Una giornata su Libersfera

Chi cerca, sfoglia… è il motto della pagina Facebook di Libersfera, la vetrina degli autori che hanno scelto di improvvisarsi editori, adottando come strumento di produzione la piattaforma Streetlib, una delle più utilizzate in Italia.

Libersfera, alla cui pagina puoi accedere da QUI, propone, agli autori che scelgono di seguire la pagina in modo attivo (condividendo, commentando…), la pubblicazione del libro in vetrina e una giornata completamente dedicata all’autore e al suo libro.

Il 24 ottobre (segnalo in agenda) la prima pagina di Libersfera sarà dedicata a Tranne il colore degli occhi, il mio primo romanzo, la storia di Michela e Annamaria, due amiche inseparabili che un destino crudele dividerà per moltissimi anni.

Contestualmente alla giornata autore, Tranne il colore degli occhi è presente anche nella vetrina della pagina, nella categoria Narrativa contemporanea, fiction.

Ricordo le modalità di acquisto del romanzo:

  • su tutti i siti online (Streetlib, Amazon, Libersfera, IBS, Kobo, ecc…) in versione audio, cartacea ed ebook (epub, mobi…)
  • presso la libreria caffetteria Alidangelo Caffè Extro di Rimini, dove con l’acquisto del libro riceverai in omaggio l’ottimo caffè di Angelo e il meraviglioso sorriso di Alice
  • presso la libreria Bianca&Volta di Riccione, dove ad attenderti ci sarà Giulia, la bravissima libraia che saprà esaudire tutti i tuoi desideri di lettura
  • infine dalla sottoscritta con autografo e dedica

E ora, penna in mano e agenda e non dimenticare di fissare il nostro appuntamento: 24 ottobre, dalle nove del mattino alle nove di sera. Ci conto!

Ti aspetto!

 

TRANNE IL COLORE DEGLI OCCHI dalla calda voce di Virginia Alba

cropped-tranne-il-colore-degli-occhi.jpgNon avete voglia di sfogliare pagine, c’è troppa luce e gli occhi lacrimano, fa caldo e l’unico desiderio è quello di stendersi a occhi chiusi e ascoltare qualcosa in sottofondo? Una dolce musica?
Oppure una storia forte ed emozionante?
Magari narrata da una voce calda che scatena ancora di più la vostra immaginazione?
Quella voce ha un nome, Virginia Alba, attrice, speaker, autrice e registra.
Il libro ha un titolo: “Tranne il colore degli occhi“,  la storia di due amiche, unite da un amore indissolubile che neanche l’assenza riuscirà a spezzare.
Lo trovate QUI, sul sito de Il Narratore.

 

L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Amanda Pitto Melling

La mia ospite di oggi è di origine italo-tedesca, è nata a Londra e vive in Irlanda con il marito e i figli. È appassionata di cultura contadina, folklore montano, tradizioni popolari, fotografia e cucina.

Ha diverse pubblicazioni al suo attivo (romanzi, saggi, racconti, storie per bambini) per le quali ha ricevuto alcuni premi letterari. É appassionata di fotografia, e a questo proposito è uscito ad agosto del 2016 per Flook, l’app dello scrittore Federico Moccia, un suo Taccuino di viaggio dedicato all’Irlanda.

Fra le sue pubblicazioni ricordiamo Racconti di umana natura di Montedit, I racconti di Boscomagico, Pagan Pride Italia, tradotta per una tesi universitaria all’Università di Leeds, Il Testimone del Diavolo, Anguana edizioni, un noir con prefazione a firma di Danilo Arona.

I suoi ultimi due libri, editi da Antonio Tombolini Editore, sono Il peso sul cuore (collana Oceania) e Il capolavoro (collana Amaranta). Oltre ad essere scrittrice, è anche direttrice della collana Amaranta per Antonio Tombolini Editore.

