L’ora del tè, quando i ruoli si invertono: Ilaria Vitali intervista Roberta Marcaccio

Mancano dieci minuti alle cinque, Roberta è qui di fronte a me, tamburella nervosa con le dita sul bracciolo della poltrona, facendo tintinnare braccialetti e pendagli, fissandomi silenziosa da dietro gli occhiali, a metà tra il divertito e il preoccupato.
Sono Ilaria Vitali, mi sono impossessata del salotto di Roberta Marcaccio e ho uno scopo preciso: intervistarla.
«Ma sei sicura?» mi chiede in un soffio.
«Zitta, le domande le faccio io!»
Ride Roberta, non mi prende sul serio e la sua risata per un attimo mi travolge piacevolmente.

Roberta, prima o poi sapevi che sarebbe successo. Adesso tocca a te, siediti comoda, smetti per favore di tintinnare quel braccialetto e rilassati. Ho già preparato il tuo tè preferito e una fetta di crostata di ciliegie. Qui c’è gente che aspetta, vogliamo cominciare?
Sono comoda, ma guardare le cose da questa diversa angolatura mi crea un po’ d’ansia. Di solito le domande le faccio io. E poi vorrei sapere chi ti ha suggerito qual è il mio tè preferito e che amo la crostata di ciliegie. Vabbè, pazienza, visto che i lettori sono interessati ad altro iniziamo pure. Sono pronta!

cropped-Roberta-2.jpgRoberta Marcaccio, lavoratrice indefessa, moglie e mamma, figlia e nipote, scrittrice prolifica, lettrice affamata, la domanda sorge spontanea: come fai a conciliare una vita così frenetica? Ho come la sensazione che la scrittura e la lettura rappresentino questa stanza, dove tu riesci a isolarti mentre fuori il mondo cammina a velocità sostenuta. L’ora del tè non è casuale, è il luogo che tu hai creato, un rifugio morbido dove Roberta trova serenità. Vuoi parlarcene?
Guardandola da fuori, la mia vita, è davvero come la descrivi tu, ma fino ad ora non l’avevo mai analizzata. In effetti me lo sento ripetere spessissimo: “Ma dove trovi il tempo per scrivere?” Negli occhi di chi mi fa questa domanda leggo il rispetto del mio interlocutore nei confronti di un amore che è ormai molto più grande di quanto io riesca a gestirlo. È diventato anche il “tormentone” del mio BLOG – Il mio amore per la scrittura – è il mio mantra, è una urgenza che mi costringe a scrivere, perché quando ami una cosa o una persona con tutto te stesso vuoi stare o solo con quella cosa o con quella persona. Devo dire la verità, a volte vado in overflow, succede quando ho “in lavorazione” più attività di quelle che riesco a gestire; in questo ultimo periodo ho superato il limite di guardia, tanto che ho dovuto rallentare: mi sono ritrovata con un romanzo in scrittura, la rubrica de L’ora del tè a pieno ritmo, i libri da leggere (perché gli scrittori prima di scrivere leggono) più i manoscritti da selezionare per la collana di cui sono lettrice, le presentazioni di Tranne il colore degli occhi (quattro in due mesi), i racconti che ogni tanto ho l’orgoglio di vedere pubblicati su Il Colophon, la rivista letteraria di Antonio Tombolini Editore… Però, anche quando rallento, il mio cuore è sempre là, la testa macina storie, il bisogno di scrivere si fa urgenza e, in un modo o nell’altro, devo immergere le mani nelle pagine dei libri, miei o di altri.
L’ora del tè, che come dicevo ha subìto un rallentamento forzato ma ripartirà presto con nuovi e interessanti scrittori, è la rubrica nata per dare voce agli altri autori, farli conoscere in un modo semplice e simpatico, simulando una chiacchierata in salotto all’ora del tè. Mi piace il rapporto vivo, quello vero, a faccia a faccia, mentre si parla di libri, scrittura e arte in genere. E volevo che il mondo caotico venisse confinato fuori da questo piccolo angolo silenzioso in cui regna sovrana la parola scritta e la voce dell’autore. Spero di essere riuscita nel mio intento e mi auguro che la rubrica sia apprezzata.
Devo dire che grazie ai tanti impegni e soprattutto a L’ora del tè, ho imparato ad organizzarmi. A dedicare il tempo giusto alle cose. A fare la scaletta delle priorità e a riempire fogli e fogli di TO DO che si alleggeriscono mano a mano che tiro una riga sopra alle cose fatte. Non sono una super-woman. Sono semplicemente una che sacrifica tutti i momenti liberi per amore di una cosa importante in cui crede: le pause pranzo, la mattina presto e la sera tardi e qualche mezza giornata nei week end. In mezzo a tutto il resto, ovviamente.

