificarlo nel terzo monologo.

“Mi blocco. Di colpo. Smetto di scrivere. Diari, sono pagine di diario queste mail, scritte solo per me. […] Mi sopraggiunge la noia, quasi il disgusto verso me stessa, quel me stessa datti di inutile poesia. Quanto sono stata stupida! Sfoglio sempre più in fretta pagine senza spessore, immateriali scivolano sotto le mie dita sullo schermo di un tablet. Parole a caso mi colpiscono, separate, secche come chicchi di grandine. Per chi ho scritto se non per un personaggio inventato dal mio stesso desiderio? Mi sono aggrappata a poche parole per costruirmi l’oggetto d’amore, poche parole forse false, forse veritiere che nel mio animo hanno rimbombato come rullo di tamburi lontani, come il suono del corno che propaga le sue onde e ottunde ogni altro suono.”

I tre dialoghi, o monologhi che siano, sono tre voci solitarie che si intrecciano, si scambiano, creano la sensazione di un’unica storia mentre in realtà non lo sono. Eppure c’è un continuum, una sorta di proseguimento logico, un filo che si tende di voce in voce, sotteso di malinconia, illusione, delusione, amarezza.

Ritorna l’Africa, prepotente e inscindibile compagna di Clara Piacentini. Ritorna quell’amore possente per i colori, gli occhi, gli sguardi, la delicatezza della natura e dei tratti dei bambini. È l’essere bambini, il non voler crescere, il non conoscere l’amore, quello che fa soffrire e strappa l’anima in tanti coriandoli di carta.

Dialoghi per voce sola è una poesia che l’autrice scrive per me, per te o molto probabilmente per se stessa. È l’espressione della passione per l’arte e per la natura; è la rappresentazione dell’amore più puro ma anche più disperato.

Chiudo con le parole di Clara Piacentini, tratte da Dialoghi per voce sola, semplici e fortemente motivanti:

“Per nessuno al mondo devi permettere che sia scalfita l’armonia della tua persona. Concentrati sulle tue letture, la tua scrittura, i bei progetti che stai realizzando. Allontana qualsiasi pensiero, non sobbarcarti l’incapacità altrui. Se qualcosa di bello c’è stato, conservalo. Se qualcosa di buono ancora accadrà, non puoi saperlo. Concentrati solo su di te. Non lasciarlo entrare… ciò che ti può far male.”

Dialoghi per voce sola di Clara Piacentini è pubblicato da ALA Libri

La mia Shoah

È un po’ che ci penso, giro attorno alle parole per trovare quelle giuste. Scrivo, cancello, ricomincio daccapo. E poi chiudo tutto e penso ad altro. O almeno ci provo.

Per anni ho chiuso orecchie, occhi, cuore, anima pensando a cose piacevoli per evitare di capire, conoscere, toccare.

Quest’anno no. Saranno i cinquantaquattro anni appena compiuti? Una maturità (si spera) maggiore? Il desiderio di entrare nei ricordi ed esserne parte? O il bisogno di sapere di più?

È accaduto per caso, un giorno, alla Mondadori. Un giro tra gli scaffali. Un’occhiata in qua e in là. Rigiro qualche volume tra le mani e tanti ne rimetto a posto. Tranne uno. Che mi rimane appiccicato. Ha una bella copertina, il testo è impaginato come piace a me: lettere a grandezza media, righe distanziate, carta avorio ruvida. C’è ossigeno tra le parole. Leggo qualche frase, osservo i dialoghi, con occhio critico registro lo stile pulito, semplice e lo compro.

A casa trova posto sul mobiletto di fianco al comodino assieme ad altri suoi simili in attesa di superare il periodo di adattamento prima che la mia attenzione cada su di lui. Alcuni libri restano abbandonati per anni. Qualcuno per sempre.

A dicembre è il suo turno. La scelta di un libro ha un significato profondo e, per quel che ne so, non sono mai io a scegliere quale leggere ma il contrario. Mi ricorda tanto la storia delle bacchette di Olivander.

Pagina dopo pagina m’incammino tra le righe di Avevano spento anche la luna con una apprensione leggera di fronte all’ignoto. In bella calligrafia Ruta Sepetys ci presenta Lina. Sono a un bivio, a destra chiudo il libro e lo lascio decantare, a sinistra apro gli occhi, osservo e contemporaneamente chiudo il cuore e lo proteggo dal dolore. Vado a sinistra.

