La cassetta degli attezzi

Serve musica, a palla, nelle orecchie. Serve per scrivere.
Ecco, così va meglio. Con i Trivium che fanno rumore e uniscono cuore e anima creativa. È così che scrivo, con la musica che collega tutto.

Che cos’è la cassetta degli attrezzi? Tutti lo sanno, ovvio.
Ma cosa c’è nella cassetta degli attrezzi di uno scrittore?
Un martello, una sega, una tavola di legno? Chiodi, colla, metro?
In un certo senso sì! Analizziamoli assieme.

La TAVOLA DI LEGNO.

È la storia ed è composta da: soggetto, schede personaggi, struttura dell’intreccio, descrizione dei capitoli, schede temporali. Non ci credo che iniziate a scrivere senza avere prima preso appunti, disegnato i personaggi, pensato a dove farli vivere, in quale luogo e in quale epoca, chi sono, cosa fanno, cosa succede in ogni capitolo. E i sentimenti che ci mettete o che nascondete. I dialoghi. Il genere letterario. La voce narrante. Il tempo verbale.
Tutto questo deve essere ben definito e scritto da qualche parte (un quaderno, Word, Evernote, fogli sparsi…), ovunque purché sia scritto. Qualcuno storcerà il naso e dirà che non serve.
Mi ricordo quando ero piccola (letterariamente) ed ero meno che un esordiente; riempivo fogli incasinatissimi di appunti e idee che poi usavo. Allora non capivo cosa stessi facendo ma con il tempo e l’esperienza ogni cosa ha trovato il suo posto.
Oggi non scrivo se non ho tutto chiaro e definito. Per me è una questione di correttezza e serietà nei confronti del lettore. Non dico che chi non lo fa sbaglia, questo è il mio modo di lavorare.
E non dimenticate la scaletta…

Il MARTELLO e I CHIODI.

Non esiste scrittura senza lettura, o meglio, leggere è il primo nutrimento della scrittura.
Le due cose non vanno confuse e leggere non serve a copiare o imitare. I libri nutrono l’anima, aprono la mente creativa, sviluppano le idee, insegnano, scoprono mondi, svelano segreti.
Anche leggere un libro brutto serve a qualcosa, se non altro a non scrivere un brutto libro.
Da quando scrivo leggo soprattutto italiani. Ritorno agli stranieri solo durante le ferie, quando sospendo tutte le attività di scrittura vera e propria e mi rilasso, ad esempio, con un giallo svedese.
Ritengo che leggere libri italiani sia importante per aprire e sensibilizzare l’anima creativa. Ed in alcuni casi può essere determinante leggere libri del genere di cui si scrive.

La VERNICE.

Sapere scrivere e avere talento. I due dilemmi dello scrittore.
Sapere scrivere lo vogliamo dare per scontato?
Io no. E allora mi affido a strumenti che mi aiutano a raggiungere la qualità, a risolvere i dubbi, a evitare sbavature: il libro di grammatica, il dizionario di italiano, i manuali di scrittura e di stile, gli appunti dei corsi che ho seguito, la Treccani, l’Accademia della Crusca.
Indispensabili. Non devono mancare mai.

Il METRO e il LIVELLO.

Entriamo nello specifico. La lingua italiana è uno strumento meraviglioso, a mio sindacabile giudizio la più bella lingua del mondo. E va usata correttamente, senza abusare di pesanti e pomposi aggettivi e, ovviamente, di avverbi.
Più puliamo e alleggeriamo e più la scrittura vola.
Meno riempiamo di parole e più emerge il significato della storia.
Ricordo che all’inizio non riuscivo a cancellare neanche una parola di ciò che scrivevo. Ero gelosa marcia delle mie frasi. Erano belle, le avevo scritte con cuore e sentimento e lì dovevano stare.
Niente di più sbagliato!
La scrittura va liberata dalla zavorra dei sentimenti e dalle frasi che amiamo. Di sicuro non piaceranno al nostro lettore.
Soggetto, predicato e complemento.
Semplice ed efficace.

La SEGA e la COLLA.

La revisione, le riletture e le correzioni.
La prima stesura va fatta con il cuore. La seconda con le forbici e la colla in mano. O ancora meglio, soltanto con le forbici.
L’editing è la parte più importante. È la rifinitura, la correzione. È la fase in cui si tira fuori la scultura nascosta dentro il blocco di marmo.
Serve criticità, esperienza. Occorre sbagliare e riprovare, sbagliare e riprovare. Anche mille volte.