La scrittura, potente mezzo di comunicazione prima con sé stessi che con gli altri. Perché questa urgenza di scrivere? Io da scrittrice me lo sono chiesto mille volte senza darmi una risposta soddisfacente. Quando scrivi, cosa succede?
L’urgenza di scrivere nasce da un bisogno interiore: raccontare storie è come vivere altre vite. Da piccola me le raccontavo da sola, erano il mio passatempo nei momenti di solitudine, mi facevano compagnia. Raccontare storie è ossigeno, cibo, vino, è vita. Ora che sono grande (così dice l’anagrafe!) quelle storie che mi racconto da sola, premono affinché io le scriva per gli altri.
Scrivere (e leggere) è come vivere centinaia, migliaia di altre vite, quelle che non potremo vivere mai.

10423644_990163001033578_6127305744714367041_nIo ho conosciuto Anna. Ancora una donna, coinvolta da eventi profondi, di quelli che lasciano il segno. Anna è la protagonista del tuo prossimo libro in uscita, Ti raggiungo in Pakistan, che ha già solleticato la curiosità di chi, come me, segue le tue avventure letterarie. Chi è Anna?

Innanzi tutto devo spiegare una cosa che riguarda Anna. Devo chiarire la confusione che ho involontariamente creato sui social. Chi mi segue su Facebook, Twitter, trova citazioni, estratti, brani, monologhi firmati Anna. Con gli amici ho parlato tanto del romanzo che stavo scrivendo facendo riferimento ad Anna. E per tutti, è Anna.
Quando accenno a Ti raggiungo in Pakistan noto il disorientamento negli occhi dei miei interlocutori e più volte mi sono sentita chiedere: “E Anna? Quando lo pubblichi?”
La risposta è facile: Ti raggiungo in Pakistan è Anna.
E così spero di avere chiarito il fraintendimento che ho provocato.
Ed ora veniamo a lei.
Anna è uno specchio, la proiezione della mia anima ribelle e in subbuglio. A lei ho trasferito tre cose che mi appartengono e che sono parte predominante della mia vita: l’amore per la scrittura, per il mare e l’amicizia.
Anna è parte della mia essenza primaria.
Contiene le cose che amo, le mie passioni, i sogni, tutto ciò che fa parte di me e del mio mondo.
Ovviamente non contiene i dettagli della mia vita privata. Non è un’autobiografia.