Lina, la sua famiglia e altre migliaia di persone vengono strappati senza motivo dalle loro case in Lituania e deportati nei campi di lavoro in Siberia. Qualcuno finisce in prigione (forse ucciso), gli altri in luoghi sperduti, in mezzo al fango, alla neve, in baracche costruite al momento, precarie, inutili, sempre più deboli e malati. È nei campi di lavoro che Lina conoscerà a fondo l’umanità e la disumanità. Imparerà il senso della sopravvivenza, il dono dell’amore agli altri, la condivisione, l’aiuto, la cura.  Conoscerà Andrius, un ragazzo che diventerà una persona importante della sua vita, e Nikolaj Kretzskij, una giovane guardia dell’NKVD, che Lina odierà per quello che rappresenta. Lo strappo dal paese di origine e dal padre stravolgerà, in una sola notte, la sua vita tranquilla: raccoglierà a stento pochi effetti personali, prima di essere buttata su un camion in partenza per un luogo sconosciuto. Viaggerà per mesi, su un treno merci, ammassata ad altre persone, nello sporco, negli escrementi, per raggiungere l’Inferno, un girone dannato da cui non si fa ritorno. Lina, bravissima in disegno, userà il suo talento per comunicare con il padre, deportato in prigione, e per lanciare segnali: ritrae le persone, i luoghi, documenta i fatti, conserva ogni foglio con cura a testimonianza della crudeltà degli uomini. Maltrattati, scherniti, sfruttati i deportati vivono nella disperazione, lottano ogni giorno nella speranza che l’incubo sia soltanto un incubo.

Arrivo alla fine della storia di Lina con il bisogno di comunicare. Ci provo ma le parole si spezzano da sole e non trovano la strada per il racconto. Cerco altro e sul Kindle mi imbatto in Se questo è un uomo. Riposa nel mio e-reader da non so quanto. Lo apro: è ora.

Se questo è un uomo è storia. Non mi vergogno a dire di aver sempre chiuso gli occhi di fronte alle atrocità dell’antisemitismo e non credo di essere l’unica a non aver avuto coraggio, per molti anni, di infilare il cuore in quel mare di fango. Primo Levi apre le pagine al diario dei ricordi e lo fa come se dovesse raccontare un qualsiasi viaggio. Chiude il rubinetto delle emozioni e lascia che sia il lettore a trasformare le parole in sensazioni, immagini, percezioni. Quello che mi ha toccata profondamente è la determinazione, la forza di vivere, la tenacia e la motivazione dei prigionieri di fronte a un destino che avrebbe ridotto alla disperazione chiunque. Ma non loro! Ogni giorno era un giorno in meno nel campo e un giorno più vicino alla speranza. Ogni giorno era un giorno di vita vissuto in più. Di fronte a certe pagine diventi piccola. Provi a metterti in quei panni anche se sai che non puoi farlo. Ti vergogni, questo sì. Di quello che hai, di come vivi, dello spreco, delle lamentele inutili e della violenza a cui assisti ogni giorno. Pensi che forse quello che hanno sopportato i deportati non è servito da lezione all’umanità. Le lotte razziali continuano nel 2020 e non solo verso gli ebrei.

Per un mio senso di riservatezza non ho mai espresso la mia opinione in modo plateale; preferisco svelare i miei sentimenti attraverso il racconto di ciò che hanno rappresentato per me queste letture. Credo nell’esempio, nell’integrità umana, nel rispetto degli uomini e delle idee. A volte il silenzio, un’immagine, una frase, una preghiera fanno più rumore di troppe parole.

Nella nostra era diversamente tecnologica rispetto ai tempi di cui narriamo gli eventi, tutti sanno ciò che stiamo facendo in qualsiasi momento. E così Google conosce alla perfezione i libri e gli argomenti a cui sono interessata. Una spia silenziosa, a volte inquietante, altre volte utile che mi propone nuovi libri dello stesso genere di quelli in cui sto ficcando il naso in questo periodo. Perché la cosa che ho allontanato per cinquantaquattro anni diventa l’unica che all’improvviso voglio fare. Ed è così che incontro Charlotte, La bambina che guardava i treni partire.

La trovo in biblioteca e la porto a casa con me, assieme ad altri due volumi: uno di psicologia e uno di medicina cinese. Google continua a fornirmi titoli interessanti: Eichmann, dove inizia la notte, L’uomo che sfidò i nazisti e La banalità del male; prendo nota e li aggiungo alla lista dei libri da leggere. Ne parlo con un’amica che mi consiglia Io non mi chiamo Miriam e aggiungo anche questo. Poi ne trovo altri. E l’elenco diventa infinito.

