L’ora del tè; chiacchierando in salotto con Giulia De Gasperi

La si smaschera non appena apre bocca. Il suo accento trevigiano se l’è portato fino in Canada dove vive insieme a marito e cane su un’isoletta. Con la passione per la lettura fin da bambina e per la letteratura canadese fin dalle superiori, ha messo in piedi un’agenzia letteraria, Radici Translation and Wordcraft [www.radici.ca], attraverso la quale spera di poter portare più libri canadesi in Italia e più libri italiani in Canada. È direttrice della collana Roads di Antonio Tombolini Editore.
Un vulcano di energia e vitalità.
Io l’ho conosciuta grazie al reciproco amore per i libri e sono felice di averla qui con me oggi a L’ora del tè.
Ve la presento: il suo nome è Giulia De Gasperi.

Eccoci qua, Giulia, benvenuta nel mio salotto. Sono le cinque, è l’ora del tè, cosa posso offrirti? Chiedi pure quello che desideri. Io oggi penso che sceglierò il mio infuso preferito, tè nero, zenzero e cannella.
Io berrei caffè sempre e ovunque, ma mi devo regolare, purtroppo, e allora, se posso, amerei tanto una tazzona di camomilla alla lavanda con dentro una strizzatina di limone e un cucchiaio di miele d’acacia. Grazie!

Se sei pronta e comoda possiamo cominciare la nostra chiacchierata. Che ne pensi?
Mani attorno alla tazza calda, che qui in Canada fa ancora un pochino freddo, e sono prontissima. Procediamo pure.

A che età hai letto il primo libro? Ricordi il titolo?
Non ricordo. L’orco di Cornovaglia.

Cosa ha fatto scattare in te l’amore per i libri?
L’aver imparato a leggere.

Quali sono, se ne hai, le tue manie quando leggi?
La mia unica mania è il non sapere smettere.

Il luogo più strano in cui leggi?
Io leggo ovunque mi capiti.

Il tuo libro preferito?
L’anello forte di Nuto Revelli in italiano e The Glace Bay Miners’ Museum di Sheldon Currie in inglese.

 

giulia1Ben arrivata nel mio salotto, Giulia! Sono felice di ospitarti perché oggi parleremo di lettura. Ho ospitato tanti scrittori ma per una volta vorrei fare due chiacchiere con una lettrice forte che ha una profonda conoscenza dell’arte della scrittura.
L’elemento che accomuna tutti coloro che siedono sulla poltrona dove sei seduta tu è l’amore per i libri. Un amore viscerale e irrefrenabile; una passione di pochi, purtroppo. Conosco alcune persone che leggono un centinaio di libri all’anno, ma anche tante che leggono solo uno o due libri durante le vacanze o che non leggono affatto. Un dato triste, confermato purtroppo anche dalle statistiche. Personalmente non potrei concepire la mia vita senza libri. Ma evidentemente non la pensiamo tutti allo stesso modo.
Ovviamente non possiamo disquisire sul perché i lettori siano pochi e quali siano le motivazioni che spingono le persone a non leggere. Però c’è una domanda che voglio rivolgerti che forse può fare capire, a chi segue questo numero de L’ora del tè, che leggere è bello.
Secondo te perché leggiamo? Potremmo scegliere mille passatempi diversi invece ci siamo innamorati proprio della lettura. Io sono convinta che leggere sia benefico, quando leggo mi sento meglio e credo che questo piccolo vizio condizioni positivamente anche il mio stato di salute, fisica e mentale. È giusta o sbagliata questa mia convinzione?
Grazie a te, Roberta, per avermi accolta nel tuo salotto e avermi invitata a parlare di libri e di lettura. Mi chiedi perché secondo me noi leggiamo e io penso che una risposta (perché ognuno di noi ne ha una diversa) a questa domanda la si possa trovare in quello che scrivi successivamente e cioè che “potremmo scegliere mille passatempi diversi…”. Ecco, secondo me, proprio qui sta la risposta. La lettura ci permette di non dover scegliere tra le tante cose che potremmo fare con e nel nostro tempo libero, ma di poterle farle tutte e molte, molte di più. Ogni libro che leggiamo è un’avventura che ci trasporta in un altro mondo. Anche i luoghi, le persone, le vicende che pensiamo di conoscere come le nostre tasche ci appaiono nuove quando ci vengono presentate tramite le parole e le esperienze altrui. Leggendo si viaggia, si visitano luoghi esotici, lontani, vicini, fantastici, straordinari; si incontrano persone nuove, cibi diversi, ci si confronta con tradizioni, usi e costumi di altri paesi e di altre culture; si entra nella mente altrui; si soffre insieme a chi soffre, e si ama con chi ama. Si ride, si piange, ci si innamora, ci si arrabbia, si provano emozioni vecchie, nuove, si scava nel proprio io e a volte si affrontano situazioni poco piacevoli. Vedi quante vite ci permette di vivere la parola scritta?
Come te sono inoltre convinta che l’atto della lettura sia benefico. Leggere è il mio rifugio. Lo è diventato non appena ho imparato a leggere. E lo è ancora e spero rimanga tale fino alla fine dei miei giorni. Per me è un potere straordinario. Uno dei regali più belli che la vita mi abbia fatto. Anche nella disperazione più totale, nello sconforto più profondo, ho sempre trovato pace anche nel solo tenere un libro in mano. Il sapere che mi basta aprirlo per immergermi nella pace mi calma.

 

Quello che hai appena detto mi ricorda le parole che dissi ad un’amica qualche tempo fa. «Quando sono triste e depressa prendo uno dei volumi di Harry Potter e mi stacco dal mondo». È la realtà, forse criticabile, ma è successo davvero. In un periodo di particolare crisi esistenziale, mi sono estraniata dai miei problemi immergendomi nella vita del maghetto più famoso del mondo. Un’altra cosa che mi ha colpito nelle tue parole è “anche nel solo tenere un libro in mano”… una sensazione fantastica, vero, quella della carta, il profumo, le pagine che croccano, i colori della copertina, la percezione del contatto nelle nostre mani. Certo che parlare di carta nell’era di Internet e degli ebook potremmo essere condannate per eresia.
Ti dico il mio pensiero e chiedo il tuo parere.
Il libro è la storia, con un titolo ed un’immagine che lo contraddistingua; che poi sia confezionato in un volume di carta o in un file ePub o Mobi o altro quello che conta, per me, è ciò che contiene. Avere la possibilità, inoltre, di poter mettere in borsa dieci libri con peso e dimensioni ridottissime è il massimo; non devo più scegliere, butto tutto dentro il mio kindle e parto.
Ci racconti qual è il tuo pensiero rispetto alla riflessione che ho appena fatto e quale rapporto hai con il libro elettronico?
Forse risulterò impopolare, ma io penso che una realtà non escluda necessariamente l’altra. I libri di carta (riciclata, aggiungo io) possono tranquillamente convivere con la loro versione digitale. Anche io sono d’accordo nella praticità dell’avere i libri che si stanno leggendo o quelli che si amano in particolare, in un solo e-reader e di poterli portare così ovunque si vada, ma quando parlo dell’effetto terapeutico della lettura, io mi riferisco anche al potere calmante che hanno su di me i libri di carta. Quando non ne posso davvero più, mollo tutto e vado a prendermi un libro, lo sfilo, ne osservo la copertina, l’accarezzo con la mano, lo porto al naso e lo annuso, chiudo gli occhi e sono già altrove. Poi riapro gli occhi e inizio a sfogliarlo. L’atto del girare una pagina dopo l’altra è per me terapia che mi permette di regolare il battito del cuore, di calmarmi e di spazzare via i pensieri che fino a poco prima mi disturbavano. Io poi leggo per lavoro e la maggior parte delle opere che mi si chiede di valutare arrivano sulla scrivania in formato Word o PDF. Fisso lo schermo tutto il giorno e quando stacco, io voglio ritrovarmi fra le mani un libro in carta e inchiostro e nulla di più.

 

giulia21Direi che è comprensibile, Giulia, e concordo con te sul potere terapeutico della carta, sulla possibilità di segnare le pagine, sottolineare paragrafi che vogliamo ricordare, aprire il libro a caso ed iniziare a leggere, tenerlo fra le mani e cominciare a sognare… ecco, sì, sono d’accordo con te che il libro di carta scateni tutte queste sensazioni.
Andando un po’ più nello specifico vorrei affrontare con te l’argomento “libri che fanno compagnia”: quelli che leggi per il gusto di leggere. Quali sono i tuoi generi preferiti? I libri che hai amato? Raccontaci aneddoti legati a questi romanzi. E poi consigliaci qualcosa che davvero ti è piaciuto tanto e che non dovrebbe mancare nell’esperienza di un lettore.
Vorrei iniziare con il dire che io leggo sempre per il piacere di leggere. Anche gli argomenti che forse mi potrebbero interessare meno, io li affronto sempre con entusiasmo. Se anche leggere diventasse un peso, allora sarei perduta! Leggo di tutto. Se dovessi scegliere un genere che avvicino con diffidenza, dovrei dire la poesia, ma solo perché penso di non essere in grado di capirla. Tutto qua. Amo i racconti brevi perché penso che ci voglia molto talento per acchiappare un lettore in poche pagine. Tra i miei autori preferiti ci sono Sheldon Currie, scrittore che adoro e che spero presto di portare in Italia. La critica dice che scrive come Flannery O’Connor e quindi mi sembra di non dover aggiungere altro. Degli scrittori che conosco personalmente e quelli con i quali collaboro per una cosa o per l’altra non voglio parlare perché rischierei di dimenticare qualcuno e non mi sembra giusto. L’unica eccezione che mi concedo è Sheldon perché è stato il primo a credere in me.
Tra i libri che amo ricordo Il copista di Marco Santagata (Sellerio 2000). Lì è stato amore a prima vista, ancora prima di leggere il libro mi sono innamorata delle sensazioni scaturite dal volume tra le mani. Sempre di Santagata, ho adorato I frammenti dell’anima (il Mulino 2004) che ho usato per preparare un esame di letteratura italiana all’università. Ricordo con moltissima emozione la lettura di Memorie di un cacciatore di Turgenev, letto da giovanissima.
Se però devo scegliere un libro italiano su tutti, un libro che ho amato e che consiglierei, per ora sceglierei L’anello forte di Nuto Revelli (Einaudi 2005). L’ho letto mentre anche io cercavo di svolgere ricerche sul campo; dare voce a chi pensa di non averla o a chi crede che a nessuno importi di sentire storie di vita altrui, è un atto direi necessario. Io sono sempre più convinta che ogni singola storia meriti di essere raccontata e condivisa.

 

Parliamo ora della tua attività di editor e di direttrice di collana. Un ruolo importante e difficile soprattutto perché la tua materia prima (il manoscritto) è quanto possa esistere di più caro per il suo creatore.
In sostanza, vorrei spostare l’attenzione sui libri che leggi per lavoro. Mi farebbe piacere che ci spiegassi in cosa consiste il mestiere dell’editor e poi ti domando, quando ti viene sottoposto un manoscritto da selezionare cosa succede, cosa cerchi, quali sono le caratteristiche a cui devi fare attenzione?
Inizio col rispondere alla tua ultima domanda: il processo di selezione di un manoscritto. Prima di arrivare ad avere una collana tutta mia, quella di narrativa di viaggio, Roads, che curo per Antonio Tombolini Editore (collana che era stata sospesa, ma che ora riprendo con più grinta di prima), ho collaborato con Michele Marziani a due delle sue collane: Officina Marziani e Oceania. Michele mi passava i manoscritti oppure le sinossi, io li leggevo. Se mi piacevano, stilavo una scheda; se non mi piacevano e/o li trovavo mal scritti inviavo a Michele un semplice no. Fin da subito lui mi aveva avvertita consigliandomi di leggere solo le prime venti pagine. Se entro le venti pagine ero presa, finivo, altrimenti l’avventura terminava lì. All’inizio però, io che sono testarda e pure un po’ ingenua, mi sono imposta di leggere tutto, fino alla fine perché pensavo che per dare un giudizio onesto il lavoro doveva venire letto tutto, fino all’ultima parola, fino alla parola ‘Fine’. Speravo sempre che anche i manoscritti più brutti avessero da qualche parte qualcosa che li facesse redimere. Purtroppo però ho capito ben presto che il mio era un errore e che dalle prime pagine, ma a volte anche solo dalle primissime righe, si capisce se il manoscritto merita oppure no. Una delle cose che scrivevo nelle schede per Michele era se quello che leggevo mi faceva venire la pelle d’oca. Ecco, io vado a emozioni, a pelle, e se arrivo a provare quella sensazione, allora il manoscritto lo mando avanti e devo dire che mi è successo per tutti i manoscritti ai quali ho detto finora di sì.
Applico le stesse regole per Roads, ma lì conta anche il tema nella valutazione. Per quanto ampia sia l’interpretazione che do alla parola ‘viaggio’, quell’elemento ci deve sempre essere nei manoscritti che ricevo.
Mi chiedi poi in che cosa consiste il lavoro dell’editor e io ti rispondo dicendo che per me la parte più importante è il rapporto che si instaura tra me e lo scrittore. Chiedo sempre, nel limite del possibile, di ‘incontrare’ la persona con la quale lavorerò. Ho avuto dei bellissimi incontri Skype che mi hanno permesso di conoscere meglio l’autore o l’autrice. Sembra impossibile ma si riescono a cogliere moltissime cose anche in pochi minuti di conversazione. Io poi sono un’attenta osservatrice. Il resto poi, il lavoro sul testo, le correzioni, la pulizia, sono tutti passaggi che faccio insieme allo scrittore.
Per quanto riguarda invece il lavoro che svolgo attraverso la mia agenzia letteraria, la scelta di rappresentare o meno un’opera letteraria e di proporne la traduzione in Italia o in Canada dipende soprattutto dal contenuto. I libri sono già stati pubblicati e quindi si presuppone che il lavoro di scelta e di revisione sia già stato fatto. Mi aspetto di trovarmi fra le mani un’opera scritta bene, curata nella presentazione, nella forma, nel messaggio. È vero che non sempre quello che viene pubblicato vale, ma l’errore lì è stato già fatto a monte tramite una selezione poco attenta e mirata. Io valuto l’opera chiedendomi se possa interessare al pubblico italiano (se si tratta di un’opera canadese) o a quello canadese (se si tratta di un’opera italiana). Sceglierei di rischiare se mi trovassi fra le mani un libro originale, diverso, nuovo perché penso che chi lavora nell’editoria abbia anche il potere, con le scelte che fa, di influenzare i gusti, i trend, le aspettative dei lettori. Se diamo a chi ama leggere sempre le stesse cose come si fa a crescere come individui e come lettori? Come si allargano gli orizzonti? Come si imparano cose nuove e come si viaggia verso luoghi ancora sconosciuti?

 

giulia3È vero, leggere fa viaggiare verso luoghi sconosciuti in cui probabilmente non andremo mai. Si dice che sia come avere sempre una valigia pronta con qualche abito e pochi effetti personali e partire per destinazioni che non avevamo previsto o neanche immaginato. È l’autore che conduce il lettore nei luoghi che ha scelto, lasciandolo libero di immaginarli, viverli, sentirli.
Giulia, io ti ringrazio infinitamente per essere stata qui, oggi, in mia compagnia. È stata una chiacchierata piacevole e spero avremo altre occasioni d’incontro.
Ti lascio ai nostri lettori con un’ultima domanda personale. Lo sai che mi piace curiosare anche nella vita dei miei ospiti. Sono troppo indiscreta se ti chiedo come sia nata l’idea di lasciare l’Italia e andare a vivere in Canada? Un paese interessante, immenso, ricco. Avere lasciato l’Italia e scelto il Canada è stato determinante per le scelte professionali che hai fatto nella tua vita?
La tua è una domanda che mi fanno in molti. Non mi dispiace affatto raccontare di come sono finita a vivere qui. Fa parte della persona che sono diventata e della storia della mia vita. Sono venuta in Canada la prima volta nel 1993 grazie a Intercultura i cui programmi di scambio ti permettono di trascorrere tre, oppure sei mesi o addirittura un anno intero in un altro paese. Io ho voluto stare via un anno perché volevo migliorare il mio inglese. Sono arrivata sull’isola nella quale vivo ora (Prince Edward Island, costa orientale del Canada, isola per la maggior parte anglofona) e ci ho trascorso un anno che mi ha aperto gli occhi, gli orizzonti e che mi ha fatto riflettere sul fatto che ci possono essere altri luoghi che ti fanno sentire a casa. Sono ritornata qui a intervalli più o meno regolari fino al 2004, quando ho vinto una borsa di studio di un anno durante il mio dottorato di ricerca. Ho trascorso quell’anno in una piccola università della Nova Scotia, che si trova vicino all’isola nella quale avevo fatto lo scambio culturale. Dovevo stare via solo un anno, ma poi la borsa di studio mi è stata prorogata di altri sei mesi, e nel frattempo ho conosciuto la persona che ora è diventata mio marito. Anche lui, nato in Pennsylvania da madre canadese e da padre italo-americano, aveva trascorso un anno di scambio sulla stessa isola. Viviamo qui a pianta stabile dal 2013. Non so se ci fermeremo. Gli occhi li ho dovuti aprire ancora di più da quando sono diventata una residente permanente. Trovo che il Canada, visto da fuori, goda di una reputazione che non sempre si merita. Io e mio marito abbiamo vissuto in Scozia, a Edimburgo, per quattro anni prima di ritornare in Canada. Sono tutte esperienze queste che ti arricchiscono, ti fanno diventare più sensibile, più umano (si può dire?), più attento alle persone che ti circondano. Mi piace il luogo nel quale vivo ora, nonostante i problemi, anche grandi e gravi, che ci sono, ma se ci fosse la possibilità di iniziare una nuova avventura altrove, io sarei la prima a dire di sì. Sono una persona che si adatta a nuove situazione piuttosto facilmente e cerco di trovare positività ovunque vada.
Non so se l’essere qui ora dopo il percorso fatto abbia influenzato in modo determinante le mie scelte professionali. Sicuramente sono stata messa in contatto con persone e luoghi che mi hanno ispirata a prendere certe decisioni, ma forse farei quello che sto facendo anche se fossi altrove. Una ‘chiamata’ è pur sempre una ‘chiamata’ o no?

Con un po’ di nostalgia, chiudo un altro appuntamento de L’ora del tè, ringrazio Giulia di cuore per avermi fatto compagnia in questo viaggio attraverso i libri e l’amore per la lettura e vi aspetto per la prossima puntata.

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