L’ora del tè, quando i ruoli si invertono: Ilaria Vitali intervista Roberta Marcaccio

Mancano dieci minuti alle cinque, Roberta è qui di fronte a me, tamburella nervosa con le dita sul bracciolo della poltrona, facendo tintinnare braccialetti e pendagli, fissandomi silenziosa da dietro gli occhiali, a metà tra il divertito e il preoccupato.
Sono Ilaria Vitali, mi sono impossessata del salotto di Roberta Marcaccio e ho uno scopo preciso: intervistarla.
«Ma sei sicura?» mi chiede in un soffio.
«Zitta, le domande le faccio io!»
Ride Roberta, non mi prende sul serio e la sua risata per un attimo mi travolge piacevolmente.

Roberta, prima o poi sapevi che sarebbe successo. Adesso tocca a te, siediti comoda, smetti per favore di tintinnare quel braccialetto e rilassati. Ho già preparato il tuo tè preferito e una fetta di crostata di ciliegie. Qui c’è gente che aspetta, vogliamo cominciare?
Sono comoda, ma guardare le cose da questa diversa angolatura mi crea un po’ d’ansia. Di solito le domande le faccio io. E poi vorrei sapere chi ti ha suggerito qual è il mio tè preferito e che amo la crostata di ciliegie. Vabbè, pazienza, visto che i lettori sono interessati ad altro iniziamo pure. Sono pronta!

cropped-Roberta-2.jpgRoberta Marcaccio, lavoratrice indefessa, moglie e mamma, figlia e nipote, scrittrice prolifica, lettrice affamata, la domanda sorge spontanea: come fai a conciliare una vita così frenetica? Ho come la sensazione che la scrittura e la lettura rappresentino questa stanza, dove tu riesci a isolarti mentre fuori il mondo cammina a velocità sostenuta. L’ora del tè non è casuale, è il luogo che tu hai creato, un rifugio morbido dove Roberta trova serenità. Vuoi parlarcene?
Guardandola da fuori, la mia vita, è davvero come la descrivi tu, ma fino ad ora non l’avevo mai analizzata. In effetti me lo sento ripetere spessissimo: “Ma dove trovi il tempo per scrivere?” Negli occhi di chi mi fa questa domanda leggo il rispetto del mio interlocutore nei confronti di un amore che è ormai molto più grande di quanto io riesca a gestirlo. È diventato anche il “tormentone” del mio BLOG – Il mio amore per la scrittura – è il mio mantra, è una urgenza che mi costringe a scrivere, perché quando ami una cosa o una persona con tutto te stesso vuoi stare o solo con quella cosa o con quella persona. Devo dire la verità, a volte vado in overflow, succede quando ho “in lavorazione” più attività di quelle che riesco a gestire; in questo ultimo periodo ho superato il limite di guardia, tanto che ho dovuto rallentare: mi sono ritrovata con un romanzo in scrittura, la rubrica de L’ora del tè a pieno ritmo, i libri da leggere (perché gli scrittori prima di scrivere leggono) più i manoscritti da selezionare per la collana di cui sono lettrice, le presentazioni di Tranne il colore degli occhi (quattro in due mesi), i racconti che ogni tanto ho l’orgoglio di vedere pubblicati su Il Colophon, la rivista letteraria di Antonio Tombolini Editore… Però, anche quando rallento, il mio cuore è sempre là, la testa macina storie, il bisogno di scrivere si fa urgenza e, in un modo o nell’altro, devo immergere le mani nelle pagine dei libri, miei o di altri.
L’ora del tè, che come dicevo ha subìto un rallentamento forzato ma ripartirà presto con nuovi e interessanti scrittori, è la rubrica nata per dare voce agli altri autori, farli conoscere in un modo semplice e simpatico, simulando una chiacchierata in salotto all’ora del tè. Mi piace il rapporto vivo, quello vero, a faccia a faccia, mentre si parla di libri, scrittura e arte in genere. E volevo che il mondo caotico venisse confinato fuori da questo piccolo angolo silenzioso in cui regna sovrana la parola scritta e la voce dell’autore. Spero di essere riuscita nel mio intento e mi auguro che la rubrica sia apprezzata.
Devo dire che grazie ai tanti impegni e soprattutto a L’ora del tè, ho imparato ad organizzarmi. A dedicare il tempo giusto alle cose. A fare la scaletta delle priorità e a riempire fogli e fogli di TO DO che si alleggeriscono mano a mano che tiro una riga sopra alle cose fatte. Non sono una super-woman. Sono semplicemente una che sacrifica tutti i momenti liberi per amore di una cosa importante in cui crede: le pause pranzo, la mattina presto e la sera tardi e qualche mezza giornata nei week end. In mezzo a tutto il resto, ovviamente.

La scrittura, potente mezzo di comunicazione prima con sé stessi che con gli altri. Perché questa urgenza di scrivere? Io da scrittrice me lo sono chiesto mille volte senza darmi una risposta soddisfacente. Quando scrivi, cosa succede?
L’urgenza di scrivere nasce da un bisogno interiore: raccontare storie è come vivere altre vite. Da piccola me le raccontavo da sola, erano il mio passatempo nei momenti di solitudine, mi facevano compagnia. Raccontare storie è ossigeno, cibo, vino, è vita. Ora che sono grande (così dice l’anagrafe!) quelle storie che mi racconto da sola, premono affinché io le scriva per gli altri.
Scrivere (e leggere) è come vivere centinaia, migliaia di altre vite, quelle che non potremo vivere mai.

10423644_990163001033578_6127305744714367041_nIo ho conosciuto Anna. Ancora una donna, coinvolta da eventi profondi, di quelli che lasciano il segno. Anna è la protagonista del tuo prossimo libro in uscita, Ti raggiungo in Pakistan, che ha già solleticato la curiosità di chi, come me, segue le tue avventure letterarie. Chi è Anna?

Innanzi tutto devo spiegare una cosa che riguarda Anna. Devo chiarire la confusione che ho involontariamente creato sui social. Chi mi segue su Facebook, Twitter, trova citazioni, estratti, brani, monologhi firmati Anna. Con gli amici ho parlato tanto del romanzo che stavo scrivendo facendo riferimento ad Anna. E per tutti, è Anna.
Quando accenno a Ti raggiungo in Pakistan noto il disorientamento negli occhi dei miei interlocutori e più volte mi sono sentita chiedere: “E Anna? Quando lo pubblichi?”
La risposta è facile: Ti raggiungo in Pakistan è Anna.
E così spero di avere chiarito il fraintendimento che ho provocato.
Ed ora veniamo a lei.
Anna è uno specchio, la proiezione della mia anima ribelle e in subbuglio. A lei ho trasferito tre cose che mi appartengono e che sono parte predominante della mia vita: l’amore per la scrittura, per il mare e l’amicizia.
Anna è parte della mia essenza primaria.
Contiene le cose che amo, le mie passioni, i sogni, tutto ciò che fa parte di me e del mio mondo.
Ovviamente non contiene i dettagli della mia vita privata. Non è un’autobiografia.

Possiamo quindi ritornare a quello che affermavi poc’anzi sull’urgenza di scrivere come esperienza di viaggio e di vivere altre vite. Anna è una Roberta in un ipotetico mondo parallelo? Se sì, il fatto che sia privo di elementi autobiografici, Ti raggiungo in Pakistan si presenta più come un sogno a occhi aperti? E qui tocchiamo il tuo modo particolare di accompagnare i personaggi delle storie che scrivi, un modo che definirei al confine tra il materno e il fraterno, dove a tratti si percepisce la forte empatia con alcuni di essi. Con Anna è stato così? In parte hai già risposto, ma vorrei che parlassi del tuo legame con lei.
L’urgenza di scrivere nasce dalla mia incapacità di vivere una sola vita. È un bisogno che è nato con me, si è sviluppato fin da piccola, durante la lettura dei primi libri o la visione dei miei film preferiti (non ho perso neanche una puntata di Ellery Queen oltre ad aver letto i libri ovviamente). Dall’adolescenza in poi le storie ho iniziato a raccontarmele da sola. Erano il mio passatempo. Un vero sogno ad occhi aperti. Da qui l’esigenza di trasportarmi in un altro mondo in cui vivere una vita diversa, irreale e reale allo stesso tempo.
La scrittura ha amplificato un processo nato con la lettura, che continua ancora oggi.
L’amore per i libri va oltre ogni altra passione. Il bisogno di fantasticare, sognare è irrefrenabile. Potrei smettere di leggere e scrivere ma la mia anima continuerebbe a produrre storie.
Per nutrirsi.
Non c’è nulla di autobiografico nelle storie che invento.
Che bisogno avrei di scrivere la mia vita; la sto già vivendo ed è più che sufficiente.
Certo, nei racconti ci finiscono situazioni, persone ed emozioni che mi ruotano attorno. Questo è normale.
Se qualcuno pensa che ciò che scrive un autore sia completamente inventato si sbaglia di grosso. Anzi, vorrei mettere in guardia gli amici degli scrittori: prima o poi potreste essere rinchiusi in un capitolo.
E il sogno a occhi aperti di cui parli, oggi è un sogno reale. È quello stato di trance che caratterizza gli scrittori e che a volte li fa apparire assenti e un po’ folli. Quando lo scrittore è con lo sguardo perso nel vuoto o assorto, non sta riposando, non è depresso e nemmeno triste: sta semplicemente lavorando.
Ti rispondo alla seconda parte della domanda. Parlare di Anna per me non è facile. È un personaggio che io amo profondamente, sono cinque anni che vive con me, al mio fianco, la osservo mentre lavora, vive, soffre. Mentre ama.
Come ho già detto, a lei ho trasferito alcune mie manie o passioni ma anche alcuni moti della mia anima. In effetti forse le ho trasferito un po’ troppe cose.
Devo dire che mi sono divertita a cucirle addosso la vita che desiderava vivere. A farle incontrare gli uomini sbagliati e poi quelli giusti o viceversa. A farle fare il lavoro che amava. Ad affiancarle l’amica giusta.
È stata Anna a parlarmi e a raccontarmi di sé. Io ho solo trascritto sulla carta.
Io sono stata il suo specchio… e lei il mio.

IMG-20160718-WA0017Tranne il colore degli occhi è uscito nel 2016 nella collana Amaranta di Antonio Tombolini Editore, per Ti raggiungo in Pakistan hai scelto una nuova avventura che è quella dell’auto pubblicazione. Da fuori emerge una volontà quasi viscerale di fare in modo che Anna abbia voce, quasi che fosse un elemento materico che hai deciso di plasmare dall’inizio alla fine senza percorrere strade più convenzionali. Ce ne vuoi parlare?
Ho riflettuto tanto sul futuro di Anna, per molti mesi, ho pensato e ripensato a quale dovesse essere il suo ruolo e soprattutto chi dovesse occuparsi di lei. Anna ha incontrato diversi editori, ha ricevuto critiche positive e suscitato interesse.
È nata nel 2012 e da allora ha subito diverse fasi di lavorazione; l’ho scritta, riscritta, corretta, riletta, anche quando era già a posto è ripassata di nuovo sotto la macchina dell’editing. In un attimo di follia avevo addirittura pensato di riscrivere il finale. Anna è nata di getto, è giunta a me con la forza di uno tsunami, mi ha travolta con la sua potenza e con la stessa urgenza mi ha costretta a scrivere di lei.
È dentro di me in modo inscindibile.
Chi mi conosce bene sa cosa intendo. L’energia che mi trasmette è vita piena, vera. Ha una forza che non può non essere comunicata.
Anna merita voce. Merita di essere conosciuta, letta, amata o odiata, apprezzata o disprezzata. Merita di essere accompagnata, presentata, annunciata.Mi aspetto commenti positivi ma anche negativi. Questo non toglie che Anna lascerà qualcosa di sé in tutti.
Con questa consapevolezza mi sono fatta le mille domande che un autore si fa prima di consegnare la sua opera a una casa editrice.
Non sarà sicuramente il libro della vita o il bestseller dell’anno ma merita le attenzioni che vale.
Dopo queste riflessioni mi sono risposta.
L’unica persona che può presentarla al mondo è colei che l’ha creata, plasmata, educata, cresciuta.
Non c’è nessun altro che possa offrirle la vetrina che merita. E da qui la decisione, difficile e ragionata mille volte, di produrla da sola. La paura è di non farcela, non avere tempo sufficiente, non essere capace. Confido nella passione che mi muove e nell’amore che ho per lei.
Anna è una storia di passione, amore, amicizia, vita, sogni. Ha la profondità del mare, lo stesso che lei ama, e spero non venga trattata per una banale storia d’amore.
Aggiungo che il prodotto finito è il risultato di un lavoro a più mani. Ho voluto curare Anna in tutto e per tutto: l’editing, la copertina, tutta la grafica e la produzione del libro sono stati realizzati da Carla Casazza e Carlo Alberto Civolani, miei carissimi amici oltre che grandi professionisti.