Mentre decido quale leggere per primo, Charlotte mi prende la mano. La seguo nel suo viaggio, dalla partenza a Liegi, in direzione di Parigi, con un nuovo cognome e pochi indumenti infilati a forza in una piccola valigia perché “non devono dare nell’occhio”. Charlotte gioca con i nastrini dei capelli, li attorciglia tra le dita, li perde. L’ansia e la paura sono compagne di viaggio non invitate. Non parlare, rispondi con poche parole, ora ti chiami Wins, non sei ebrea, sei ariana, il tuo aspetto lo dimostra, stai calma. Il viaggio continua da Parigi verso Lione, in un gioco a scacchi con le milizie naziste, uno slalom dove la buona sorte muove la pedina giusta più di una volta. Charlotte e la sua famiglia si nascondono, vivono in condizioni disagiate, senza cibo, acqua, in luoghi angusti e sporchi per quattro anni, correndo verso una libertà irraggiungibile. Da Lione verso la Svizzera, poi a Grenoble e da qui verso i monti con il respiro corto e il terrore alle spalle. Lo sfiorano più volte, quel terrore che nessuno ha il coraggio di nominare.

La storia di Charlotte si intreccia a quella degli zii, dei nonni e di altri ebrei polacchi costretti in un ghetto a Konskie e poi deportati nei campi di sterminio assieme a migliaia di innocenti o fucilati. In modo inspiegabile queste vicende si intrecciano anche al racconto dei soldati della legione straniera francese impegnati nelle battaglie di Bir Hacheim ed El Alamein. La bambina che guardava i treni partire diventa così un romanzo storico con una narrazione travolgente.

Ecco! Questa è la mia Shoah. Non sapevo da dove iniziare ma sentivo il bisogno di colmare un vuoto e comunicare. Per il momento mi fermo qui ma continuerò a frugare nella memoria di chi ha vissuto la brutalità, sopportato la cattiveria ed è sopravvissuto. Cercherò anche le storie di quelli che non ce l’hanno fatta perché la loro memoria non resti confinata solo al 27 gennaio.

(Foto in copertina di Krzysztof Pluta da Pixabay)

“Con parole tue”, il corso di comunicazione di Carla Casazza

Hai un prodotto, un’idea o un servizio che desideri fare conoscere al mondo ma non sai da che parte iniziare? Ti mancano spunti, consigli o semplicemente la spinta giusta per il lancio? Non sai quali canali di comunicazione usare, come funzionano e soprattutto cosa scrivere per invogliare i naviganti della rete o del mondo a interessarsi a te? Hai bisogno di chiarirti le idee sull’uso dei social o ti manca quel quid per affinare il tuo modo personale di comunicare?

Affrontare il tema della comunicazione, sfruttando il mondo dei social senza dimenticare gli strumenti tradizionali, è un compito da affrontare con impegno. Chiunque di noi abbia sentito l’esigenza di farsi conoscere per sponsorizzare un prodotto, progetto o servizio si è scontrato con le domande dispettose: Come devo fare? Da dove inizio? Cosa scrivo? Come lo scrivo? Devo usare immagini? Dove le prendo?

È molto più semplice affidare il mandato a una agenzia ma non sempre è possibile. Quindi rimbocchiamoci le maniche e facciamo quello che è possibile, giusto? Sbagliato!!

Se quello che VUOI è ottenere un risultato, occorre lavorare in modo organizzato, preparare il materiale necessario, programmare i passi da fare, definire un calendario, decidere i contenuti e scegliere le immagini adatte. Il tutto legato alla tua personalità, a come sei e a ciò che ti piace. Sembra difficile, detto così, ma non lo è.

Certo, occorrono organizzazione, impegno, costanza e un aiuto concreto.

Per aiuto concreto mi riferisco al corso Con parole tue – Corso di base per comunicare online in modo efficace e personale di Carla Casazza.

Di tutto quello che si trova in rete (libri, videocorsi, workshop, ecc.), questo di Carla Casazza l’ho trovato pratico, facilmente fruibile e ricco di perle.

Carla ti accompagna, passo passo, lungo un percorso a molti sconosciuto e ti consegna un programma fatto di teoria semplice ed esaustiva e relativi compiti da eseguire che se applicati realmente al tuo bisogno, saranno la base da cui partire per il progetto di comunicazione che hai in mente.

Personalmente l’ho trovato molto utile anche per me che a digiuno non sono, perché Carla ha sempre un asso nella manica da estrarre quando tu pensi che la soluzione non esista, sia troppo complicata o solo alla portata di pochi esperti professionisti, mentre lei te la rende semplice, alla tua portata.

Ci vuole impegno, sicuramente, è un corso da studiare, approfondire, rileggere più volte e applicare ma seguendo il percorso tracciato da Carla, si arriverà a fine lettura con tutto il materiale necessario e gli strumenti per lanciarsi nel WEB.

Quindi cosa aspetti, Buon Volo e Buona Comunicazione!

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: