Fotogrammi in 6×6

Un’emozione di Michele Marziani.

Da bambino Stefano viene a contatto con una realtà che lo segnerà per tutta la vita, quella di bambini diversi che hanno vissuto mondi difficili, emarginati, in fuga.

Stefano conosce un mondo che non è l’unico e che è molto diverso da quello di altri bambini diversi da lui.

Scopre così cosa significa libertà di imparare senza l’obbligo di andare a scuola: Igor che abita in una roulotte sa cose che lui, che vive in una casa vera, non sa; Igor è libero di entrare a piedi nudi nell’acqua fangosa del fiume e catturare i pesci con le mani; non sa leggere, Igor, ma sa i nomi dei pesci.

È un po’ più grande, Stefano, quando incontra Ursula, una bimba fuggita da un paese dove vivere è complicato, scappata e rinchiusa in un bagagliaio, clandestina, silenziosa, invisibile. E Stefano le crede e il suo bisogno di combattere un mondo che non condivide aumenta sempre più e diventa così forte che non può tacere.

Il suo senso di libertà è più forte di tutto, Stefano ha difeso quelli che per la società sono diversi, è stato loro amico e di questo dovrà rispondere.

Un romanzo breve, tre piccoli racconti collegati fra loro. Fotogrammi in 6×6 è emozioni contenute nelle parole. Quando il potere della scrittura è nelle parole stesse.

Io sono un’affezionata lettrice di Michele Marziani, ho letto tutti i suoi romanzi ed amo il suo modo di scrivere: essenziale e ricco, lineare e profondo, unico nel suo stile. Uno stile che personalmente amo molto.

Fotogrammi in 6×6 contiene una storia importante, che fa davvero riflettere. Ma ciò che ho amato più di tutto è stato il ritrovarmici, essere lì, averci vissuto, non nella storia bensì negli stessi luoghi a fare alcune delle cose che Stefano ha fatto o vissuto. Ritrovare gli spazi, i colori, gli odori, le persone. Quello che avevo dimenticato, o soltanto accantonato nei ricordi.

Ecco, sì, Fotogrammi in 6×6 è il libro dei ricordi.

SINOSSI

Un percorso tragico, attraverso tre fotografie. Sullo sfondo la coda del terrorismo e degli anni di piombo. 1968: Stefano ha sei anni e attraverso l’ingenuità dei suoi occhi di bambino racconta la Rimini del boom economico. Le case in affitto ai turisti d’estate e le epiche fatiche con gli ultimi caldi per imbottigliare la conserva di pomodoro. Una mamma stanca e nervosa, un papà triste. 1973: Ursula è una bambina un po’ schiva. È scappata dal Cile degli orrori di Pinochet perché il suo papà lavorava per il presidente Allende. Ursula racconta a Stefano di un mondo lontano che si fa reale. 1994: Ci sono un altro mare, il Tirreno, in Liguria, a Laigueglia, e un altro bambino in questa storia. Un bambino troppo piccolo per raccontare. Lo fa nonna Anna, la mamma di Stefano, che ora deve crescere da sola il piccolo Ernesto. «Sei il figlio di due genitori – scrive la nonna Anna – sei figlio del tuo tempo e di come le persone in quel tempo sono state. Forse di saperlo non te ne farai nulla. Ma del non saperlo, te ne faresti ancora meno».

Edito da Antonio Tombolini Editore, nella collana Officina Marziani.

Il pescatore di tempo

Piccole storie di pesca in acque dolci

Vivo in una casa dove, in qualche remoto angolo del garage, sono conservati ami, galleggianti, lenze, cucchiaini, canne, guadini. Conosco alcuni dei termini che riguardano la pesca, ho ascoltato racconti di avventure trascorse sui fiumi, laghi o in mare, con una canna in mano, in attesa.

Sono storie di uomini che amano rapportarsi con la natura, con rispetto quasi reverenziale, con passione, amore, dedizione. Sono ricordi, fotografie, immagini che riguardano emozioni vissute, momenti di vita intensa impiegati a raggiungere un sogno.

Il pescatore di tempo, un altro gioiello di Michele Marziani, contiene tutto questo e anche di più.

Ripercorre la vita di un bambino innamorato della pesca, che diventa ragazzo e che poi diventa, inevitabilmente, adulto. Un adulto che ama ancora camminare lungo i fiumi con una canna in mano e la speranza di trovare un pesce incredibilmente grande.

Il pescatore di tempo è il viaggio che porterà quel ragazzo a diventare adulto, farsi domande, crescere, restare un po’ ragazzo dentro, riflettere sul senso della vita e di ciò che ama fare.

Poi arrivi a pagina 50 e leggi:

Per pescare sul serio serve imparare il silenzio e il passo felpato. Occorre lo stupore di trovare pesci incredibilmente grandi in corsi d’acqua spaventosamente piccoli, stretti, gallerie di frasche con sponde di rovi. Quasi rigagnoli. Luoghi intricati, dove l’accesso costa fatica, punture d’insetto, braccia segnate, sudore… I pesci vivono spesso in luoghi che non immagineresti mai. Saperli invece immaginare è l’arma vincente. Credere l’incredibile.

A questo punto ho chiuso il libro e quasi mi metto a piangere. Poi l’ho riaperto, ho sottolineato il brano a matita ed ho scritto: metafora scrittura.

Da quel punto in poi, ogni volta che l’autore scriveva pesca io leggevo scrittura, al posto di pesce o canna io leggevo parole o penna.

Il parallelismo con la scrittura (nel mio caso) è stato inevitabile. Riconoscersi nelle scelte, nelle difficoltà, nell’alzarsi molto presto al mattino, nell’avvolgersi in una coperta e bere qualcosa di caldo prima di uscire, nel desiderare a tutti i costi di fare quella cosa che amiamo. Il sogno che tutti rincorriamo, quello che abbiamo chiuso nel cassetto e non abbiamo coraggio di aprire.

Il pescatore di tempo ci insegna anche questo.

Quello che ami e desideri puoi farlo. Basta volerlo davvero.

Solo allora, quando ha compreso il sudore, quando ha avuto il coraggio di affacciarsi sull’anima e vederne l’abisso raccontandola in quel gioco di specchi che gli aveva rammentato Calvino nella lezione americana della leggerezza, ha di nuovo messo la sveglia alle cinque della mattina, forse anche prima.

LA SINOSSI

Il pescatore di tempo, letteratura di viaggio di Michele Marziani, è pubblicato da Ediciclo Editore.

 

 

 

“Lungo il Po”, viaggio controcorrente di Michele Marziani.

Il sabato, solitamente, è il giorno dedicato alla casa: faccende domestiche, pulire, stirare, cucinare, spesa…
Dopo una settimana di lavoro intensa, parte della quale trascorsa su e giù per l’Italia, il pensiero di dover indossare grembiule e guanti di plastica non è allettante.
Qualche giorno fa ho ricevuto uno stuzzicante invito via mail e non ho saputo resistere.
Il mio amico Michele Marziani presentava il suo libro Lungo il Po ed io dovevo fare di tutto per esserci, in barba alle pulizie di casa e alla pioggia incessante che oggi cadeva su Rimini.
La sala in cui si teneva la presentazione era l’ex locale di un negozio storico di Rimini, all’interno dell’atmosfera romantica del Borgo di Sant’Andrea che in questi giorni festeggia l’ottava edizione.
Di gente tanta, per me non era la prima presentazione dei libri di Michele, ma di sicuro una delle più divertenti e coinvolgenti.
I racconti delle avventure, in un viaggio controcorrente, alla ricerca di storie, cibi, tradizioni, curiosità, nel rispetto del Grande Fiume e della vita che si svolge lungo il suo corso hanno un sapore a volte romantico, altre ironico, altre ancora misterioso.
Ho gustato il bello di quei ricordi, mentre evocavano, in me, immagini di una bellezza mozzafiato. Dev’essere stata un’avventura pazzesca, di quelle che restano ancorate alla memoria, prima ancora che alla carta stampata.
Ammiro il coraggio, la spregiudicatezza, lo spirito libero, la voglia di scoprire, il bisogno di vivere e sono uscita dalla presentazione pensando che ogni persona dovrebbe, almeno una volta nella vita, partire per un viaggio verso la realizzazione di un sogno.
Si parla tanto di sogni (di quelli che abbiamo chiuso nel cassetto), ma mai, o poco, di quelli che abbiamo realizzato o che stiamo vivendo.
Consentiamo alla vita di trascinarci in gorghi senza fine, dove ogni secondo è scandito da doveri e impegni, mentre dovremmo dedicare più tempo a fare quello che ci piace.
Ed è per questo che oggi ho scelto di smettere i panni della massaia e correre al Borgo ad ascoltare racconti d’acqua in uno degli scenari più belli del nostro Paese.
In tutto questo c’era anche la voglia di incontrare persone, rivedere Michele e respirare carta, inchiostro e belle parole.
Ho camminato sotto la pioggia e sono tornata verso casa, contenta di avere vissuto un’ora lontana dal mondo che corre. Non sembrava neanche Rimini, quella di oggi. Una città intirizzita, colma d’acqua, spettinata dal vento, coi lampioni che a malapena illuminavano. Piove ancora, il rumore sui tetti e contro le soglie di marmo ha il sapore delle coperte e del tepore del divano in inverno.
Forse è l’acqua che corre che ci ricorda che esiste la vita, come quella che si vive lungo il Po e che a volte dimentichiamo di vivere.