Questo è quello che dice di sé: “Amo anche le eccellenze culinarie, e i miei imminenti progetti letterari verteranno proprio su questo. Mi piace sperimentare e unire vari generi letterari, e difficilmente amo ripetermi in ciò che scrivo. Nelle mie particolarità ci sono senz’altro l’adorazione smisurata per i corvi, i miei diciotto tatuaggi e la fissazione per ogni forma, vera o presunta, di gingerbread man.“

La vogliamo conoscere assieme? È un onore averla qui con me oggi, lei è anche una delle persone che ha creduto in me e nella mia capacità creativa. Il suo nome è Amanda Pitto Melling.

amanda1Eccoci qua, Amanda. Intanto benvenuta nel mio salotto. È un piacere averti qui oggi. Come sai, noi, a L’ora del tè, prima di iniziare a chiacchierare beviamo tè, caffè, c’è chi mi ha chiesto della birra o, addirittura, alcolici. Abbiamo una dispensa ben fornita. Cosa posso offrirti?
Grazie a te per l’invito. Prenderei se possibile un vino bianco sapido, bello fresco, e magari due patatine, ho fatto il voto di non bere il tè almeno fino a novant’anni.

Pronta per iniziare la nostra chiacchierata?

Sono pronta, anche perché adoro le interviste.

A che età hai iniziato a scrivere?
Da quando ho preso in mano fisicamente la penna. A scuola ero un disastro, ma facevo i temi senza quella che veniva definita la versione “brutta” già dalle elementari.

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Non deve parlarmi nessuno da quando mi alzo la mattina, l’interazione sociale mi devasta la mente.

Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
Preferisco luoghi tendenzialmente isolati e piccole comunità.

Il libro più bello che hai letto?
Il Manuale del guerriero della luce di Coelho, perché mi sento una guerriera in cerca di giustizia.

Il luogo più strano in cui scrivi?
Sono maniaca della routine, posso scrivere solo seduta sull’erba in giardino o in casa mia sulla poltrona.

 

Se non ti dispiace inizierei con una domanda personale, di quelle che gli autori odiano ma di cui noi, de L’ora del tè, siamo curiosi. Spero mi perdonerai! Vorrei curiosare un po’ nella tua giornata tipo, sapere come organizzi il momento della scrittura (hai dei figli piccoli, quindi sei molto impegnata), cosa succede mentre scrivi, di che cosa hai bisogno, se bevi, mangi, ascolti musica, se hai bisogno di Internet, di un vocabolario, di un foglio degli appunti, di disegni…
Sono troppo curiosa?
No al contrario, più le domande sono personali, e più mi fa piacere rispondere. La mattina porto i figli a scuola e all’asilo, che qui in Irlanda iniziano alle nove e mezza, torno a casa con il più piccolo, mi siedo con una tazza di caffè lungo e organizzo la giornata. È in quel momento che capisco se sono nel mood giusto per immergermi nella scrittura. L’orario ottimale per scrivere è sempre un’ora prima di pranzo e un paio d’ore nel primo pomeriggio, quando i bambini sono tornati e magari si rilassano un po’. Qualsiasi rumore di sottofondo mi disturba, ad esclusione dei cartoni animati che ho imparato a non ascoltare. In questo senso sono fortunata, vivo in aperta campagna e tutto tace. Non prendo appunti, e possibilmente non uso internet. Spesso guardo fuori dalla finestra, dove vedo le fronde degli alberi muoversi e i corvi appollaiati sulla mia recinzione del giardino, e cerco di svuotare la mente. Intorno a me le cose continuano a scorrere, i bambini hanno sempre esigenze, ma ho imparato a isolare una parte della mente per quel tempo che mi serve, nonostante il mio corpo continui a svolgere delle azioni come prendere un succo di frutta, cambiare canale, o cercare i giochi che i cani nascondono. Ho provato ad ascoltare della musica un paio di volte, ma non fa decisamente per me, a volte mi ha anche creato il classico blocco per giorni. Non a caso quando in passato ero insegnante di danza del ventre, occupata a creare coreografie con i pezzi in sottofondo, ho passato molti anni senza scrivere nulla. Poi sono stata proprietaria di un Guest House per due anni nel Clare, e anche in quel caso, con la gente che andava e veniva, non riuscivo a ritagliarmi uno spazio intimo. Da quando mi sono trasferita nel mio cottage, riesco a scrivere molto di più. Ne deduco quindi che anche i luoghi in qualche modo influiscano sulla capacità creativa. E a proposito di postazioni, le mie sono il breakfast table, oppure la poltrona reclinabile, sempre rigorosamente con ipad mini.
Per tornare alla mia giornata, verso le otto di sera ci mettiamo tutti a tavola, e poi se non siamo troppo stanchi, quando tutti i bambini dormono, io e Jonathon (mio marito) torniamo in salotto a rilassarci. A volte mi vengono delle idee durante la notte, e quello è un grosso problema, perché poi non riesco più a prendere sonno. Se devo trovare ispirazione, invece, ho solo un oggetto che mi salva: il binocolo.

 

amanda3Grazie Amanda per averci consentito di sbirciare dentro la tua giornata tipo. A noi lettori (ed a me in particolare) piace conoscere le abitudini dei nostri autori preferiti.
Molto interessante il luogo in cui vivi, immerso nella natura e, da come racconti, molto semplice e naturale. Interessante ed anche stimolante.
Mi riallaccio a quest’ultima riflessione per la prossima duplice domanda.
Prima di tutto ti chiedo di raccontaci com’è nata e poi si è realizzata l’idea di trasferirvi in Irlanda e poi, legando questo concetto alla scrittura (il tuo lavoro primario), vorrei sapere quanto, secondo te, il luogo in cui vivi è da stimolo per nuove storie e nuovi progetti oppure l’ispirazione arriva a te da un’altra fonte.
L’idea iniziale era di trasferirci in Danimarca, dove viveva mia suocera, oppure in Spagna, che in campo alberghiero offriva diverse soluzioni. Poi abbiamo pensato che per snellire la burocrazia, forse era meglio venire sull’isola di smeraldo, visto che mio marito è irlandese. Quando sono arrivata non conoscevo nulla del posto, non ci ero mai stata nemmeno in vacanza. Le temperature qui non salgono quasi mai sopra i 20 gradi, e per me, che ho l’anemia mediterranea, significa avere ossigeno sempre, anche grazie al vento, che io adoro. Trasferirci è stato piuttosto complesso, siamo partiti con una macchina con dentro bambini, gatti e cane, e una volta arrivati, abbiamo dovuto subito sostituirla per la guida al contrario. È stato anche un viaggio tragicomico, a Parigi in albergo un gatto si è infilato nell’intercapedine del bagno ed è rimasto bloccato, e il cane è scappato al ristorante. Quindi tutti ci vedevano correre in giro con i passeggini senza capire cosa stesse succedendo. E poi quando cambi paese cambi letteralmente il tuo mondo. Non credo però che il luogo stia contribuendo alle mie idee per nuovi libri, ad esclusione di un ricettario mediterraneo che ho quasi finito, dedicato ai paesi anglosassoni.  Per qualche motivo, da quando vivo in Irlanda, ho iniziato ad avere una grande passione per la cucina. Quando lavoro a un romanzo, ascolto una voce che non ho ancora capito da dove arriva, ma fortunatamente non parla in gaelico!

 

Ho una domanda tecnica da rivolgerti. Quando si pensa alla scrittura, ci si immagina che lo scrittore sieda davanti al computer (in un giorno di piena ispirazione) ed inizi a rigettare parole su carta come un forsennato. Ovviamente io so che non è così ma credo che molti lo pensino (lo capisco dalle domande che mi rivolgono).
Nell’ultima biografia (Terry Brooks) che ho letto, l’autore spiega l’importanza di lavorare in maniera organizzata, costruendo uno schema, predisponendo delle schede per i personaggi, affinando la trama a tal punto da “avere la storia in mano”.
Cosa ne pensi? Anche tu utilizzi questa tecnica oppure hai un tuo modo di approcciarti al foglio bianco.
Il mio metodo è questo: cammino da qualche parte e a un certo punto una voce mi racconta la storia in sintesi di qualcuno, come se non fossi io ad avere l’intuizione. Lo so che è un po’ strano, ma è quello che accade. Torno a casa e scrivo la trama in poche righe, come se stessi presentando a me stessa il romanzo, e nel modo più commerciale possibile. Poi lascio che mi raggiungano dei dettagli nella mente, ma in questa fase, che può durare anni, non scrivo nulla. Quando sono pronta, inizio. Non lavoro mai a un romanzo più di due o tre mesi, poi se mi viene richiesto, allungo il brodo successivamente. Non so bene cosa succederà, non sono per nulla organizzata, lascio andare dove deve finire il tutto per un paio di ore al giorno tutti i giorni, cercando di non prendere mai una pausa. Ad esempio, ora sto pensando a un fantasy per ragazzi, e conosco l’isola dove si muove il protagonista, ho presente tutta la scenografia, e anche quei quattro o cinque punti cruciali che ci saranno grazie a delle immagini di oggetti che mi sono arrivate, ma cosa succederà, precisamente, non lo so. E non so nemmeno quando sarà il momento di scriverlo sul serio. Sono una persona dal temperamento molto vulcanico e questo mi porta ad essere forse impetuosa anche nei progetti letterari. Se parto, non mi fermo più, e tendo a rappresentare bene l’immagine dello scrittore tormentato che non si cura della realtà. Io però per forza di cose mi sdoppio, il corpo fa una cosa, e la testa un’altra. Senz’altro sono una scrittrice forsennata.

 

amanda2Lo scrittore vive due vite contemporanee: una nella realtà, l’altra nel sogno.
Raccontaci due sogni: quello che ti ha suggerito Il peso sul cuore e quello che invece ti ha condotto verso creazione de Il capolavoro.
Il peso sul cuore è nato osservando le rose rampicanti di una casa nella località di Cong. La voce mi ha detto che quella proprietà con una parete a filo d’acqua, nei pressi del parco del paese, era in realtà un B&B dove una ragazza doveva scoprire qualcosa sul suo passato. Essendo a circa venti minuti da casa mia, ci tornavo spesso, e altri luoghi adatti al romanzo si sono presentati: il negozio di libri antichi, Ashford Castle, il pub, il negozio di alimentari. Avevo una strana urgenza di far uscire quella storia dalla mia testa. Sono anche successe delle cose molto curiose, durante la stesura. Nel libro c’è un passaggio in cui racconto del Claddagh Ring, un anello tipico irlandese che spesso include uno smeraldo, forse perché di quel verde brillante tanto simile al muschio dell’isola, e nello stesso istante in cui lo scrivevo ho ricevuto in regalo proprio quell’anello. È un romanzo con un grande potenziale, sarebbe perfetto per essere trasformato in un film, e spero che un giorno verrà tradotto in inglese per poter essere letto proprio dalla gente che vive nella contea di Mayo.
Il capolavoro invece nasce grazie a tanti ricordi d’infanzia. In Valsesia, dove è ambientato il giallo, ci ho passato molti anni, e ci sono luoghi che fatico a dimenticare. Io poi sono una grande appassionata di folklore e cultura contadina, quindi poter ambientare un romanzo in una casa Walser è stato divertente. In quel caso particolare, ho dovuto necessariamente preparare uno schema per la storia, perché si trattava di un omicidio, doveva entrare in gioco anche la razionalità. Tendenzialmente, essendo una grande amante del cinema, mi faccio trascinare in questi mondi paralleli anche da dettagli che si imprimono per sempre nella mia mente tramite le scenografie. Ci sono film che mi ossessionano, come The Wicker Man di Robin Hardy, dove mi sono innamorata del negozio dell’isola. Ce ne sono altri che sono entrati in gioco durante la stesura del giallo, ad esempio un sospettato in particolare ha preso spunto dal capitano della nave di Stardust, interpretato da Robert De Niro, e Misery non deve morire ha avuto un ruolo cruciale sulla mia scelta stilistica. Il capolavoro ha preso anche spunto dalla serie tv di Agata Raisin, investigatrice un po’ bizzarra estremamente famosa in Inghilterra. Mi sto giusto rendendo conto ora che forse per ogni romanzo che scrivo entrano in gioco dinamiche completamente differenti. A volte, forse, la realtà e il sogno si avvicinano. Potrebbe dipendere molto dal genere di appartenenza del romanzo. Ogni volta sperimento nuovi modi di lavorare, quindi si può affermare che mi ritrovo sempre come se fosse la prima volta che scrivo. Ho iniziato con i racconti drammatici, per passare alla saggistica esoterica, poi al genere noir, rosa e giallo. Con Moccia ho poi pubblicato un taccuino multimediale di viaggio. Ora sto lavorando a un ricettario e a un romanzo mainstream. Non amo ripetermi, ma non so se sia un bene o meno. Prima o poi esaurirò i generi letterari.

amanda4Ovviamente noi speriamo che tu esaurisca i generi letterari il più tardi possibile così da concederci il piacere di leggerti in tutte le tue forme; ed una volta esauriti io mi auguro che tu possa ricominciare daccapo.
Ultima domanda, Amanda, purtroppo siamo arrivate alla fine.
Anzi, per la verità ne ho altre due.
Per prima cosa ti chiedo di raccontarci dei libri che leggi, quali sono i generi e gli autori che preferisci e quanto queste letture influiscono sulla tua produzione letteraria.
L’ultimissima domanda poi la rivolgo ad Amanda, direttrice della collana di Antonio Tombolini Editore e ti chiedo di parlarci della tua attività per Amaranta, di cosa si tratta, qual è la mission e come selezioni le opere da pubblicare.
Sono una lettrice infedele. Ad esclusione di Stephen King, di cui ho letto una decina di romanzi, tendo a innamorarmi dei libri ma non degli autori. La mia libreria è piuttosto eccentrica, ma certamente i miei romanzi preferiti sono La foresta incantata di Mary Stewart, Gli occhi dell’Amaryllis di Natalie Babbitt, La notte dei desideri di Michael Ende e Lo stregone di Robert Westall. E poi adoro i libri illustrati come Il grande libro degli gnomi di Wil Huygen, C’era una volta di Hermann Vogel e Il cammino dei maghi di Tom Cross. Lo so, non è propriamente letteratura per adulti, ma dovresti vedere la mia casa piena di casette colorate e gingerbread man per capire che non ho ancora deciso di crescere. Di autori italiani ne ho letti veramente pochi, ma voglio rimediare prima o poi con Mauro Corona, che mi affascina molto.
Come direttrice editoriale invece mi trovo ad affrontare tematiche completamente differenti. Cerco di scegliere storie originali, dove l’amore è il contorno ma il piatto principale è qualcosa di più intrigante, e se possibile, cerco anche di differenziare molto le uscite, come stile, lunghezza, tema e atmosfera, che magari si avvicina ad altri generi letterari. Dicono che i romanzi d’amore abbiano uno schema preciso da seguire, non è quello che cerca Amaranta. L’originalità e la scorrevolezza sono i due punti su cui mi soffermo maggiormente. Nei romanzi del 2016 ci sono state sfumature politiche, drammatiche, ironiche, e due gialli. Ora mi piacerebbe esplorare il fantasy, lo storico, il noir, l’erotico. Certo non dipende da me, ma da ciò che di veramente buono mi arriva da valutare. La prima uscita del 2017 parla di streghe ed esoterismo, la cosa mi entusiasma molto, e la collana ha già pronti nuovi titoli molto interessanti.

Capisco cosa intendi con “lettrice infedele”. La voglia di leggere di tutto e assaggiare il più possibile ci costringe a tradire autori che amiamo o con cui vorremmo trascorrere più tempo possibile.
Amanda, ti ringrazio di cuore per questo incontro molto piacevole, per aver aperto la tua casa ai nostri occhi e averci parlato di te. Spero verrai a trovarmi di nuovo nel mio salotto. Grazie ancora!

Un’anticipazione per i lettori de L’ora del tè. Nella prossima puntata non ospiterò uno scrittore. Non siete curiosi? E allora seguitemi !!
A presto!

