Avrò cura di te

“Non posso impedirti di inciampare. Però posso medicare il tuo piede ferito. E prenderti in braccio, fino a quando non sarai in grado di camminare sulle tue gambe. Avrò cura di te.” (tratto da Avrò cura di te – Gramellini Gamberale)

A chi non piacerebbe avere un Angelo Custode vero a cui affidare i pensieri più intimi e ricevere magari qualche utile consiglio? A me tanto.
L’ho trovato per caso.
Mi aspettava ammucchiato assieme ad altri suoi simili, quasi fosse lì apposta per me.
Non ho avuto dubbi.
L’ho preso per mano e siamo usciti assieme.

Perché è venuto da me? Cosa cercavo?
Ho aperto la prima pagina e sono entrata nella fantasia, in un sogno estatico.
Filemone è la voce del cuore, l’hai dentro, è una vibrazione, il collegamento fra cuore e cervello.
Gioconda è la vita da vivere buttandocisi dentro. È “quello che è giusto”. È passione e coraggio. Anche di sbagliare.

Ho letto Avrò cura di te in due giorni. Incollata alle pagine, dalla prima all’ultima parola. Un unico fiato.
Da tempo desideravo leggere un libro di Gramellini e sono partita proprio da questo per proseguire poi con tutti gli altri, affascinata da ogni storia, un libro dopo l’altro.

Succede che entri nel labirinto delle parole e non ne esci più. Le accarezzi e loro contraccambiano. Ad ogni sorriso ne ricevi uno indietro. Ed io da buona ladra cerco di rubare.
Lo faccio da anni ormai, anche se so che non si fa, è vietato.
Sì, lo so, ma io rubo lo stesso.
O almeno ci provo.
I risultati parleranno per me.
Un giorno.

Non si legge per rubare.
Si legge per leggere.
Per entrare nella vita di altri, vestire abiti che non indosserai mai, respirare città che mai visiterai, incrociare anime che non passeranno mai di qua.
Quando leggo immergo le mani nelle pagine e assorbo i colori, ascolto la musica che scaturisce dalle parole e rimango rapita dall’anima dei personaggi in cui mi riconosco.
E mentre leggo cerco, scopro, rovisto in mezzo a montagne di lettere e segni di punteggiatura. Studio la costruzione delle frasi, le analizzo, quanti aggettivi, quanti avverbi, soggetto-verbo-complemento, e mi ritrovo puntalmente a sognare di scrivere pagine altrettanto belle.
Lo so.
Non si fa.
Ma è più forte di me.
Rubo le parole, le frasi e lascio che sedimentino dentro di me, nutrendo la mia vena creativa.

Dai venti ai trent’anni smisi completamente di leggere, troppo presa dal lavoro e dal ruolo di moglie e madre. Gli anni vissuti mi hanno insegnato quanto sia importante sfamare l’anima, dare spazio alle emozioni senza avere paura di farle vibrare. Quando decisi che era ora di ricominciare a leggere (nel lontano 1996) non sapevo da dove iniziare. Gli autori erano diventati estranei. Neanche i Pirandello, i Dumas, le Agatha Christie, gli Hemingway attiravano la mia attenzione. Mi capitò fra le mani W. Smith e da lì ripartii con un’avventura che mi teneva sveglia ogni notte fino alle due di notte. Poi fu la volta di Hesse, con Siddharta, e poi Coelho con l’Alchimista e Veronica decide di morire.
Con Coelho iniziò la mia passione per la scrittura. In realtà fu grazie ad un amico che non sentivo da tempo. Mi chiese come stavo ed io gli scrissi una lettera. Quella lettera fu il preludio di un amore. Non smisi più di scrivere. Imbrattai fogli di “robe” illeggibili. Piansi sulla mia anima ferita e fra lacrime e parole che cadevano sul foglio iniziai a curarla. Scoprii il potere della scrittura terapeutica e decisi di scrivere la mia biografia. Un tentativo patetico mal riuscito. Di quella biografia conservai solo la lettera che poi divenne un racconto. Negli anni scrissi altre storie, inziai un romanzo e toccai con mano la forza della scrittura che emoziona, tiene svegli, fa crescere. Ogni volta strappavo dalla pancia parole che sapevano di lacrime. Io diventavo grande e la scrittura con me.
Fino a quando non decisi che dovevo fare una scelta: restare un’appassionata lettrice o trasformarmi in una dispensatrice di parole. Feci la scelta più ovvia. Non potevo lasciare andare quello che il cuore mi imponeva di inseguire.

Come lettrice mi appassionano i thriller, i romanzi di avventura, la narrativa. Come scrittrice so produrre solo storie d’amore impanate nel dolore della protagonista, che si ritrova immancabilmente a affrontare una situazione difficile, un cammino da percorrere e una crescita da fare. Alla fine del libro la protagonista non sarà più la stessa persona che il lettore ha incontrato alla pagina numero uno.
Devo essere sincera. Quando passeggio fra gli scaffali di una libreria, i romanzi che parlano d’amore non mi intrigano neanche un po’. Preferisco sfogliare Nin, Marai, Marziani, Rowling, Tolkien, Gramellini, Gamberale, Munro, Mishima.
Quando siedo di fronte al computer, invece, scrivo solo quello che esce dalle dita che pestano sulla tastiera, e che sputano parole nate dalla pancia prima che dalla mia testa.
Scrivo “dove la strada mi porta”.

Non ho mai amato le regole, sono un’anti-estremista di natura. Odio le gonne che stringono in vita, gli anelli alle dita, la cottura in umido, il gelato alla frutta e il carrello della spesa. Odio percorrere sempre la stessa strada e mangiare la stessa pizza. Odio parlare sempre delle stesse cose e ridere se lo fanno gli altri quando a me non viene da ridere.
Amo il pesce, il Gewurztraminer, le mie streghe e il mare.

Questo post è una Babilonia, ho iniziato parlando di un libro ed ho terminato con un vino. Quando ho pensato a questo post, avevo in mente ben altro, ma la scrittura è anche questo, un meraviglioso giardino in cui sono bandite le regole (salvo quelle grammaticali) e la mente è libera di scorazzare dove vuole. Un luogo intimo in cui la fantasia ti porta in posti completamente diversi da quelli che avevi immaginato.
È una sorpresa continua ed io amo da morire le sorprese.

Gioconda ha Filemone come Angelo Custode. Io ne ho tanti e sono ancora quasi tutti su questa terra. Sono anime intense che hanno deciso di sopportarmi e supportarmi ancora.
Un giorno li ringrazierò pubblicamente uno ad uno.

Per il momento me li tengo stretti vicino al cuore, perché so che quando sarò in crisi una vocina mi sussurrerà all’orecchio: “Avrò cura di te”.

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