Nel mio caso, servono altri due ingredienti…

La MUSICA durante la prima stesura. Senza sono vuota. Un contenitore scarico. Il silenzio spegne le parole. La musica è come l’alcol, scioglie i freni e libera la prosa.
La LETTURA A VOCE ALTA per testare il ritmo, la musicalità delle parole.

E allora, che MUSICA sia!

Madame Bovary c’est moi!

Vi presento i personaggi.

Una storia è fatta di trama e personaggi; a differenza di un racconto, un romanzo contiene un numero di figure sufficienti a rendere difficile la vita al povero autore.

Costruire personaggi è, a mio avviso, la parte più complicata della scrittura. Per quanto cerchi di catturarli sgusciano via, scivolano dalle mani, hanno vita propria. Hanno davvero una vita propria! Anche se ti sforzi di identificarli, caratterizzarli, sono loro a dirti chi sono, COME SI CHIAMANO… !!!!

Ricordo che tempo fa mi venne rivolta proprio questa domanda: “Come scegli i nomi dei personaggi?”

Giuro che rimasi per qualche minuto con la testa per aria mentre dentro di me ridevo a crepapelle, soprattutto di me stessa.

La risposta uscì dalla mia bocca in modo del tutto sorprendente: “È il loro nome, sono loro a dirmelo!”

Ma è da pazzi, non credete!

Durante la prima stesura di Anna (alias Ti raggiungo in Pakistan) successe una cosa inaspettata. Avevo predisposto tutto: soggetto del romanzo, trama, schede dei personaggi, scaletta dei capitoli. Era tutto perfetto. A circa metà della prima stesura (di circa centocinquanta cartelle), mentre Anna e Giorgia sono a una importante cena di gala, quest’ultima incontra Francesco, suo ex Direttore e amante. Fra i due si crea un’atmosfera elettrica, Anna comprende dai loro sguardi molto più di quello che sa e si defila. Dopo un po’ Francesco la raggiunge e siede a chiacchierare con lei.

Fin qui nulla di strano, no?

Un personaggio come tanti. Peccato che questo Francesco non c’era nelle mie schede, non esisteva nella mia trama e in men che non si dica si è appropriato della mia scaletta.

Un evento del genere durante la fase di scrittura vera e propria può essere percepito come una tragedia. Io lo percepii così.

Non sapevo cosa farmene di questo Francesco che NON VOLEVA uscire dalla mia storia. Se ne stava lì, a bazzicare dietro ad Anna, ad acquisire sempre più importanza all’interno del racconto, a pretendere un posto di primo piano. E pensare che nella mia lista non era neanche etichettato come personaggio.

Capii che non me ne sarei liberata facilmente. Dire che ero disperata è nulla.

A ripensarci ora mi viene da sorridere, ma allora ero davvero in crisi.

Per fortuna, proprio in quel periodo, stavo seguendo un corso di scrittura; il docente era un grande scrittore. Durante una lezione sui personaggi mi feci coraggio (chi mi conosce sa che sono una vera chiacchierona, ma in alcune occasioni divento particolarmente silenziosa ed appartata) e chiesi: “Ma se un personaggio che non esiste appare all’improvviso nella storia e non se ne vuole andare, come ci comportiamo?”

La risposta del mio maestro fu illuminante. Mi disse: “Lo lasci parlare. Lo tratti come hai trattato tutti gli altri. Lo studi, lo conosci, crei la sua scheda e lo inserisci nella trama”.

Facile! Ma perché non ci sono arrivata da sola?

La mia disperazione si trasformò in sorriso e Francesco divenne in assoluto il mio personaggio preferito.

C’è un’affermazione molto forte di Flaubert che non riesco a dimenticare e che spiega perfettamente cosa vuol dire creare i personaggi di una storia. Sicuramente Flaubert la pronunciò con uno scopo diverso.

“Madame Bovary c’est moi!”

“Madame Bovary sono io” che io traduco in “il personaggio sono io”.

Che cosa significa? Che io (autore) sono il personaggio, sono tutti i personaggi. Non in senso letterale. Significa che per descriverli devo viverli, devono vivere devo di me. Io devo conoscere la loro vita come fosse la mia. Durante la stesura io li osservo muoversi nella storia, traduco quello che provano e descrivo quello che fanno. Non sono io nella storia, io sono nei personaggi. Mentre trascrivo tutto su carta vivo quello che vivono loro, piango se piangono, rido se ridono. Mi perdo nel loro dolore ed esulto per la loro gioia.

C’è un capitolo, in Tranne il colore degli occhi, che ho fatto davvero fatica a scrivere, credo sia stato il momento più duro e difficile di tutta stesura. E anche ora, quando lo rileggo, provo le stesse sensazioni.

“Oui, Madame Bovary c’est moi!”

A scuola di disegno

Una cosa che mai avrei immaginato nel mio futuro è che un giorno mi sarei destreggiata con il disegno.

Ecco, no, non è proprio così!

Se c’è una cosa che è bene risparmiare ai miei amici, è proprio questa. Ma l’argomento è interessante e vale la pena parlarne.

Non sono mai stata amante delle arti figurative, dei quadri, delle immagini in genere. So che mi perdo un mondo di meraviglie, ma non posso farci nulla se, guardando un quadro, non riesco ad emozionarmi come davanti ad una pagina piena di lettere. Sono le parole le immagini che amo di più.

Ma torniamo a noi.

Cosa c’entra il disegno con la scrittura.

Forse molti non sanno che scrivere non è solo scrivere. E’ ascolto, osservazione, ricerca, indagine, annotazione. Prima di iniziare a scrivere occorre studiare, e tanto, soprattutto se non si conosce bene il tema di cui si vuole parlare (ho già trattato questo argomento).

Esistono vari metodi per raccogliere informazioni e prendere appunti. Negli anni ne ho sperimentati parecchi. Ci sono strumenti che aiutano, metodi da seguire scrupolosamente, libri che insegnano tecniche, scrittori che danno consigli e chi più ne ha più ne metta.

Ogni cosa aiuta, l’importante è, per ognuno, trovare il suo giusto metodo.

Uno dei miei, è il disegno. L’ho rubato al mio maestro!!

Con gli anni, l’età e l’esperienza ho capito che non esiste forma di scrittura e di apprendimento più potente dell’immagine. Un’immagine contiene tutto: la fisionomia di una persona, la descrizione di un luogo, la cartina di una città oppure i dettagli di una chiesa. Le immagini ci rivelano informazioni necessarie. Un quadro ad esempio può fornirci immediatezza nel reperimento immediato di quei dettagli che saranno necessari alla nostra scrittura.

Immagini come base di studio ma anche immagini come strumento di memorizzazione. Lo sanno bene gli studenti: anziché prendere appunti scrivendo pagina e pagine di nozioni, è preferibile usare gli schemi, i diagrammi, i disegni. E’ più veloce e resta più impresso nella memoria.

Non importa quanto siano brutti o deformi, l’importante è che assolvano al loro compito. Aiutare lo scrittore a velocizzare il reperimento delle informazioni e a memorizzarle.

Ve li risparmio, ovviamente, i miei disegni sono proprio brutti.
Un po’ come quei biscotti che sulla confezione recano la scritta: brutti ma buoni. Provate!

Silenzio creativo

Anche quando non scrive, un autore scrive sempre.

Il mio silenzio dal Blog e dai social non è dovuto ad una interruzione della produzione letteraria. Quando, per una persona che scrive, scrivere non è l’occupazione principale, capita che altre attività richiedano la sua concentrazione, la sua presenza e, soprattutto, il tuo tempo.

Quando un autore scrive, non sempre scrive.

O meglio.

Scrivere non significa soltanto buttare giù pagine e pagine di roba scritta, di frasi che all’inizio barcollano e parole che a mala pena si combinano fra loro.

Scrivere molto spesso è riflessione, analisi, raccolta. Altre volte è leggere.

Molto spesso è lasciare che le immagini, i pensieri, le storie continuino a girare dentro la testa, nel corpo e nell’anima fino a che raggiungano la consistenza di storia.

Da poche settimane ho iniziato a lavorare ad un progetto nuovo. Difficile. Complicatissimo. Abbastanza normale, per me, buttarmi in avventure insuperabili.

Un progetto di cui non parlerò ancora ma che mi obbligherà a tornare indietro nel tempo, entrare nella storia del XIII secolo, vivere in un tempo che non ho conosciuto ed in un mondo che ho sentito raccontare a scuola e in qualche documentario.

Camminerò a fianco di personaggi storici di una certa caratura e mi confronterò con un genere letterario che mi spaventa da morire. Ma se non lo facessi, o se per lo meno non ci provassi, non sarei io.

Non so quanto tempo impiegherò, forse molto, moltissimo. Non so se raggiungerò l’obiettivo che mi sono imposta. Ma una cosa è certa.

Avrò una bella storia da raccontare.

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