 

Un assaggio: capitolo 22

Tranne il colore degli occhi

Ieri sera sfogliavo il mio romanzo. Non amo farmi pubblicità, anche se capisco quanto sia sempre più importante fare marketing di sé stessi.
Io non sono brava in questa veste ma ogni tanto ci provo.
Più che parlare del mio libro vorrei che il mio libro parlasse al posto mio.

Ieri sera sfogliavo il mio romanzo, dicevo, e l’ho aperto a caso al capitolo 22, un numero che ha per me un significato molto particolare. Come particolare è il capitolo stesso, di cui vi regalo un assaggio.

Capitolo 22

Quando bussò alla mia porta, la notte del 22 marzo, Rocco era ubriaco, urlava e vomitava. In preda a non so quali allucinazioni o forse solo pazzo di dolore gridò più volte che dovevo salvarla, resuscitarla.

«Falla vivere!» urlava.

Aveva gli occhi spiritati, le mani tremanti ed era sudicio; puzzava di alcol, sudore e vomito. Lo invitai a entrare e sedere. Si buttò a terra, vicino al camino. Si prese la testa fra le mani e solo allora notai il sangue. Aveva un taglio su un polso e la ferita era sporca di terra e sangue raggrumato. Lo medicai, nonostante le sue proteste, e gli feci bere un infuso di erbe. Si calmò e mi raccontò del giorno maledetto.

Quando arrivai alla fontana vidi le macchie di sangue vicino alla cesta coi panni.Sapevo che l’avrei trovata lì. Mancavano pochi giorni. Eleonora era sicura che sarebbe nata il 21.
«Nascerà il primo giorno di primavera» diceva; era felice. Non vedeva l’ora di stringere la sua bambina.
Sapevo che sarebbe scesa verso le tre; di solito puliva la cucina e aspettava che Giovanni uscisse per andare al mercato, prima di recarsi alla fontana. Una tenaglia mi strinse lo stomaco. Non respiravo. Attorno alla fontana c’era molta acqua. Qualcosa l’aveva fatta tracimare fuori. I panni della cesta erano bagnati e insaponati. Ma lei non c’era. Il mio cuore sembrava impazzito. Sbatteva, picchiava, non mi faceva capire niente. Era l’unico rumore che sentivo. Dalla fontana presi il sentiero che conduce alla contrada. Pregavo Dio che Eleonora fosse a casa, stesse bene, e che i miei timori fossero solo il frutto di un brutto presentimento.
Camminavo, correvo, ansimavo, non avevo fiato.
«Dio mio, ti prego, ti prego…»
Erano le uniche parole che riuscivo a pronunciare. Affrontai la salita in poche falcate e quando arrivai in cima il cuore mi cadde a terra. Eleonora era là, appoggiata ad un albero, sudata, bagnata, sporca di sangue. La raggiunsi e la presi fra le braccia. Tremava come un filo d’erba. Si abbandonò fra le mie braccia e io la sollevai. Respirava a fatica. La stesi a terra, ma si contorceva dal dolore. Strillava il mio nome.
«Rocco! Aiutami!»
Mi gridava di aiutarla ed io non sapevo cosa fare.
«Amore, ti prego, resisti! Cerco aiuto e ti porto dal medico».
Gridava più forte.
«Non mi lasciare! Chiama Diana!»
Parlava a singhiozzi, in mezzo alle fitte atroci e ai morsi di dolore.
«Aiutami!»
«Amore, ti prego, resisti!»
Si strinse a me con tutta la forza che aveva. Infilò le unghie nella mia carne. La presi in braccio e lei gridò. Sapevo di farle male ma non avevo scelta.
«Perdonami amore. Ti porto a casa».
La vidi stringere i denti. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Si aggrappò con entrambe le braccia e nascose il viso nell’incavo del mio collo.
«Amore, manca poco. Resisti!»
La sentivo contrarsi. La pancia contro il mio torace. La sua bambina fra me e lei. Eleonora mi guardò ed aveva gli occhi asciutti, belli come non li avevo mai visti. Mi sorrise e quello fu l’ultimo sguardo che mi rivolse. Poi una doglia ancora più forte delle altre la fece urlare come non avevo sentito mai.
Davanti a casa sua chiamai il marito. Urlavo.
«Giovanni! Giovanni!»
Presi a calci la porta.
«Giovanni apri! Ti prego!»
Picchiavo sempre più forte. Stavo per sfondare la porta quando si aprì.
«Cosa…»
«Giovanni, Eleonora… bisogna chiamare Diana».
Giovanni sbiancò e corse via, verso il bosco.
Entrai. Eleonora era aggrappata a me. Ma non era cosciente.
La coricai sul letto. Sembrava non provasse più dolore. Era immobile, inerte, abbandonata. Le accarezzai i capelli ma non si mosse.
«Ele, amore».
Non rispose.
La baciai.
Non si mosse.
Il suo torace si alzava e poi si abbassava ed io lo guardavo come se temessi che smettesse di respirare da un momento all’altro.
Perdeva sangue e liquido. Presi un asciugamano e la pulii.
Teneva gli occhi chiusi e non reagiva.
L’accarezzai sul viso.
«Ele, ti prego amore, rispondimi. Dimmi qualcosa. Mandami al diavolo, ma parlami. Ti prego!»

Quando entrai nella camera da letto, Rocco era vicino a lei. Aveva la fronte appoggiata alla pancia di Eleonora, pregava e piangeva. Giovanni era dietro di me. Vide l’uomo disperato al capezzale della moglie ed uscì di casa.
«Rocco!»
«Diana, ti prego, devi aiutarla».
«Cos’è successo?»
«Non lo so. L’ho trovata vicino alla fontana. Ha perso sangue».
«Lascia fare a me, ora. Chiama Antonietta. Falla venite qui. Mi servono asciugamani, lenzuola pulite e acqua calda. Subito!»
Rocco uscì di corsa. Mi avvicinai a Eleonora e le toccai la pancia. Gridò e spalancò gli occhi. Le divaricai le gambe.
«Perdonami figlia mia».
Infilai la mano e toccai il collo dell’utero. Era già dilatato, ma non abbastanza. Potevo aiutarla ad accelerare il travaglio ma non sapevo ancora in che posizione era il feto. Dovevo aspettare. Non potevo rischiare. Eleonora era già abbastanza provata.
Poi iniziò il vero travaglio. I dolori violenti, insopportabili. Antonietta restò con me per due giorni. Per tutto il tempo che trascorremmo là dentro, Eleonora non fu mai cosciente. A volte sembrava ritornare, ma poi crollava di nuovo in uno stato di completa assenza dal mondo. Tremava per i dolori, gridava, si contorceva e fra una doglia e l’altra sveniva.
Non mangiammo, non dormimmo. A nessuno era consentito entrare.
Alla fine del primo giorno, capii che c’era qualcosa che non andava e quando vidi che non era la testa quella che sarebbe uscita per prima cominciai a pregare anch’io. Antonietta non mi chiese nulla e, con un riserbo che mi commosse, pregò assieme a me. Il ventuno mattina Eleonora era pronta per partorire ma il feto non si era girato. Ormai era stremata. Non aveva neanche la forza di gridare. E le doglie erano finite. Le mie preghiere non erano servite a nulla. Forse non basta chiedere aiuto una volta per ottenerlo. Continuai a massaggiare la pancia di Eleonora sperando di vedere apparire i capelli. Non mi fermai mai, neanche quando il cuore di Eleonora smise di battere.
«Diana!»
Antonietta appoggiò una mano sulla mia spalla ed io crollai.
«Diana, è finita!»
Uscii dalla stanza, parlai con Giovanni e chiesi a Antonietta se era pronta ad assistermi. Lei mi guardò con gli occhi enormi e si avvicinò a Eleonora. Chiusi a chiave la porta e ricoprii il letto di asciugamani e cerate. Dopo mezz’ora estrassi Michela dalla pancia della madre e la deposi fra le braccia di Antonietta.

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