Possiamo quindi ritornare a quello che affermavi poc’anzi sull’urgenza di scrivere come esperienza di viaggio e di vivere altre vite. Anna è una Roberta in un ipotetico mondo parallelo? Se sì, il fatto che sia privo di elementi autobiografici, Ti raggiungo in Pakistan si presenta più come un sogno a occhi aperti? E qui tocchiamo il tuo modo particolare di accompagnare i personaggi delle storie che scrivi, un modo che definirei al confine tra il materno e il fraterno, dove a tratti si percepisce la forte empatia con alcuni di essi. Con Anna è stato così? In parte hai già risposto, ma vorrei che parlassi del tuo legame con lei.
L’urgenza di scrivere nasce dalla mia incapacità di vivere una sola vita. È un bisogno che è nato con me, si è sviluppato fin da piccola, durante la lettura dei primi libri o la visione dei miei film preferiti (non ho perso neanche una puntata di Ellery Queen oltre ad aver letto i libri ovviamente). Dall’adolescenza in poi le storie ho iniziato a raccontarmele da sola. Erano il mio passatempo. Un vero sogno ad occhi aperti. Da qui l’esigenza di trasportarmi in un altro mondo in cui vivere una vita diversa, irreale e reale allo stesso tempo.
La scrittura ha amplificato un processo nato con la lettura, che continua ancora oggi.
L’amore per i libri va oltre ogni altra passione. Il bisogno di fantasticare, sognare è irrefrenabile. Potrei smettere di leggere e scrivere ma la mia anima continuerebbe a produrre storie.
Per nutrirsi.
Non c’è nulla di autobiografico nelle storie che invento.
Che bisogno avrei di scrivere la mia vita; la sto già vivendo ed è più che sufficiente.
Certo, nei racconti ci finiscono situazioni, persone ed emozioni che mi ruotano attorno. Questo è normale.
Se qualcuno pensa che ciò che scrive un autore sia completamente inventato si sbaglia di grosso. Anzi, vorrei mettere in guardia gli amici degli scrittori: prima o poi potreste essere rinchiusi in un capitolo.
E il sogno a occhi aperti di cui parli, oggi è un sogno reale. È quello stato di trance che caratterizza gli scrittori e che a volte li fa apparire assenti e un po’ folli. Quando lo scrittore è con lo sguardo perso nel vuoto o assorto, non sta riposando, non è depresso e nemmeno triste: sta semplicemente lavorando.
Ti rispondo alla seconda parte della domanda. Parlare di Anna per me non è facile. È un personaggio che io amo profondamente, sono cinque anni che vive con me, al mio fianco, la osservo mentre lavora, vive, soffre. Mentre ama.
Come ho già detto, a lei ho trasferito alcune mie manie o passioni ma anche alcuni moti della mia anima. In effetti forse le ho trasferito un po’ troppe cose.
Devo dire che mi sono divertita a cucirle addosso la vita che desiderava vivere. A farle incontrare gli uomini sbagliati e poi quelli giusti o viceversa. A farle fare il lavoro che amava. Ad affiancarle l’amica giusta.
È stata Anna a parlarmi e a raccontarmi di sé. Io ho solo trascritto sulla carta.
Io sono stata il suo specchio… e lei il mio.

IMG-20160718-WA0017Tranne il colore degli occhi è uscito nel 2016 nella collana Amaranta di Antonio Tombolini Editore, per Ti raggiungo in Pakistan hai scelto una nuova avventura che è quella dell’auto pubblicazione. Da fuori emerge una volontà quasi viscerale di fare in modo che Anna abbia voce, quasi che fosse un elemento materico che hai deciso di plasmare dall’inizio alla fine senza percorrere strade più convenzionali. Ce ne vuoi parlare?
Ho riflettuto tanto sul futuro di Anna, per molti mesi, ho pensato e ripensato a quale dovesse essere il suo ruolo e soprattutto chi dovesse occuparsi di lei. Anna ha incontrato diversi editori, ha ricevuto critiche positive e suscitato interesse.
È nata nel 2012 e da allora ha subito diverse fasi di lavorazione; l’ho scritta, riscritta, corretta, riletta, anche quando era già a posto è ripassata di nuovo sotto la macchina dell’editing. In un attimo di follia avevo addirittura pensato di riscrivere il finale. Anna è nata di getto, è giunta a me con la forza di uno tsunami, mi ha travolta con la sua potenza e con la stessa urgenza mi ha costretta a scrivere di lei.
È dentro di me in modo inscindibile.
Chi mi conosce bene sa cosa intendo. L’energia che mi trasmette è vita piena, vera. Ha una forza che non può non essere comunicata.
Anna merita voce. Merita di essere conosciuta, letta, amata o odiata, apprezzata o disprezzata. Merita di essere accompagnata, presentata, annunciata.Mi aspetto commenti positivi ma anche negativi. Questo non toglie che Anna lascerà qualcosa di sé in tutti.
Con questa consapevolezza mi sono fatta le mille domande che un autore si fa prima di consegnare la sua opera a una casa editrice.
Non sarà sicuramente il libro della vita o il bestseller dell’anno ma merita le attenzioni che vale.
Dopo queste riflessioni mi sono risposta.
L’unica persona che può presentarla al mondo è colei che l’ha creata, plasmata, educata, cresciuta.
Non c’è nessun altro che possa offrirle la vetrina che merita. E da qui la decisione, difficile e ragionata mille volte, di produrla da sola. La paura è di non farcela, non avere tempo sufficiente, non essere capace. Confido nella passione che mi muove e nell’amore che ho per lei.
Anna è una storia di passione, amore, amicizia, vita, sogni. Ha la profondità del mare, lo stesso che lei ama, e spero non venga trattata per una banale storia d’amore.
Aggiungo che il prodotto finito è il risultato di un lavoro a più mani. Ho voluto curare Anna in tutto e per tutto: l’editing, la copertina, tutta la grafica e la produzione del libro sono stati realizzati da Carla Casazza e Carlo Alberto Civolani, miei carissimi amici oltre che grandi professionisti.

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Roberta, a questo punto non ci rimane che attendere l’uscita di Ti raggiungo in Pakistan, ma vorrei chiudere questa intensa chiacchierata con un’ultima domanda.
Al di là di quello che hai detto prima riguardo al fatto che Anna rappresenti la proiezione della tua anima, i personaggi delle tue storie sono sempre donne. Perché l’universo femminile?
Ad essere sincera un motivo preciso non c’è, è una cosa avvenuta per caso. La risposta facile sarebbe: “perché l’universo femminile mi appartiene”, ma non è così.
Ti racconto una cosa successa durante una presentazione del mio romanzo Tranne il colore degli occhi, che forse può aiutarci a spiegare questo fenomeno. Una ragazza in sala mi ha fatto una domanda che nessuno mi aveva mai posto e quella sua riflessione è stata come uno “squarcio di luce in mezzo a tante nubi” (cit). Tutto quello che ho scritto fino a ora, è il risultato di un percorso preciso di cui non ero cosciente. La scrittura parte sempre da un’idea che poi la fantasia sviluppa. Ed è stata proprio la mia fantasia a portarmi nel luogo giusto, quello dell’anima delle donne.
La ragazza che ha provocato quella riflessione è parte di questo percorso. È l’anello di congiunzione di tanti tasselli di cui, fino a quel momento, non comprendevo il significato.
Nei giorni successivi a quella presentazione ho messo assieme le tessere del puzzle e ho capito quale scrittrice voglio essere da grande. È la strada avviata con Tranne il colore degli occhi, che proseguirà con Ti raggiungo in Pakistan e che definirà il mio genere: letteratura femminile. Non romance, non eros, ma femminile.
Storie dal contenuto scomodo. Storie di donne che parlano alle donne, ma anche storie di uomini con a fianco grandi donne.
Spero di non essere travolta dalle critiche maschili, il mio intento non è sminuire il mondo degli uomini, ma trovare nell’anima delle donne la ricetta per crescere, riflettere, fare propri certi sentimenti ed emozioni che possano rendere meno difficile vivere. Indipendentemente dal sesso.

Direi che abbiamo finito e che puoi riprendere le redini de L’ora del tè. Non senza prima avermi versato un Martini Rosso! Suerte!

Ma potrò brindare con una che beve Martini Rosso? Mi verso una Saison! Prosit!

Ringrazio Ilaria Vitali per la splendida e ironica intervista. Oltre a essere una bravissima scrittrice Ilaria è anche mia grande amica, una delle poche persone al mondo che appartengono per motivi inspiegabili e stregoneschi alla mia anima. Vi aspetto alla prossima puntata de L’ora del tè.

Un assaggio: capitolo 22

Tranne il colore degli occhi

Ieri sera sfogliavo il mio romanzo. Non amo farmi pubblicità, anche se capisco quanto sia sempre più importante fare marketing di sé stessi.
Io non sono brava in questa veste ma ogni tanto ci provo.
Più che parlare del mio libro vorrei che il mio libro parlasse al posto mio.

Ieri sera sfogliavo il mio romanzo, dicevo, e l’ho aperto a caso al capitolo 22, un numero che ha per me un significato molto particolare. Come particolare è il capitolo stesso, di cui vi regalo un assaggio.

Capitolo 22

Quando bussò alla mia porta, la notte del 22 marzo, Rocco era ubriaco, urlava e vomitava. In preda a non so quali allucinazioni o forse solo pazzo di dolore gridò più volte che dovevo salvarla, resuscitarla.

«Falla vivere!» urlava.

Aveva gli occhi spiritati, le mani tremanti ed era sudicio; puzzava di alcol, sudore e vomito. Lo invitai a entrare e sedere. Si buttò a terra, vicino al camino. Si prese la testa fra le mani e solo allora notai il sangue. Aveva un taglio su un polso e la ferita era sporca di terra e sangue raggrumato. Lo medicai, nonostante le sue proteste, e gli feci bere un infuso di erbe. Si calmò e mi raccontò del giorno maledetto.

Quando arrivai alla fontana vidi le macchie di sangue vicino alla cesta coi panni.Sapevo che l’avrei trovata lì. Mancavano pochi giorni. Eleonora era sicura che sarebbe nata il 21.
«Nascerà il primo giorno di primavera» diceva; era felice. Non vedeva l’ora di stringere la sua bambina.
Sapevo che sarebbe scesa verso le tre; di solito puliva la cucina e aspettava che Giovanni uscisse per andare al mercato, prima di recarsi alla fontana. Una tenaglia mi strinse lo stomaco. Non respiravo. Attorno alla fontana c’era molta acqua. Qualcosa l’aveva fatta tracimare fuori. I panni della cesta erano bagnati e insaponati. Ma lei non c’era. Il mio cuore sembrava impazzito. Sbatteva, picchiava, non mi faceva capire niente. Era l’unico rumore che sentivo. Dalla fontana presi il sentiero che conduce alla contrada. Pregavo Dio che Eleonora fosse a casa, stesse bene, e che i miei timori fossero solo il frutto di un brutto presentimento.
Camminavo, correvo, ansimavo, non avevo fiato.
«Dio mio, ti prego, ti prego…»
Erano le uniche parole che riuscivo a pronunciare. Affrontai la salita in poche falcate e quando arrivai in cima il cuore mi cadde a terra. Eleonora era là, appoggiata ad un albero, sudata, bagnata, sporca di sangue. La raggiunsi e la presi fra le braccia. Tremava come un filo d’erba. Si abbandonò fra le mie braccia e io la sollevai. Respirava a fatica. La stesi a terra, ma si contorceva dal dolore. Strillava il mio nome.
«Rocco! Aiutami!»
Mi gridava di aiutarla ed io non sapevo cosa fare.
«Amore, ti prego, resisti! Cerco aiuto e ti porto dal medico».
Gridava più forte.
«Non mi lasciare! Chiama Diana!»
Parlava a singhiozzi, in mezzo alle fitte atroci e ai morsi di dolore.
«Aiutami!»
«Amore, ti prego, resisti!»
Si strinse a me con tutta la forza che aveva. Infilò le unghie nella mia carne. La presi in braccio e lei gridò. Sapevo di farle male ma non avevo scelta.
«Perdonami amore. Ti porto a casa».
La vidi stringere i denti. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Si aggrappò con entrambe le braccia e nascose il viso nell’incavo del mio collo.
«Amore, manca poco. Resisti!»
La sentivo contrarsi. La pancia contro il mio torace. La sua bambina fra me e lei. Eleonora mi guardò ed aveva gli occhi asciutti, belli come non li avevo mai visti. Mi sorrise e quello fu l’ultimo sguardo che mi rivolse. Poi una doglia ancora più forte delle altre la fece urlare come non avevo sentito mai.
Davanti a casa sua chiamai il marito. Urlavo.
«Giovanni! Giovanni!»
Presi a calci la porta.
«Giovanni apri! Ti prego!»
Picchiavo sempre più forte. Stavo per sfondare la porta quando si aprì.
«Cosa…»
«Giovanni, Eleonora… bisogna chiamare Diana».
Giovanni sbiancò e corse via, verso il bosco.
Entrai. Eleonora era aggrappata a me. Ma non era cosciente.
La coricai sul letto. Sembrava non provasse più dolore. Era immobile, inerte, abbandonata. Le accarezzai i capelli ma non si mosse.
«Ele, amore».
Non rispose.
La baciai.
Non si mosse.
Il suo torace si alzava e poi si abbassava ed io lo guardavo come se temessi che smettesse di respirare da un momento all’altro.
Perdeva sangue e liquido. Presi un asciugamano e la pulii.
Teneva gli occhi chiusi e non reagiva.
L’accarezzai sul viso.
«Ele, ti prego amore, rispondimi. Dimmi qualcosa. Mandami al diavolo, ma parlami. Ti prego!»