Umberto Dei

Alla parola “solitudine” il mio Gabrielli risponde così: “L’essere solo; condizione di chi vive solo: la solitudine lo rendeva triste; aveva bisogno di un po’ di solitudine; vivere in solitudine.

Ha una connotazione triste, la solitudine, eppure negli ultimi tempi è diventata la mia amica migliore. “Non migliore amica, ma amica migliore.” (Questa citazione l’ho rubata in Umberto Dei, lo ammetto, spero che l’autore mi perdoni! La scrivo anche fra virgolette, non si sa mai.)

Cosa c’entra la solitudine con Umberto Dei? Me lo sto chiedendo da dieci minuti, da quando mi sono seduta in poltrona, con il notebook sulle gambe, con l’idea di scrivere un post che parlasse di Umberto Dei e della solitudine.

Andiamo per ordine.

Undici minuti fa, ho finito di leggere, per la seconda volta, Umberto Dei Biografia non autorizzata di una bicicletta. A mio avviso, il più bel romanzo di Michele Marziani. È la storia di Arnaldo, esperto di economia, che decide di cambiare vita e diventa meccanico di biciclette. È una storia di amicizia fra Arnaldo e Nas, il ragazzo uzbeko che assume come apprendista nella sua officina. Una storia che diventa anche un po’ un giallo e che ha un finale in forte salita, dove le ultime pagine non puoi leggerle e basta, perché l’istinto è quello di mangiarle.

Arnaldo è un uomo solo, la sua donna è morta, i suoi genitori sono lontani, e lui ha solo la sua bottega di meccanico di biciclette. Una vita senza ordine, senza nessuno da cui tornare, senza domani in cui sperare. La vera solitudine.

Perché la “vera solitudine”? Forse ce n’è una falsa? La solitudine, penso io, è vera per chi la vive. Per quelli a cui, quella solitudine, pesa e tanto. Come ad Arnaldo. Fino a che non arriva Nas, studente al Politecnico con la passione per le biciclette. Ma non per biciclette qualsiasi. Per le Umberto Dei.

E così la vita di Arnaldo si riempie, e quel vuoto è un po’ meno vuoto.

Bevo tè e mangio biscotti e scribacchio frasi che parlano di solitudine. E penso che forse le parole contengono un significato diverso per ognuno. Che a me la parola solitudine non fa paura, ma capisco chi invece teme di restare solo.

La solitudine mi ricorda il silenzio, il vuoto da riempire di cose che piacciono: buona musica, ottimo cibo, letture piacevoli, un computer, una tastiera, un foglio … Non riesco ad essere triste pensando alla solitudine e, se fosse possibile, sul mio Gabrielli cancellerei tutte le citazioni e lascierei solo: aveva bisogno di un po’ di solitudine.

Comprate Umberto Dei, leggetelo, regalatelo a Natale e commuovetevi sull’ultimo capitolo. Merita davvero un premio con fascetta attorno alla copertina.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: