Pochi giorni
La luce picchietta sulle mie palpebre chiuse. Un brutto sogno.
Respiravo polvere. E la nebbia argentava la parete ammuffita della camera da letto.
Nel sogno ero stesa sul fianco sinistro e con la mano destra accarezzavo il muso di Peo. Dario non c’era, non esisteva. La sua assenza era un peso sul cuore. Un dolore interminabile.
Un brutto sogno e la sensazione di gelo nelle vene.
Respiro polvere.
Dario?
La mia voce è roca. La polvere gratta la gola. Apro gli occhi nel buio della tragedia.
La mia mano corre a rassicurare il battito del cuore. A consolarlo. A lenire la paura di questo mondo oscuro e sottosopra.
Sono qui, sembra volergli dire. Sono ancora qui. Viva.
Respiro nella polvere.
Dario doveva tornare ieri sera. O due giorni fa?
Aveva un impegno di lavoro. Non ricordo con chi. Non ricordo dove.
La mia mente è una scatola vuota. Contiene solo la polvere delle macerie di una vita crollata e un cuore che batte. Il nostro.
Apro gli occhi e la nebbia li riempie. Un fumo denso si appiccica alla mia disperazione.
Vorrei dormire.
Dario!
Urlo.
Dario!
Urlo ancora.
E poi tosse dentro e fuori.
Appoggio la mano sotto il seno e premo. Inspiro fino a che il ventre non si dilata al massimo. Una lunga fitta lo attraversa e la paura diventa una piramide di ghiaccio.
Mancano pochi giorni.
Ricordati che mi devi aspettare.
Sì, non ti preoccupare. Aspetteremo.
Dario afferra con le labbra la punta del mio naso e io scoppio a ridere.
Dai, scemo. Asciugo la pelle con la mano e lascio che mi attiri a sé.
Sei sempre più bella.
Mi concentro sui suoi occhi. Non sa mentire. E neanche questa volta lo fa.
Hai preso tutto?
Sì, certo.
Non dimenticare di scrivermi, di chiamarmi.
Non mi dimenticherò. Come potrei?
Non vedo l’ora che torni.
Lui si sofferma ad accarezzarmi una guancia.
Non è la prima volta che parto.
È la prima volta che parti a pochi giorni dalla scadenza.
È vero! C’è sempre una prima volta. Non ti stancare, okay?
Prima di chiudere la porta dietro di sé, mi sorride. È l’ultima cosa che mi resta di lui; un istante dopo sono sola, con una sensazione di oscurità nello stomaco, un pozzo profondo dove nuotano le paure, le ansie, i pensieri distruttivi, che tento di allontanare tuffandomi in tutto ciò che possa tenere impegnate le mani: togliere la polvere, lavare, piegare, stirare, togliere la polvere, lavare, piegare, stirare, togliere la polvere, lavare, piegare, stirare…
Ogni volta che Dario parte, mia madre bussa alla porta, puntuale come un orologio. Getta la pelliccia e la sua borsa da cinquemila euro sul divano con una smorfia e mi osserva mentre lavo il pavimento o faccio il bucato a mano.
Roba da domestici.
Attende che io finisca.
Non ho voglia di ascoltare un’altra predica.
Siedo di fronte a lei.
Mamma, se sei venuta con l’intenzione di farmi sentire una pezzente, puoi tornare a casa. Io sto bene qui.
Lei, stranamente allunga una mano e afferra la mia.
Cara, no. Sono qui solo per darti una mano.
A lavare i pavimenti?
Beh, no, quello…
L’ha sempre fatto qualcun altro, vero mamma? Tu non sei d’accordo con la mia scelta di vivere con un uomo che non è ricco come voi.
Come te.
Ti ricordo che ho rinunciato a tutto.
Sì, lo so, ma sei mia figlia e…
Mia madre non aveva finito la frase. Mi ero alzata, questo lo ricordo bene, pensando di andare in camera. A fare che cosa però no, questo particolare si è cancellato.
Mezzi ricordi. Frasi fatte per fare pace, per cortesia, perché così si fa.
Mezze parole. La sostanza di mia madre.
Gioielli, pellicce e auto di lusso. Lei allontana tutti: ha buttato fuori casa mio padre e non mi ha trattenuta quando sono andata a vivere con Dario.
Poi il disastro. La nebbia. L’argento sui muri. La polvere dove poco prima avevo pulito e lavato.
Ero in camera da letto, quando l’aria esplose. Mia madre ancora in cucina, sulla sedia.
Ero stata spinta da un boato, questo lo ricordo, avevo visto l’armadio piegarsi e il solaio crollare su di me.
Pochi istanti. Attimi singoli di vita. Respiri.
Avrei dovuto ripulire tutto.
Sarebbe stato questo il mio ultimo pensiero? E quello di mia madre? Avrebbe rimpianto una figlia mai amata? E un nipote mai nato? Un genero mai sopportato?
Quanti rimpianti in una vita strappata. Quanti abbracci mancati e desideri rubati.
Il buio mi aveva avvolto. Un alito caldo aveva soffiato sulla mia guancia e io ero scivolata in un sogno di polvere e nebbia.
Ricordo solo questo.
Provo a girarmi. L’anta dell’armadio blocca la mia gamba destra e il dolore mi trafigge il femore e l’anca. Una nuova fitta mi perfora il ventre e il panico soffoca le mie lacrime.
Dario?
Urlo.
Non so neanche se lui c’è. Se è tornato da quel viaggio maledetto.
Mamma?
Lei non risponde.
Aiutatemi!
Aiutatemi!
La polvere mi affoga. Tossisco e inspiro dal naso a piccoli morsi.
La sete mi dilania.
Il freddo penetra la carne.
Il dolore mi fa piangere.
Il silenzio si chiude sopra di me. Un silenzio di morte.
Il terrore che possa accadergli qualcosa, che possa non nascere uccide la mia anima.
Allungo la mano e sfioro la pancia. Mancano pochi giorni, poche ore.
Dario. Devo aspettarlo. Dobbiamo aspettare il tuo papà, piccolino mio. Dobbiamo accoglierti e abbracciarti.
Pamela?
Mamma?
Dove sei figlia mia?
Qui.
Come stai?
Penso bene.
E Jacopo?
Bene. Spero…
Inspiro nebbia. La mia mano, bianca di polvere e rossa di sangue, lo accarezza. Una fitta lunga arriva allo sterno e mi toglie il fiato. La pancia rotola, come un pallone calciato da fondo campo. Rotola. Rotola. Gira e si rigira.
Si muove!
Bene, se si muove è un buon segno.
Quando arriverà Dario andremo in ospedale.
Sì, si muove, ma non come le altre volte. Il mio bambino ha paura, freddo, sete e terrore.
Ha bisogno di essere consolato.
Inizio a piangere e canto. Una nenia sottovoce, che piano piano si fa breccia nel mio cuore e trasforma le mie lacrime in sorriso. Canto al mio bambino. Dolcemente. Lo accarezzo e lo rassicuro. La voce di mia madre si unisce a me, al mio canto. In una nenia che allontana la paura, il freddo e la sete.
Le parole della canzone aprono il cuore, sanno di speranza: presto torneranno il sole a scaldare, l’acqua a dissetare e braccia forti a consolare.
E canto, fino a quando la voce di mamma urla piangendo.
Non salvate me, prendete mia figlia, in camera. È incinta. Fate presto.
Mancano pochi giorni.
© Roberta Marcaccio 2023 – All rights reserved
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