Quando entrai nella camera da letto, Rocco era vicino a lei. Aveva la fronte appoggiata alla pancia di Eleonora, pregava e piangeva. Giovanni era dietro di me. Vide l’uomo disperato al capezzale della moglie ed uscì di casa.
«Rocco!»
«Diana, ti prego, devi aiutarla».
«Cos’è successo?»
«Non lo so. L’ho trovata vicino alla fontana. Ha perso sangue».
«Lascia fare a me, ora. Chiama Antonietta. Falla venite qui. Mi servono asciugamani, lenzuola pulite e acqua calda. Subito!»
Rocco uscì di corsa. Mi avvicinai a Eleonora e le toccai la pancia. Gridò e spalancò gli occhi. Le divaricai le gambe.
«Perdonami figlia mia».
Infilai la mano e toccai il collo dell’utero. Era già dilatato, ma non abbastanza. Potevo aiutarla ad accelerare il travaglio ma non sapevo ancora in che posizione era il feto. Dovevo aspettare. Non potevo rischiare. Eleonora era già abbastanza provata.
Poi iniziò il vero travaglio. I dolori violenti, insopportabili. Antonietta restò con me per due giorni. Per tutto il tempo che trascorremmo là dentro, Eleonora non fu mai cosciente. A volte sembrava ritornare, ma poi crollava di nuovo in uno stato di completa assenza dal mondo. Tremava per i dolori, gridava, si contorceva e fra una doglia e l’altra sveniva.
Non mangiammo, non dormimmo. A nessuno era consentito entrare.
Alla fine del primo giorno, capii che c’era qualcosa che non andava e quando vidi che non era la testa quella che sarebbe uscita per prima cominciai a pregare anch’io. Antonietta non mi chiese nulla e, con un riserbo che mi commosse, pregò assieme a me. Il ventuno mattina Eleonora era pronta per partorire ma il feto non si era girato. Ormai era stremata. Non aveva neanche la forza di gridare. E le doglie erano finite. Le mie preghiere non erano servite a nulla. Forse non basta chiedere aiuto una volta per ottenerlo. Continuai a massaggiare la pancia di Eleonora sperando di vedere apparire i capelli. Non mi fermai mai, neanche quando il cuore di Eleonora smise di battere.
«Diana!»
Antonietta appoggiò una mano sulla mia spalla ed io crollai.
«Diana, è finita!»
Uscii dalla stanza, parlai con Giovanni e chiesi a Antonietta se era pronta ad assistermi. Lei mi guardò con gli occhi enormi e si avvicinò a Eleonora. Chiusi a chiave la porta e ricoprii il letto di asciugamani e cerate. Dopo mezz’ora estrassi Michela dalla pancia della madre e la deposi fra le braccia di Antonietta.