 

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Roberta, a questo punto non ci rimane che attendere l’uscita di Ti raggiungo in Pakistan, ma vorrei chiudere questa intensa chiacchierata con un’ultima domanda.
Al di là di quello che hai detto prima riguardo al fatto che Anna rappresenti la proiezione della tua anima, i personaggi delle tue storie sono sempre donne. Perché l’universo femminile?
Ad essere sincera un motivo preciso non c’è, è una cosa avvenuta per caso. La risposta facile sarebbe: “perché l’universo femminile mi appartiene”, ma non è così.
Ti racconto una cosa successa durante una presentazione del mio romanzo Tranne il colore degli occhi, che forse può aiutarci a spiegare questo fenomeno. Una ragazza in sala mi ha fatto una domanda che nessuno mi aveva mai posto e quella sua riflessione è stata come uno “squarcio di luce in mezzo a tante nubi” (cit). Tutto quello che ho scritto fino a ora, è il risultato di un percorso preciso di cui non ero cosciente. La scrittura parte sempre da un’idea che poi la fantasia sviluppa. Ed è stata proprio la mia fantasia a portarmi nel luogo giusto, quello dell’anima delle donne.
La ragazza che ha provocato quella riflessione è parte di questo percorso. È l’anello di congiunzione di tanti tasselli di cui, fino a quel momento, non comprendevo il significato.
Nei giorni successivi a quella presentazione ho messo assieme le tessere del puzzle e ho capito quale scrittrice voglio essere da grande. È la strada avviata con Tranne il colore degli occhi, che proseguirà con Ti raggiungo in Pakistan e che definirà il mio genere: letteratura femminile. Non romance, non eros, ma femminile.
Storie dal contenuto scomodo. Storie di donne che parlano alle donne, ma anche storie di uomini con a fianco grandi donne.
Spero di non essere travolta dalle critiche maschili, il mio intento non è sminuire il mondo degli uomini, ma trovare nell’anima delle donne la ricetta per crescere, riflettere, fare propri certi sentimenti ed emozioni che possano rendere meno difficile vivere. Indipendentemente dal sesso.

Direi che abbiamo finito e che puoi riprendere le redini de L’ora del tè. Non senza prima avermi versato un Martini Rosso! Suerte!

Ma potrò brindare con una che beve Martini Rosso? Mi verso una Saison! Prosit!

Ringrazio Ilaria Vitali per la splendida e ironica intervista. Oltre a essere una bravissima scrittrice Ilaria è anche mia grande amica, una delle poche persone al mondo che appartengono per motivi inspiegabili e stregoneschi alla mia anima. Vi aspetto alla prossima puntata de L’ora del tè.

L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Ilaria Vitali

Eccoci al primo appuntamento de L’ora del tè. La rubrica ha la finalità di diffondere la conoscenza di nuovi autori italiani i cui romanzi non dovrebbero mancare nella libreria di un lettore. Parleremo con questi autori non solo di libri; esploreremo, assieme ad ognuno di loro, anche il mondo personale che sta dietro uno scrittore.

Alcuni di loro hanno una vita particolarmente interessante, intensa, ricca di storie da scrivere. È sicuramente il caso di Ilaria Vitali, autrice di Dietro lo steccato, romanzo pubblicato nella collana Klondike di Antonio Tombolini Editore.

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Ciao Ilaria e benvenuta nel mio salotto.
Ciao Roberta, è un piacere e un onore!

Cosa posso offrirti? Tè e crostata?
Un martini rosso con ghiaccio?

Iniziamo con le cinque domande brevi! Sei pronta?
Sull’attenti!

A che età hai iniziato a scrivere?
A 9 anni, non seriamente ma con molta convinzione!

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando scrivi?
Deve essere sera o tramonto, Janis Joplin di sottofondo, un bicchierino di whisky meglio se torbato, tabacco a disposizione e un oggetto che viene dalla Thailandia. E devo essere a piedi scalzi, le scarpe mi distraggono.

Il luogo in cui preferisci ambientare le tue storie?
Non ho particolari preferenze, una storia è lì dove deve essere! Ma se si tratta di luogo geografico amo molto l’oriente, se parliamo di interni o esterni, di gran lunga amo gli interni.

Il libro più bello che hai letto?
Ho bellissime letture in corso, ma l’ultimo è stato Just kids di Patty Smith.

Il luogo più strano in cui scrivi?
Talvolta nel bosco, penna e taccuino.

A questo punto siamo curiosi di conoscere meglio Ilaria. Sbirciando nella tua vita social ho notato che hai un legame molto forte con il mondo. Mi riferisco in particolare all’oriente e , se ripenso a Dietro lo steccato, all’India. Dalle poche cose che ho raccolto su di te, leggendo qua e là, ho capito che l’anima di Ilaria ha un fortissimo legame con alcuni luoghi stranieri per noi, ma molto familiari per lei. Ce ne vuoi parlare? E, se ti va di rispondere anche ad un’altra curiosità, cosa c’è di così affascinante nella vita da nomade?
Io sono nata in una piccola città, Parma, per poi crescere nella cosiddetta “bassa padana”, della quale porto dentro i sapori e gli odori di altri tempi.
Erano gli anni 70, internet non esisteva e l’unica cosa che avevo a disposizione per viaggiare con la mente era un vecchio atlante che mi divertivo a sfogliare, puntando il dito qua e là e leggendo di nomi esotici e strani. Ero affascinata dalle distese azzurre di mare che separavano i continenti, pensavo che nel 2000 avrei avuto 30 anni e che probabilmente avrei attraversato quei mari e quelle grandi terre volando.
Avevo grandi aspettative su quella cifra tonda che mi sembrava l’apertura al futuro, quello delle macchine volanti, delle invenzioni mirabolanti e di chissà quali grandi scoperte.
In realtà dovetti aspettare qualche anno e solo nel 2007 cominciai a viaggiare per terre lontane, come l’India, il mio primo vero viaggio, affrontato con uno zaino in spalla e con l’obiettivo di rimanere almeno un mese.
Ovviamente fu amore. Amore per l’avventura, per la conoscenza, per l’incognita e anche per la fatica, perché viaggiare è anche questo.
Ho scoperto di avere uno spirito di adattabilità molto forte che mi permette di affrontare le situazioni più diverse che un viaggio non organizzato e un budget calcolato possono comportare.
L’oriente ha un fascino su di me molto potente e dopo l’India ho trascorso mesi in Thailandia, in luoghi meno battuti dal turismo e più a contatto con la gente del posto.
Il grande passo è avvenuto nel 2011, di comune accordo con l’uomo che ho poi sposato: lasciare tutto e partire.
Abbiamo vissuto 4 anni in Sri Lanka, alternando mesi in Malesia e Singapore.
Poi è stata la volta del Messico, dove siamo stati 6 mesi.img_1179
Ogni luogo mi ha regalato centinaia di storie, aneddoti, conoscenze ma soprattutto molta esperienza.
Ho sempre sentito parlare del mal d’Africa, dove ancora non sono stata, ma posso tranquillamente affermare che esiste anche il mal d’Oriente, una malinconia struggente che sempre mi accompagnerà.
Nomade è una condizione dell’anima.
É la sete di conoscere, di riuscire a fare “casa” ovunque ma sopra ogni cosa il nomadismo, per me, è libertà.

Il tuo viaggio in India con lo zaino in spalla ricorda Irene, la protagonista del tuo romanzo. Durante la lettura di Dietro lo steccato si intuisce chiaramente la tua familiarità con il luogo in cui è ambientata la storia e si percepisce quel mal d’India a cui hai fatto riferimento poco fa. I viaggi sono un immenso serbatoio di personaggi, luoghi, trame; sono l’acquolina in bocca di ogni scrittore.
Pensavi già a Dietro lo steccato durante il tuo viaggio in India? Quanto, la tua vita da nomade ha influito sul tuo stile di scrittura?
L’India è stato il luogo geografico nel quale Dietro lo Steccato ha preso vita, sulle pagine di un taccuino da viaggio.
Ma la storia esisteva già da tempo, forse ancora prima che io me ne impossessassi e il trovarsi in India ha scatenato solo il bisogno impellente di raccontarla, quella storia, ma sotto voce.
L’India è un luogo senza mezze misure: o la ami o la odi e se la ami è in grado di suscitare emozioni forti, quasi catartiche.
Posso considerare l’India come un veicolante, i ritmi rallentati e le immagini di grande impatto emotivo hanno reso possibile che la storia potesse rivelarsi e uscire.
Per una tematica in particolare trattata nel romanzo, non avrei mai pensato di rendere pubblico Dietro lo Steccato e così dal 2007 è rimasto su quei taccuini, come una confessione, fino a quando ho preso la decisione, caldeggiata da chi lo aveva letto, di proporlo.
Il nomadismo ha influito per la enorme quantità di sensazioni e storie in cui mi sono imbattuta, un autentico magazzino di materiale da sviluppare.
Verrebbe spontaneo chiedersi se senza il nomadismo avrei continuato a scrivere…la risposta è sì ma probabilmente con un livello di pathos differente.
Quando vivi personalmente situazioni o eventi, scriverne è molto più coinvolgente. É come celare una propria autobiografia nelle pagine di un romanzo, nasconderla qua e là così che il confine tra il vissuto e l’inventato vada a scomparire.

Hai detto che “il nomadismo è libertà” ed è questo senso di libertà che il lettore percepisce leggendo il tuo romanzo. Fingo di non essere una scrittrice e ti porgo la domanda scontata che anche io spesso ricevo dai miei lettori, ma con una particolarità in più. La domanda è la seguente: quanto c’è di Ilaria in ciò che scrivi, ma soprattutto quanta libertà occorre ad uno scrittore per tirare fuori dalla pancia una storia come quella che racconti in Dietro lo steccato? Quanto ti ha cambiata scriverla?
Questa è una delle domande più temute da uno scrittore, o almeno così penso.
Affermare che dietro ogni romanzo e ogni suo personaggio c’è sempre Ilaria Vitali è come rivelare sé stessi e le proprie esperienze.img_0333
Ma forse la vera libertà sta proprio in questo: parlare di sé sotto mentite spoglie.
Del resto quanto vi sia di autobiografico rimane un segreto, scatena dubbi e curiosità.
La mia risposta a questa domanda è quindi evidente. Io racconto storie che conosco, anche solo in parte, ma che comunque appartengono al mio bagaglio di esperienze.
Per Dietro lo Steccato ancora prima della libertà c’è stato un discorso di coraggio, tanto è che inizialmente non avrei mai pensato di renderlo pubblico. Forse Dietro lo Steccato è stata l’occasione dove la libertà è stata più sacrificata, quello che ho raccontato è la versione morbida e filtrata della vera storia. E ho detto tutto…
Se mi ha cambiata scriverlo? non ci ho mai pensato.
Ho tirato molto il freno a mano scrivendolo, ora mi sento in un certo senso più spregiudicata e nel prossimo romanzo ho provato a dimenticare quel freno, descrivendo eventi più dettagliati senza lesinare su episodi particolarmente scomodi.
Dopo tutto…è solo un romanzo. O no? 🙂

Romanzo? Quindi finzione? O maschera davanti ad una vita vera?
Come scrittrice è un tema che mi pongo ogni volta che siedo davanti ad una macchina da scrivere. Come lettrice vorrei sapere che c’è realtà vera dietro a ciò che leggo. La differenza, credo, sta in quel freno a mano tirato. La libertà di scrivere è anche spregiudicatezza, come dici tu, osare e mostrare quello che è.
Nel tuo prossimo lavoro che tipo di storia troveremo? Una fiction vera o una finta realtà? Ti va di parlarcene?
Il romanzo può essere finzione o maschera o entrambe le cose; credo che anche all’interno di una storia totalmente costruita a tavolino vi siano inevitabilmente contaminazioni provenienti dalla realtà.
Dopo tutto a scrivere è un essere umano e, conscio o no, qualcosa di suo e/o di reale lo inserisce nella storia.
Personalmente vivo il romanzo come pretesto per raccontare storie reali e le mie lo sono.
Inserisco personaggi realmente esistiti e alcuni frutto della mia immaginazione che mi sono necessari; mi piace pensare ai miei romanzi come a delle “cacce al tesoro”, dove il tesoro è la realtà e tutto il resto solo un palcoscenico necessario alla rappresentazione.
Il freno a mano è dovuto a inesperienza, a paura di osare troppo o talvolta semplicemente a rispetto per i veri protagonisti di quella storia.
Il mio prossimo libro è basato su un insieme di storie vere, come sempre, e in quel caso ho abbandonato totalmente quel freno a mano.
La storia si sviluppa su oltre 50 anni di tempo, con una conclusione che si verifica in un futuro immaginato e all’interno di questi 50 anni si intrecciano diverse vicende, molte delle quali vissute realmente.
É ambientato tra Amsterdam e la Malesia e non manca il colpo di scena finale a riunire tutti gli avvenimenti in un unico grande cerchio.
Parlare di fiction vera o finta realtà è una questione di punti di vista.
Ho scritto di cose viste e vissute, romanzate e arricchite, ma reali: è più lecito definirlo quindi una fiction vera o una finta realtà, laddove per finta si intende quell’arricchimento?
Il lettore deve sempre avere il dubbio se ciò che ha letto è successo veramente oppure no, ma soprattutto quale degli episodi che ha letto è vero o inventato.
Da lettrice è una domanda che mi farei e non so fino a che punto vorrei ricevere una risposta, potrei desiderare di rimanere in quel dubbio e ricordare quel particolare romanzo come qualcosa di assolutamente intrigante.
Un romanzo deve anche far sognare, o no?

Grazie Ilaria per essere stata mia ospite; colgo l’occasione per ricordare che Dietro lo steccato è acquistabile in versione ebook sul sito di StreetLib e su tutti gli store.

Arrivederci alla prossima puntata con L’ora del tè.

Dietro lo steccato

Ci sono libri facili da recensire e libri che, invece, ci provo e ci riprovo e poi decido che è più facile scrivere un nuovo romanzo.

Sono quei libri in cui mi trovo coinvolta, incatenata da mille tentacoli e non so come uscirne, perché l’unico desiderio che ho è scrivere la recensione più bella mai scritta, quella in cui ogni parola deve essere perfetta, messa al posto giusto. L’unica parola possibile.

Quando ho iniziato a leggere Dietro lo steccato mi sono ritrovata di fronte al diario di Irene. Ho letto poche pagine, mi sono fermata, l’ho chiuso. Ho respirato e ho sentito dolore.

Confesso, non ho mai amato i romanzi scritti sotto forma di diario; non mi sono mai chiesta perché, ma forse questa volta l’ho capito. Nei miei primi …anta anni, ho scritto pagine e pagine di vita mia personale, di anima, di un vissuto che a volte vorresti cancellare persino dai ricordi. E ritrovarmi nella vita di un’altra donna, dove strade e percorsi erano emozionalmente simili ai miei vi assicuro che non è stato facile.

Mentre attraverso Dietro lo steccato assorbo le sue vibrazioni, le faccio mie e viaggio di fianco a Irene, zaino in spalla lontano dal suo mondo.

Poi torno, perché anche lei torna ed è solo dolore, rabbia; sono domande senza risposte, incredulità e ribellione.

Irene ha un unico scopo ormai: capire e ripartire. Tornare da dove è venuta, riempire assenza con vita e sostituire dolore con amore per gli altri.

C’è un sentimento di fondo che permane durante tutta la lettura del romanzo: l’amore che ha legato Irene a Vittorio è un salto nel vuoto. Un volo senza paracadute da mille metri di altezza. Un’apertura totale all’altro senza protezioni per l’anima. È l’amore oltre l’amore, per usare una frase dell’autrice. È non essere più di se stessa ma legare la propria vita a quella dell’altro. Perfetto, se tutto andasse come nelle favole. Pericoloso, nella vita vera, perché l’amore è libertà, lasciare l’altro libero di amarci ma di vivere per se stesso.

Ho iniziato la recensione due volte, così come ho iniziato due volte la lettura di Dietro lo steccato. I libri vanno letti con l’anima e con l’anima vanno recensiti.

Sarò sincera e trasparente come lo sono nella vita: sono di parte in questa recensione fino al midollo. L’autrice è una creatura che io amo. Sono poche le persone che travolgono la mia anima come Ilaria ha fatto con me, nella vita di tutti i giorni e con il suo piccolo capolavoro di narrativa.

Se leggete Dietro lo steccato fatelo ad anima aperta, senza inibizioni, lasciatevi trascinare dalle parole, silenziate il mondo, staccate il cellulare, la radio, i figli, la vita. Fermatevi e state lì. Ad assorbirne ogni respiro.

Una pepita della narrativa italiana.

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