Un silenzio lungo un anno

Dopo tredici mesi di silenzio torno qui. Un tempo lungo, necessario per raccogliere le forze e avere ancora qualcosa da raccontare.

Un anno fa ho ricevuto una notizia terribile. Per la privacy e per non danneggiare alcune persone che non meritano più la mia stima, mi limiterò solo a ciò che ha significato per me.

Leggere un fatto sui giornali o i social non è come viverlo in prima persona: pensiamo che certe situazioni capitino solo agli altri. Quando invece succede a te, il boccone ha un sapore amaro: un bel giorno ti svegli, il mondo ha cambiato faccia, la tua sedia è occupata da un altro e le persone che hai attorno non sono più le stesse.

In un anno sono successe molte cose: ho vissuto a Ivrea, ho subito un intervento al naso (niente di serio), ho lasciato il mio lavoro dopo trent’anni di carriera e ne ho trovato un altro.

Perché Ivrea? Esattamente a ottobre di due anni fa il lavoro mi ha portata lì, un nuovo incarico nella piccola città in cui è nata la Olivetti. Un caso del destino? Dopo trent’anni nel mercato del software gestionale (parole difficili che si traducono in programmi per la contabilità più varie ed eventuali) la vita mi conduce a Ivrea?

Quando me ne hanno parlato, ho aperto Google Maps e l’ho cercata sulla cartina. Non sapevo dove fosse. A mala pena conoscevo la regione e la provincia. Dovevo recarmi lì solo qualche giorno al mese, all’inizio.

Abituata ai viaggi in treno, ho interrogato Trenitalia. Ho giocato a Tetris con tutti gli incastri possibili. Ho cercato ogni combinazione accettabile. Il risultato rimaneva sconfortante: minimo tre cambi e cinque ore di viaggio.

Avevo due possibilità: scegliere le corse in stazione con trolley, borsetta e zaino del computer al seguito o i rischi di un viaggio in macchina attraverso la Pianura Padana. Ce l’avevo nel DNA. Non il viaggio-vacanza. Ma quello degli pneumatici che si consumano sull’asfalto e dei chilometri macinati alla guida di un mezzo per raggiungere la meta di lavoro.

A pochi chiometri da Ivrea

Ho scelto la seconda: ogni lunedì mattina alle sette salivo in auto e imboccavo la A14 a Rimini. A Piacenza prendevo la A21 in direzione Torino e ad Alessandria incontravo la A26 che poi diventava A5. A Santhià seguivo le indicazioni per Aosta, altrimenti la strada mi avrebbe condotta sul Lago Maggiore, e, quando deviavo, di fronte a me, si inchinavano le Alpi. Uno skyline mozzafiato che mi accompagnava fino all’arrivo, a Ivrea. Lasciavo il mare per raggiungere la montagna.

Uscivo al casello di Ivrea, dopo quattro ore e mezza di viaggio, se non mi fermavo per il caffè, il rifornimento o per recuperare una mezz’ora di sonno quando gli occhi diventavano pesanti e la notte non era bastata.

Skyline sulle Alpi

Mentre viaggiavo verso nord leggevo le destinazioni, i nomi dei paesi e li conoscevo tutti. Glieli avevo sentiti nominare migliaia di volte: Stradella, Tortona, Broni, Vercelli, Novara, Casale Monferrato, Santhià. Prima lui, poi mio fratello, infine anch’io. Legati da una strana coincidenza. Un’eredità di vita. Ero orgogliosa di calpestare lo stesso asfalto, osservare ciò che i suoi occhi avevano osservato. E mi sembrava di essere a casa.

Ivrea la vivo, la assorbo, la annuso per molti mesi che diventano due anni, durante i quali gironzolo per le strade, il centro, la periferia, da sola o con gli amici che nel frattempo ho fatto lì. È piccola ma ha tutto: la montagna, il fiume, la pianura, il verde e il cibo buono. Per non parlare del vino.

Vivo in albergo, mangio al ristorante e faccio colazione in pasticceria. Cammino per le sue vie, sul Lungo Dora, nei parchi, nelle piazze. Ha carattere, Ivrea, come i suoi abitanti. È fiera e ricca di tradizione: il carnevale con la battaglia delle arance è conosciuto in tutto il mondo. È una città artigianale e di cultura. È piccola con un cuore grande. Un pasticcino pieno di cioccolata.

 

Il Lungodora

Difficile dimenticarla. La sogno di notte, la vivo nel sonno e quando mi sveglio la sento sotto la pelle. Ripercorro quei momenti a occhi aperti: i chilometri macinati, le risate e le incazzature, la gioia e la frustrazione, la stanchezza e l’energia. Rivedo gli amici che ho lasciato lì e altri che mai avrei incontrato se non fossi stata trasferita; porto con me immagini e ricordi indelebili: le cene divertenti, le risate a crepapelle, le vallate piene di colori e senza cemento, le vette bianche con il sole a illuminarle, davanti al balcone della mia camera a regalarmi il buongiorno.

Forse non tutti i mali vengono per nuocere, mi dico. Ma poi ci penso e la commozione mi prende. È stato difficile abbandonare una vita che amavo, un lavoro che era passione, una squadra che era il motivo per cui mi alzavo ogni mattina. Sì, è stata dura: barcollare nel buio, camminare tastando i muri, respirare a lungo per riempire d’aria i polmoni e stirare un sorriso spiegazzato che non voleva venir fuori ma dovevo farlo lo stesso. È stata dura cercare il sole ogni giorno, quando l’oscurità era l’unica compagna presente.

Accettare era l’unica scelta possibile per continuare a vivere. Ma era anche l’unica che mi avrebbe condotto su strade che non conoscevo e non sapevo esistessero.

Forse allora davvero non tutti i mali sono un male. Se non fossi stata trasferita a Ivrea non avrei conosciuto anime meravigliose e persone splendide che mi mancano ogni giorno e porto sempre nel cuore e se non fossi stata costretta a decidere per il mio futuro oggi non saprei chi conta davvero nella mia vita. Lasciare la sicurezza ha valorizzato i rapporti, solidificato i mattoni che avevo posato e dato un nome alle persone.

Fare i conti col presente è il debito che ho con la vita. Il passato è nella valigia dell’esperienza e sul futuro ho scritto quaderni pieni di sogni e di storie.

 

SEO (questa sconosciuta o sconosciuto!): è femminile o maschile? (*)

Attenzione! Questo post non parla di SEO. Se siete interessati seriamente all’argomento, vi consiglio di approfondire leggendo il libro Mamma posso spiegarti: Lavoro nel Web, oppure seguendo Il blog di Merlinox. È quello che sto facendo in questi giorni, non so ancora perché, ma spero di capirlo presto.

Ho un post di due pagine, fermo da mesi, dal titolo “Il blocco dello scrittore” che non riesco a concludere. Chissà come mai! Lo tengo lì ed ogni tanto passo a ri-editarlo. Sistemo qualche frase, ripulisco, cancello (la cosa che mi viene meglio), lo richiudo e penso: Di cosa posso parlare oggi?

Non posso parlare solo di scrittura. Mi servono anche idee diverse. E siccome in questi giorni ho la SEO in testa (oltre ad altre seimila cose), ho deciso così, all’improvviso: oggi parlerò della SEO!

La prima domanda che sorge spontanea è: ma perché la SEO? Provo a cercare una risposta, ma mi sorge un dubbio e così nasce la seconda domanda: ho capito cos’è la SEO? Sfoglio qualche pagina de Il blog di Merlinox e mi convinco di avere capito (l’autore è bravissimo a spiegare ed io, d’intelligenza media, ho sicuramente compreso tutto!). Mentre sono qui che mi accingo a parlare di una cosa così distante da me, sorrido di me stessa e di ciò che penseranno i miei lettori: perché, proprio io, scrivo un post che parla di SEO, quando fino a poche settimane fa (giuro, lo so che mi tirerete i pomodori!) non sapevo neanche cosa fosse?

Vergogna! Lavori in un’azienda di software! Hai a che fare con la SEO mille volte al giorno!

Potrete dirmi tutto quello che volete, anzi, vi consiglio io le frasi migliori con cui potervi sfogare. Chi mi conosce lo sa che non sono capace di dire falsità o nascondermi dietro la facciata di quella che sa tutto. Se una cosa non la conosco o non ne ho mai sentito parlare, lo ammetto candidamente.

Qualche settimana fa mi sono imbattuta nella SEO – Search Engine Optimization, a causa del mio blog, o meglio, per amore del mio blog, mentre ne parlavo con un caro amico. Qualche giorno fa, anche la mia agente mi ha posto la stessa domanda: quanto ne sai di SEO?

All’inizio credo di avere strabuzzato gli occhi e, vi giuro, la prima cosa che ho pensato è stata: ma come si scrive SEO? Ovviamente non l’ho chiesto, ma ho cominciato a leggere e cercare informazioni su Google. I risultati che ho ottenuto rispondevano tutti alle mie curiosità e necessità.

La curiosità deriva dal fatto che quando una cosa mi serve o mi piace, cerco di leggere e sapere tutto quello che la riguarda e, anche se non diventerò mai un’esperta in materia, per lo meno non farò la faccia di quella che non ne sa nulla. La necessità, invece, nasce dal bisogno di portare il mio blog nei primi risultati dei motori di ricerca: praticamente una lotta impari con Mr. Google in persona!

Ma perché non provarci? In fondo non mi costa nulla, no? Devo solo… aggiungere qualche link in qua e in là, essere originale, non scopiazzare in giro (giuro non lo faccio mai!) e sperare di essere divertente (i miei amici staranno rotolando dalle risate!!!).

Se siete arrivati a leggere fin qui, vi svelo il vero scopo di questo post, che ovviamente non è tenere una lezione sulla SEO (non lo farei mai!).

I motivi sono due: 1) fare esercizio di scrittura: mi serviva un’idea per un post e la SEO e il libro che sto leggendo me ne hanno data l’occasione; 2) ringraziare Leo, un caro amico che per primo ha avuto il coraggio di nominare SEO in mia presenza e mi ha consigliato di leggere Mamma posso spiegarti: Lavoro nel Web, e Riccardo, autore del libro, amico ed ex-collega: entrambi avete ampliato e illuminato i miei orizzonti.

Continuo a curiosare sulla SEO, spero di trovare idee per nuovi post. Buona lettura!

(*) Non sapendo se riferirmi al femminile o al maschile, ho deciso per il femminile per due motivi: io sono una donna e due dei tre termini che formano l’acronimo SEO, tradotti in italiano sono femminili.

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