TRANNE IL COLORE DEGLI OCCHI a Caffè Letteradio

Tranne il colore degli occhi

Quando ho scritto Tranne il colore degli occhi a tutto ho pensato tranne di portarlo in radio.
Non l’ho pensato ma l’ho fatto. Grazie a Francesca Scherini che ha apprezzato il mio romanzo e mi ha invitata a presentarlo in radio.
Ho accettato subito. Era per me un’esperienza unica, mai vissuta prima che, a conti fatti, è stata davvero molto divertente.
E’ bello per un autore parlare del proprio libro, ma è ancora più bello quando sai che le tue parole hanno toccato nel profondo l’anima dei lettori.
Francesca è un’ottima padrona di casa, con lei sembra proprio di essere seduti attorno ad un tavolo a chiacchierare come se ci si conoscesse da sempre.
Caffè Letteradio è una trasmissione bella ed interessante, un incontro settimanale con i libri e i loro autori che consente, soprattutto agli emergenti, di fare conoscere le proprie opere.
Per chi se la fosse persa, ecco la trasmissione del 17 gennaio, io, Francesca, Andrea e Tranne il colore degli occhi

Letture sotto l’Albero di Natale

Innumerevoli i post dal titolo “Letture sotto l’ombrellone”, in estate. Neanche uno invece che si riferisca alle letture sotto l’Albero. A Natale siamo troppo impegnati ad armeggiare con zucchero a velo e coltello. Colpa del freddo e della coperta di pile che abbiamo addosso. O colpa della televisione che in questo periodo propone la scorribanda natalizia dei soliti filmettini o programmi ricorrenti.

Contravvenendo ad ogni abitudine tipica di questo mese vorrei evitare di parlare di panettone o Mamma ho perso l’aereo! e concentrarmi invece su cosa poter regalare a noi stessi o ai nostri cari per Natale.

Parliamo di libri. Quelli letti nel 2016. E per non fare torto a nessuno li nomino in ordine decrescente di lettura.

  1. Punti e Interrogativi. Di Manuela Bonfanti. Quattordici racconti dove il femminile è protagonista.
  2. Una scomoda memoria. Di FG Bart. Un mistero resta nascosto per millenni fino a quando qualcuno non decide che è giunto il momento di svelarlo oppure…
  3. Pane, marmellata e tè. Di Carla Casazza. Tre racconti giallo-rosa con una investigatrice intrigante e un po’ fuori cliché.
  4. Dietro lo steccato. Di Ilaria Vitali. Una pepita d’oro e zaffiri da leggere ad anima aperta.
  5. Dentro e fuori Cheyenne. Di ALIAS. Una storia fantastica che vi tirerà dentro il mondo dello spionaggio.
  6. Quando guardo verso Ovest. Di Massimo Lazzari. Trentatré racconti dal sapore rock.
  7. RIP. Di Marco Valenti. Un romanzo che parla del distacco dalla vita.
  8. Questo cerchio sei tu. Di Fabio Locurcio. Una lettura che lascia con il fiato sospeso.
  9. Fotogrammi in 6×6. Di Michele Marziani. Tre brevi ritagli di ricordi da non perdere.
  10. La dieta su misura. Di Letizia Bernardi Cavalieri. Il libro che vi convincerà a mettervi a dieta.
  11. Il capolavoro. Di Amanda Melling. Un giallo… capolavoro.
  12. L’istinto di una donna. Di Federica D’Ascani. Un erotico denso di passione.
  13. Non padre. Di Stefano Padovan. Una storia che tocca l’anima.
  14. Il pescatore di tempo. Di Michele Marziani. Un libro che parla di pesca di vita.
  15. L’odore del riso. Di Angelo Ricci. Il mio noir preferito.
  16. Un solo sangue. Di Lea Rivalta. Una scrittura che scuote le vene.
  17. Partenze. Di Maggie Van Der Toorn. Una lettura intensa e sorprendente.

Se poi questi titoli non vi bastano andate QUI, sul mio BLOG, nella pagina delle Recensioni e cercate altri titoli oppure negli scaffali di Antonio Tombolini Editore, sbirciate all’interno delle collane e cercate altre pietre preziose. Potrete leggerne la trama oppure acquistarlo.
Splendide idee per un pomeriggio sul divano vicino all’albero di Natale acceso o da impacchettare e regalare.

Ah, dimenticavo! Ricordatevi Tranne il colore degli occhi, il MIO romanzo. Regalatevelo, dicono che sia un bel libro. E’ una storia di amicizia, di quelle che non si rompono neanche con la morte.

BUON NATALE e BUONA LETTURA.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: